lunedì, giugno 16, 2008

Citazioni viandanti

(dal Festival del Cammino - Berceto 13-15 giugno 2008)

L’aborigeno squadrò il visitatore occidentale. Il bianco era alle porte del villaggio: pantalone corto, calzino lungo a proteggere il polpaccio, scarpone da escursionismo, camicia senza maniche e cappello dall’ampia visiera. Il bianco era solo, lontano dai gruppi con cui di solito si muoveva.
“Strano” pensò l’aborigeno.
Il bianco gli si fece incontro e infine l’aborigeno parlò.
“Vuoi salire fine al tempio?”.
“No” rispose il bianco.
“Vuoi passeggiare nei luoghi sacri al nostro popolo?” lo incalzò ancora l’indigeno.
“No – rispose di nuovo il visitatore bianco – sono venuto solo per fare tutto con calma. Avrò tempo per visitare il tempio e i luoghi sacri”.
L’aborigeno si allontanò. Un altro fottuto turista che non consumava un cazzo e aveva il malsano desiderio di voler capire.
(Ispirato alla relazione di Marco Aime, antropologo)

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“I luoghi semplici sono l’ultimo rifugio per gli animi complessi”.
(Oscar Wilde – Bicchiere al bar “Salti del Diavolo” di Cassio)

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“E’ fondamentale evitare una iper-tecnicizzazione. Nell’eccesso di tecnica mancano i momenti per il pensiero. Il viandante invece si muove bene proprio negli spazi semplici dove non servono tecniche e si possono ignorare le tabelle. Ri-alfabetizzare al territorio, oggi, significa dunque creare un altrove basato su un esotismo di prossimità”.
(Annibale Salsa – Pres. Nazionale Cai).

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“La capacità di godere un paesaggio, provare un piacere del cammino senza alimentare il Pil è già una scelta forte di decrescita costruttiva”.
(Riccardo Carnovalini – Paesaggio Italiano)

mercoledì, giugno 11, 2008

Il sardo olandese che mise tenda nel boschetto di Castelluccio

"Ma che cosa ha fatto" gli domandò Paddy "durante la Rivoluzione Culturale?".
"Sono andato a fare una passeggiata sulle montagne del Kunlun".
(Gran Maestro Taoista - cit. in Le vie dei Canti)


CastelluccioC’erano i lampioni accesi, come nel centro di una grande città, ma le case erano tutte chiuse. Castelluccio era una città fantasma. Chiusa nel suo cucuzzolo, la cima del paese sibillino era un cantiere silenzioso attraversato solo da qualche cane randagio. I caterpillar si stagliavano nell’oscurità come guardiani meccanici di via martoriate da scavi, pontili, armeggi e ghiaie. I campanelli erano illuminati, ma nelle loro strisce di luce non si poteva leggere nessun cognome. Non ve ne erano.
“Non credi sia un posto strano?” disse Stefania.
“Decisamente sì” risposi accendendo la torcia per illuminare alcune macerie più buie delle altre.
“Ma secondo te ci abita qualcuno?” chiese ancora la ragazza.
“Sembra di sì – risposi ancora – ma non capisco come e chi. E’ un enorme cantiere”. “Forse – aggiunsi dopo una pausa – qualcuno in paese ci può dare spiegazioni.

Sulla base del colle di Castelluccio le luci di un ristorante erano ancora accese. Quattro uomini sedevano rumorosamente di fronte a un film di Rambo. Uno di loro, il più giovane, forse il cuoco, si alzò per servirci. Ordinammo una grappa del luogo; ce ne servi una ambrata di genziana.
“E’ tutto un cantiere su in paese?” domandai mentre versava il liquore.
L’oste continuò il suo lavoro senza rispondere. Lo incalzai. “Sono privati che ristrutturano le case?”.
Lo sguardo del cuoco si mostrò attonito, indeciso sul significato della domanda.
“Sono aziende?” aggiunsi aallora.
“Sì – rispose infine il mio interlocutore silenzioso - cioè sono più aziende insieme che fanno i lavori”.
“Fanno un albergo diffuso nell’intero paese?” chiesi ancora una volta, finendo senza risposta, una volta di più.
Stefania mi suggerì di desistere. La assecondai.

