mercoledì, maggio 28, 2008

Beniamino, l'omone che custodiva Trebbana

"Questo è Beniamino, o meglio, era Beniamino a Trebbana. Non potevo non informarti dell'esistenza di Beniamino, perchè per me Trebbana era anche lui!"
(Valeria, brillante commentatrice di questo blog)


TrebbanaNon era facile andargli a genio. Beniamino, il custode di Trebbana, era un omone sulla quarantina dai modi ursini, con alle spalle una vita da camionista. Dalla finestra dell’antica abbazia che aveva accettato di custodire per poche lire, salutava i viandanti con un urlo poco rassicurante: “mooostriiii” ululava rompendo il silenzio di quei tramonti con le nuvole a forma di cuore. Pochi gli andavano veramente a genio e ciò spiegava la sua scelta eremitica. Era come un animale selvatico: schivo, pauroso, a tratti terrificante.

Però ad alcuni, baciati da un’alchimia personalissima, riservava un’ospitalità focosa. Quando il padrone dava il suo assenso tutti gli animale del cortile scodinzolavano a festa. Era un’orchestra che accompagnava l’eletto di turno fino alla porta di casa per scoprire il lato dolce del losco figuro: un mondo di vino e di cibarie protetto da una porta privata sul lato destro dell’ingresso. Beniamino serviva le sue scorte con il condimento della filosofia che nutriva rubando parole alle frequenze di radio rai e ai libri che leggeva in abbondanza.

Fu proprio per restituire un libro preso a prestito che la giovane musicista venuta dalla pianura scoprì che Beniamino non abitava più a Trebbana. Se n’era andato. I più dicevano che era tornato tra i civili, rubato al suo eremitaggio dal richiamo di una donzella di Grisignano.

A Valeria rimase il libro e la nostalgia per l'omone che le rendeva ancora più magico quel luogo.

lunedì, maggio 26, 2008

La sera prima della partenza a casa del mago

Al piano inferiore della casa, sotto una volta in pietra dal colore grigio e dalla superficie grezza, c’è il solco delle vecchie fognature. Il mago dice che in quella parte sotterranea e nascosta della sua casa c’è il cuore del paese, la sua anima più povera e antica. Sotto la volta in pietra lui, bambino, e i suoi familiari più grandi vi trovarono anche riparo nelle notti buie dei bombardamenti: quelle pietre salvarono le vite a tutti quanti, anche se una notte alcune donne rimasero ferite da alcune schegge. Lo scoppio era avvenuto proprio lì vicino.

Sopra la volta protettiva ci sono altri tre piani. Densi, tutti abitati, tutti decorati, personalizzati nel dettaglio: la sala, la cucina, il camino, il terrazzo, le camera e la finestra sul fiume. L’aria ha il sapore che si respira nei luoghi della stagionatura: c’è un profumo intenso, rafforzato dal tempo, che passa leggero, come se fuori ci fossero ancora le botteghe del macellaio e dell’arrotino.

Quella notte a casa del mago fervevano i preparativi. La moglie era in partenza: una breve visita a casa. “Una giornata di libertà” spiegava il mago romagnolo all’ospite australiano che era nato in Olanda e lavorava in Italia.
“E’ sempre così romantico?” chiese allora questi alla signora, che con leggerezza riempiva il suo piccolo bagaglio, rendendolo compatto ed elegante.
“Non si è mai dimenticato uno solo anno – alzò lo sguardo lei – di salutare l’inizio del mio nuovo anno scolastico da insegnante con un biglietto d’auguri. Ogni anno diverso e più poetico del precedente”.

Poi la signora si accomiatò, salì le scale per andare a riposare. La porta al pian terreno si aprì per far uscire i quattro cagnini. E un bicchiere di laurino fu versato per celebrare l’ennesima quotidiana occasione speciale.

sabato, maggio 17, 2008

Casa del cuculo: echi balcanici nella terrazza di Romagna

Parte la musica e sotto la torcia della grande madre, al secolo Debora, venti candele illuminano un volto corrugato. E’ un quadro appeso al ramo di una quercia nell’aia della Casa del cuculo. Ce ne sono tanti nell’arco di pochi metri. Sono uno dei segni della festa. C’è gente – forse un’ottantina di anime al festival degli artisti immergenti – nell’arida collina che una polverosa carrareccia recide dal resto del mondo: dalle luci della riviera, dalle sacre forme della Pieve di Polenta, dai rinnovati lussi delle Terme della Fratta. C’è Bertinoro, la terrazza di Romagna, poco lontano, ma su alla Casa del Cuculo c’è un altro mondo: ci sono gli echi dei Balcani.

