Quando chiuse l’ultima pagina del romanzo il giovane lettore si fermò assorto a rimirare la copertina del libro. Era un classico: le sue parole avevano già superato positivamente il giudizio del tempo. Sul retro c’erano alcune citazioni appartenenti a critici letterari che celebravano l’immortalità delle parole all’interno, l’universalismo delle emozioni espresse, il realismo delle situazioni descritte.
Il giovane lettore, però, conservava qualche dubbio su quei commenti. Aveva apprezzato le pagine lette, ma gli risultavano lontane. Quei personaggi tormentati dall’incertezza, guidati dal dubbio e appesantiti dall’emozione gli apparivano artefatti. La vita gli sembrava più semplice e rettilinea di quella vissuta da quei protagonisti. Le loro avventure dovevano essere viziate dall’eccezionalità, alimentate dall’avventatezza delle loro scelte.
Alcuni anni più tardi il giovane lettore un poco cresciuto chiuse stancamente l’ultima pagina di un romanzetto contemporaneo. La trama gli era parsa sterile, banale, poco coinvolgente. Tutto era proceduto dall’inizio alla fine senza sussulti, senza profondità. Ripose quel libretto e per conciliare il sonno rilesse alcuni passaggi dei vecchi classici sfogliati in adolescenza. Con una matita spuntata affiancò alle note critiche alcune considerazioni proprie: nel rileggere quelle pagine aveva gustato il piacere di ritrovare traccia di sé.
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