“Macché privati” ci spiegò infine il romano del locale di fronte la mattina dopo. “Qui se rivolti la gente non escono neppure gli spiccioli. C’è un finanziamento: dell’Unione Europea. Sei milioni di euro per rifare tutto come era: un lavorone! Due anni in condizioni normale, cinque o sei qui. E’ dura, sai. Qui nevica sempre”.
“A partire da quando?”.
“Da quando capita”.
“E’ dura – disse di nuovo il romano smettendo di spazzare e accendendo una sigaretta – Lo vedi quel boschetto. Un giorno arrivò un sardo che viveva in Olanda. Parlava un po’ sardo e un po’ olandese. Un tipo strano: non si capiva né il sardo, né l’olandese. Disse che gli piaceva er boschetto. Gli dissi che ci poteva dormire se voleva. Mi spiegò che a lui piaceva la tenda, come quando aveva vent’anni, per sentire meglio la natura. Lo invitai a cena dopo che la ebbe picchettata. Lui accettò, mangiò con noi, ma poi non trovò più la tenda. Era partita una tempesta di vento. Trovammo tutto solo il giorno dopo: tenda, picchetti e bagagli erano tutti attorcigliati a un pino in cima a er boschetto. Il sardo-olandese, che non era mica vecchio sai, avrà avuto sui quaranta-cinquanta anni, disse che da allora in avanti sarebbe andato solo in hotel. Di almeno tre stelle”.

Stemmo un po’ sorridendo divertiti a guardare il boschetto. Era in sospensione tra il brullo crinale della vetta e le striate coltivazioni di lenticchie della valle. Così appeso alle pendici est di Castelluccio sembrava raccontare ancora la storia di cui il romano ci aveva messo al corrente.

Sorridemmo ancora una volta prima di salutare il boschetto, il romano e il suo paese di dodici anime. “Ma tu che sei venuto a fare fino a qui?” gli dissi infine.
“Niente - rispose lui - stavo a fa un lavo’ stressante”.

lunedì, giugno 02, 2008

La rivoluzione può attendere

La persona più anziana del gruppo attendeva la moglie sotto l’ombra del pioppo. Con la voce piena di entusiasmo, si rivolse al più giovane discepolo per assicurarsi che gli avvenimenti di giornata fossero opportunamente immortalati. “Ci vorrebbe una lapide” disse allacciandosi la maglia alla cinta e prendendo lentamente la via della valle.
“Ci sono i ragazzi dell’istituto d’arte – rispose il discepolo, a sua volta più prossimo alla mezza età che all’adolescenza – Penseranno a tutto loro sicuramente”.
“Mi raccomando – concluse l’anziano – questo è un evento storico”.

L’uomo prese a scendere che già il pomeriggio era inoltrato. Tra i rivoluzionari convenuti in mezzo al bosco per far dialogare la natura con il loro senso artistico era già accaduto tutto o quasi. Le istallazioni pendevano qua e là dai rami degli alberi più imponenti. Attendevano il vento per animarsi, ma restavano esanimi sotto il cielo umido e immobile. Pochi le guardavano davvero. Un ragazzo coi rasta cantava Bob Marley, un signore con la barba stonava Bella ciao.

I leader del gruppo sedevano in disparte, accovacciati su una coperta. Recitavano la loro parte attenti a non tradirla. Mai una parola ovvia, mai un pensiero quotidiano, mai un anelito di ottimismo. “E’ ovvio che il decadentismo del sistema continua a irretire le menti impedendo il risveglio delle coscienze” disse a un certo punto l’accademico sollevando i grossi e spessi occhiali neri in tinta con la camicia e in contrasto con i pantaloni bianchi.
“Certo – rispose il pittore – e la decadenza dell’essere potrebbe perpetrasi per altri due o tre secoli. Non vedo alcun gesto di emancipazione in divenire”. Il pittore era più giovanile: aveva anche il conforto di una donna creola, che l’ascoltava silenziosa in estatica contemplazione del profondo pensiero rivoluzionario che le scorreva al fianco.

Più in là una signora sedeva sola sulla radice di un albero. Più lontano sui ruderi di un’antica parrocchia si tagliava prosciutto e si serviva vino. In fondo alla strada, nonostante l’ora tarda, qualcuno continuava ad arrivare.
“E’ tardi?” chiedevano questi con un vago senso di colpa accelerando il passo.
“No – rispondeva il presente di turno – c’è ancora da bere e da mangiare”.

Qualcuno invece cominciava a discendere come il vecchio poco prima. Una donna rimproverava il marito cinquantenne di non essersi ancora cambiato la maglia sudata. Un madre continuava a rimproverare i figli perché non avevano ancora preso il loro panino. E un bambino spargeva bolle di sapone di fronte al padre che suonava la cornamusa. Poco convinto dei suoi gesti, il ragazzetto lasciò andare la fantasia: i genitori gli avevano parlato di congiure, rivolte e ribellioni, ma lui per un attimo si immaginò imperatore, dalla parte di Cesare e Nerone. In cuor suo pensò che non avrebbe corso grandi pericoli.