venerdì, agosto 15, 2008

Quando Chatwin invitò Gogol a partire

Sui gradini di una biblioteca affacciata al mare Bruce Chatwin si trovò a muovere alcuni passi vicino a Nicolaj Gogol. L’inquieto viaggiatore inglese sostava sulle rive del Mediterraneo solo per alcuni giorni: giusto il tempo di trovare le corrispondenze bibliografiche alle ultime citazioni raccolte dal cuore dell’Australia. L’abulico scrittore russo invece si godeva una piccola boccata d’aria fresca: erano giorni che non usciva di casa, sempre indeciso sul modo più efficace di vivere la sua giornata.

Quando Chatwin vide alla luce del sole la tempra smagrita del suo collega di penna russo non poté reprimere un consiglio. “Dovresti partire anche tu” gli disse. “Rompere gli schemi, abbandonare la routine avrebbe sicuramente degli effetti positivi sul tuo corpo, sulla tua mente e sulla tua penna. Sono sicuro che troveresti nella partenza un nuovo lancio vitalistico”.

Gogol non fu sorpreso da quel consiglio. Lo scribacchino inglese con il vizio del nomadismo era forse il più famoso ad averglielo suggerito, ma tutti, dalla vecchia madre alla governante, si prodigavano per dargli uno stimolo. Tutti lo continuavano a trattare come un bambino senza appetito, ripetendo ossessivamente che il sole avrebbe potuto fare miracoli su di lui. “Quante parole sprecate” pensò unendo disprezzo e pietà. Poi alzò leggermente lo sguardo verso l’inglese, asciutto e abbronzato, che ancora aspettava una risposta: “E partendo cosa credi di risolvere?” gli disse. “Pensi forse che partendo tu possa veramente dimostrare a te stesso di valere qualcosa, di giocare una partita con un ruolo più protagonista di chi rimane? Pensa piuttosto ad ascoltare l’ansia che ti dovrebbe accompagnare, l’ansia di capire se il tuo è coraggio di partire o mancanza di determinazione del rimanere. Hai mai provato a restare fermo, immobile e a pensare davvero a cosa fare per rendere utile lì e ora il tuo gesto successivo?”.

“Stando alla tua fama, non ti facevo così pungente” ammise l’inglese. “Lasciami dire però che le frecce che lanci per difendere la sedentarietà della tua mente e del tuo corpo sono solo aristocratici giochi dialettici tipici di chi spende troppo tempo a pensare a una parola per capirne davvero il senso. Partire non è un gesto unico, una fuga dal qui e dall’ora. E’ piuttosto la scelta di rimanere per sempre dei forestieri, di non dare mai per scontato chi si è veramente, di dover spiegare ogni giorno il proprio percorso, raccontandolo ogni volta in un modo diverso, con un senso diverso. Partire, cambiare in continuazione significa rendere perenne la condizione del bambino, che non solo curioso, ma soprattutto innocente, può chiedere all’adulto con il privilegio della prima volta, con il privilegio di chi parla senza le furbizie interpretative che l’esperienza consente e che nei rapporti maturi diventano totalizzanti”.

“E cosa mai dovresti chiedere a tutti i tuoi forestieri?” sbottò ironico e disinteressato il russo. “Il loro modo di vivere, di sentire, di pensare o di pregare? Per quante risposte i tuoi sconosciuti ti daranno, mai avrai da loro la risposta che cercavi. I tuoi pastori, i tuoi nomadi, saranno solo compagnie surrogate. Non potrai che odiarli, perché loro, felicemente fermi nel loro mondo, non potranno mai capire il tuo. Non ti ascolteranno e ignorandoti costringeranno a reprimere nel silenzio della tua sera l’ansia che ti ha condotto così lontano fino a loro. E allora che senso ha partire? Posso senza dubbio continuare a pensare senza il tuo viaggiare”.

Nessuno aggiunse altro. L’inglese scese le scale pensando furiosamente al russo che rimaneva. E il russo restò immobile pensando stancamente all’inglese che se ne andava.

Nessun commento: