

Sono molte le storie sovrapposte nella memoria algerina degli ultimi decenni. Fino al 1962 c’era l’oppressore francese. Poi subentrò la lunga dittatura civile-militare. E, quando il tunnel si sperava concluso, dopo le rivolte popolari del 1988 e il successivo sistema multipartitico con la libertà di stampa e di associazione nel 1989, arrivarono il fondamentalismo religioso e il terrorismo. Fu addirittura una consultazione popolare a dare loro il benvenuto definitivo. Erano le elezioni del 1991. “Da un lato – racconta ancora Amel – c’era il Fronte di Liberazione Nazionale: era l’ex partito unico, simbolo degli abusi del potere e colluso con i militari e la gente non ne voleva più sapere. Dall’altra parte c’era invece il partito berbero: inneggiava alla democrazia e alla laicità e la gente, oltre a nutrire una forte diffidenza regionalista, non sapeva cosa fossero quei valori. Infine, c’erano gli integralisti: dicevano alle donne che avrebbero dato loro i mariti e agli uomini che avrebbero dato loro lavoro ed equità. Erano già violenti nei modi e nel linguaggio, ma l’informazione circolava poco e la voglia di voltare pagine era esasperata. La gente pensò ‘perché no?’ e li votò”.

Dal 2000 la situazione del paese si è stabilizzata, ma l’abitudine a vivere ancorati al presente ha finora impedito una pianificazione lungimirante e un recupero delle tradizioni. Dopo aver investito risorse per ideare un efficiente sistema di trasporti per la capitale, si è lasciato piede libero al trasporto privato, ingolfando le vie cittadine e oscurando l’orizzonte della baia con lo smog. L’edilizia tradisce un frequente ricorso al fai-da-te, riempiendo i nuovi quartieri residenziali di tetti incompleti e parallelepipedi di cemento armato ricoperti di parabole. E un po’ ovunque è visibile la perdita della tradizione: ad El Kala, per esempio, a pochi chilometri dalla Tunisia, il fiorente artigianato della pipa è scemato nell’arco di una generazione. Laddove i nonni esportavano nel mondo le loro geometrie ritagliate nel resistente legno di erica arborea, i nipoti “sfornano” nelle loro officine in lamiera portacenere e souvenir senza più alcuna identità stilistica.

Al di là degli ostacoli tecnici c’è inoltre lo scetticismo di una parte del mondo artistico. La Ministra, Khalida Toumi, dichiara di “essere una Ministra vicina al popolo” e il popolo, compresi i bambini, la segue e la conosce. Ma, tra gli ex studenti della Scuola delle Belle Arti, c’è chi è convinto che il nuovo museo sia più un’operazione di marketing verso il mondo che un canale di comunicazione con il popolo algerino: “Visiteranno il museo le stesse poche persone che frequentano i grandi hotel come El Aurassi”, lamenta Mohand, scultore secondo cui ciò che occorre non è un museo inteso come ricettacolo della storia, archivio delle opere che hanno detto già ciò che dovevano dire, ma “spazi-evento, luoghi capaci di scuotere, interpellare e suscitare domande, luoghi dove l’artista potrebbe conservare la sua indipendenza e il suo punto di vista critico sul mondo”.
Mohand, fedele ai suoi propositi sperimentali, ha ora abbandonato la scultura fisica per quella virtuale. E’ convinto che l’avrebbe fatto anche Michelangelo: “Se avesse potuto scolpire un David in movimento – dice Mohand – Michelangelo l’avrebbe fatto. E sono anche convinto che se il David avesse potuto muoversi, avrebbe già lanciato la sua pietra contro qualcuno”. Capire contro chi non è facile in Algeria. Forse contro i “barbuti”, che incarnano nelle strade la minaccia del fondamentalismo religioso? O forse contro i burocrati e gli speculatori che frenano lo sviluppo del paese?
E’ più facile iniziare a compilare il lungo elenco di Algerini che certamente non meritano altre pietre contro. Il leggendario Lupo Bianco della Casbah, in arte un professore di francese, che custodisce (ma volentieri svela) la lunga storia della moschea di Sidi Abderrahmane, patriarca di Algeri. Il giovane naturalista Mansur, che con la sua canoa traghetta i turisti più fortunati tra le ninfee del lago Tonga, vicino alla frontiera tunisina, nel cuore della zona umida più grande del Mediterraneo. Zohra, la guida musulmana della basilica di Sant’Agostino ad Annaba, che da anni dà una mano ai padri agostiniani che ne sono responsabili, occupandosi della biblioteca e della segreteria. Dahbia, la signora dall’apparenza fragile e minuta, che si adopera con tenacia a difendere le sue (piccole) proprietà e le sue ambizioni imprenditoriali nel villaggio d’origine. O la comunità delle focolarine, che da quarant’anni è presente in Algeria e da allora dialoga con le persone per dimostrare che i singoli possono convivere anche quando gli Stati e le ideologie si scontrano.

Mentre gli spettri del passato si agitano ancora negli armadi della politica, gli occhi sono puntati sulla salute del Presidente Bouteflika, colui che al momento garantisce l’unità tra le anime del paese e gode di un’indiscutibile popolarità.
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1 commento:
I like it! Good job. Go on.
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