“Il rosmarino lo devi prendere così, non così”, dice Tocio, mostrando prima solo le dita racchiuse e poi tutto il pugno chiuso. “Dopo che l’hai preso, lo metti in infusione e, quando l’acqua è verdognola, ti bevi tutto. Se hai 39 di febbre, dopo venti minuti è già a 37”.
Tocio è uno dei figli dei fiori un po’ invecchiati che abitano a Trafossi, lungo la valle dell’Acquacheta. Porta scarponi da montagna, maglione grezzo, capelli lunghi e scompigliati. Il solito del “quartiere” insomma. E’ un po’ influenzato, ma tranquillo. Dalla sua, ha la calendula, l’aglio e il rosmarino di cui si atteggia a profondo conoscitore: “Tutto naturale, qui. Ho le mie erbe”, afferma orgoglioso una, due, tre volte.
In compagnia di Tocio, saliamo verso Pianbaruzzoli. Paolo e Stefano hanno saputo che in questi giorni c’è di nuovo Giambardo (foto), il fondatore della comunità locale. Erano gli anni Settanta, la chiamarono “Contadini zappaterra senza padrone” e un docente universitario la descrisse come un modello sociale che poteva ripopolare i trascurati pendii appenninici della Romagna. All’epoca nella comunità vi abitavano costantemente una quindicina di persone e molte altre vi facevano pellegrinaggio allucinogeno ogni fine settimana. Tutti insieme coltivavano il sogno dell’autosufficienza.
Il sogno non decollò mai del tutto. Alcuni dei novelli contadini mangiarono le patate che avevano seminato pochi giorni prima. Altri seminarono figli qua e là. E altri ripresero la via della civiltà per tornare a scuola, al lavoro o all’ospedale. Alla fine rimasero in pochi.
Oggi sono in tre. Dei fondatori resta solo Jerry, ormai verso la sessantina. Come Giambardo, che oggi abita in Spagna, ma torna ancora a salutare il podere che è stata casa sua per vent’anni. Lo sente molto suo, si vede. Fu lui a sceglierlo. Lo vide, assieme a Jerry e Ulisse, e piano paino, occupazione dopo occupazione, lo fece suo. “Allora – racconta – i processi per occupazione si vincevano. Sì eravamo nella casa del padrone!”.
Se oggi Giambardo è di nuovo a Pianbaruzzoli è un po’ per continuare quel sogno. L’occupazione nacque per fondare una comune e lui, oggi unico intestatario della casa, non vuole correre il rischio di lasciare in eredità la proprietà ai figli. “So già che in casi simili ci sono stati solo dei litigi”, dice. “Faremo una fondazione, siamo qui per costituirla”. Probabilmente con le persone dentro casa. Jerry, una delle sue vecchie amanti, una figlia, una nipote, un paio di compagni di media età e un attivista del Wwf, che in tempi recenti ha salvato con la regione una delle case vicine. “Perché Pianbaruzzoli era un villaggio – spiega Giambardo – ci stavano 60 persone, di tre o quattro famiglie. Oh, ma litigavano sempre! Quel pezzo di terra è mio, quello è tuo, lì ci pascola il mio porco, qua le tue pecore”.
A Pianbaruzzoli abbiamo mangiato un piatto di pastasciutta con il ragù di salsiccia, funghi “orecchioni” saltati in padella e un po’ di stufato di patate e salsicce. Poi siamo saliti a vedere i piani superiori: fino al quarto, altissimo, a più di otto metri da terra.
“Wey, ma è bella solida sta casa, eh”, ci dice Giambardo. “C’ha un muro qui e un muro qui che la tengono su. E poi gli abbiamo rifatto il tetto qui: è tutto nuovo. E poi l’abbiamo coperta di armature e l’abbiamo stuccata tutta. Oh, perché adesso non piove più, ma prima, dio bono, ma prima pioveva per un mese che ti sbatteva l’acqua sul muro e qui in basso si era allagato tutto”.
Questa sera Giambardo sarebbe già andato via. Lui tornava indietro dalla parte alta, su dall’eremo. Noi invece siamo discesi giù verso l’Acquacheta. Lì dove c’è il salto della cascata. Ne ha scritto Dante e ne parlano un po’ tutti. Ma è dall’altra parte del fiume, dove la storia è andata avanti. Sulle pendici nord, da Pianbaruzzoli, invece, il mondo si è fermato.
“E’ un relitto che sopravvive a se stesso”, ha concluso Paolo.
1 commento:
Una simpatica penna che scorre bene e appassiona...
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