Sul palco principale, un prato reso più confortevole da travi imbottite, tamburi, violini, fisarmoniche e fiati insinuano tra pini, roverelle e biancospini suoni gitani. Le parole che introducono i brani sono confuse, quelle delle liriche incomprensibili. Resta l’atmosfera: prevale il lamento, ma c’è spazio per accordi solari, accelerate d’allegria. Il bosco dietro al palco è in penose condizioni, ma nel buio i rami sono la più ancestrale delle scenografie. I suonatori per lo più sono dilettanti, ma le loro imperfezioni scompaiono nell’armonia dell’insieme creata in lunghe prove nel tempo libero della disoccupazione.

Le candele, i quadri i concerti rimarranno accessi per tre notti nella collina della Casa del cuculo. Il “paperoga” continuerà a portare su e giù gente dalla valle, il “bar-collante” continuerà a annaffiare le gole dei presenti. Poi nella casa resteranno solo le cinque persone che vi abitano e, senza il rumore del pubblico ad applaudirle, torneranno a vivere serenamente o, forse, a chiedersi se lo stanno facendo veramente o se ne stanno solo illudendo temporaneamente, in attesa di trasformarsi, tra vent’anni, in un rudere sopravvissuto a sé stesso (Pianbaruzzoli, il relitto sopravvissuto a se stesso).

mercoledì, maggio 14, 2008

Romagna, from a different point of view

Sono passati più di due anni dal primo post interamente dedicato alle leggende di Romagna. Da quel mix di storielle raccolte in una notte a Pian del Grado sino a oggi, 26 piccoli scampoli di testo sono stati dedicati alle colline della Romagna Toscana e agli strani figuri che talvolta mi è capitato di incontrarvi.

In tutto questo tempo, però, non ho mai pensato di descrivere la Romagna come la terra di un romanzo di Peter Mayle, che fino a pochi istanti fa mi era completamente ignoto. Lo ha fatto invece Neeraja, poco dopo essere uscita dall'ombra della quercia di Montalto.

Insomma, ecco come "gli altri" vedono la Romagna.

martedì, maggio 13, 2008

Pantieriadi: prossima tappa Broadway

L'hanno chiamato "Picaciu" o "il Vecchio" per il ruolo di leader sul palco. In esclusiva ma piratabile gratuitamente, qualche immagine della sublime performance di Enrico Pantieri alla prima di Del lavoro e altre storie, spettacolo conclusivo del laboratorio teatrale promosso dall'Accademia Perduta/Romagna Teatri, Teatro Stabile d'Arte Contemporanea e Teatro Due Mondi.

La rappresentazione è stata ospitata lunedì 12 maggio al Teatro Masini di Faenza.


pantieri seduto...
Enrico Pantieri
...pantieri protesta...
Enrico Pantieri
...pantieri megafono...
Enrico Pantieri
...pantieri danzante...
Enrico Pantieri
...pantieri e gli altri.
Enrico Pantieri

lunedì, maggio 12, 2008

Qualche nota con una matita spuntata

Quando chiuse l’ultima pagina del romanzo il giovane lettore si fermò assorto a rimirare la copertina del libro. Era un classico: le sue parole avevano già superato positivamente il giudizio del tempo. Sul retro c’erano alcune citazioni appartenenti a critici letterari che celebravano l’immortalità delle parole all’interno, l’universalismo delle emozioni espresse, il realismo delle situazioni descritte.

Il giovane lettore, però, conservava qualche dubbio su quei commenti. Aveva apprezzato le pagine lette, ma gli risultavano lontane. Quei personaggi tormentati dall’incertezza, guidati dal dubbio e appesantiti dall’emozione gli apparivano artefatti. La vita gli sembrava più semplice e rettilinea di quella vissuta da quei protagonisti. Le loro avventure dovevano essere viziate dall’eccezionalità, alimentate dall’avventatezza delle loro scelte.

Alcuni anni più tardi il giovane lettore un poco cresciuto chiuse stancamente l’ultima pagina di un romanzetto contemporaneo. La trama gli era parsa sterile, banale, poco coinvolgente. Tutto era proceduto dall’inizio alla fine senza sussulti, senza profondità. Ripose quel libretto e per conciliare il sonno rilesse alcuni passaggi dei vecchi classici sfogliati in adolescenza. Con una matita spuntata affiancò alle note critiche alcune considerazioni proprie: nel rileggere quelle pagine aveva gustato il piacere di ritrovare traccia di sé.