martedì, giugno 05, 2007

Kangaroo Island. Il passato doloroso degli abitanti del paradiso

Il colore bianco intenso dei capelli e le rughe attorno agli occhi non possono mentire. Katherine (foto) deve avere quasi settanta anni, forse qualcuno meno, forse qualcuno in piu'. Lei, comunque, non lo rivela e prosegue la sua vita solitaria sulle rive della Pellican Lagoon, nella costa orientale di Kangaroo Island. Si sveglia alle quattro del mattino, legge per un paio d'ore, prepara la colazione per se' e per i viaggiatori che ospita e poi aspetta il nuovo giorno, scaldandosi al sole che sorge proprio di fronte alla sua veranda.

Si fa cosi' tempo di lavorare. C'e' da aggiungere qualche roccia ai muriccioli che proteggono gli ortaggi dai canguri. C'e' da riparare qualche maglia nelle reti che proteggono il pollame dalle aquile di mare. C'e' da rinvigorire qualche piantina indebolita dal granitico terreno dell'isola. E, a volte, c'e' qualche cespuglio d'erba da estirpare dal fondo dei catalizzatori della pioggia, per evitare di dissipare la poca acqua dolce di questa arida regione.

Spesso pero' c'e' anche il tempo per prendersi cura di se'. Katherine scende allora fino al bordo della laguna, sceglie una delle sue tre canoe e poi pagaia per quattro o cinque miglia fino al punto in cui l'American River e l'oceano si mescolano. E' uno dei suoi luoghi preferiti. Raggiungendo le acque piu' profonde puo' capitare di remare a fianco di un delfino. Seguendo la frastagliata linea costiera si puo' scovare tra le rocce un piccolo, piatto e ancestrale parente dello squalo. Oppure, campeggiando on una delle decine di calette che si incuneano tra gli scogli, si puo' attraversare il bush sino a incontrare bacini lacustri cinque o sei volte piu' salati del mare.

L'isola dove Kathy ha impiantato la sua fattoria e' considerata uno dei paradisi naturalistici dell'Australia. E' la parte selvaggia del piu' disabitato dei continenti. A causa della mancanza di acqua potabile, neppure gli aborigeni riuscirono a insediarvisi. Vi provarono, perirono e da allora non vi misero piu' piede, tramandando la maledizione dell'isola dei morti. Per circa due millenni, quindi, questa terra 13 Km a sud di Cape Jervis prosegui' indisturbata la sua deriva evoluzionistica. I primi esploratori vi misero piede solo agli inizi dell'800. Tra questi ci fu l'inglese Matthew Flinders che con il suo equipaggio diede il nome all'isola. Appena sbarcato Flinders si trovo' di fronte frotte di canguri mai cacciati e per questo docili come cagnolini. Ne consegui' un lauto banchetto serale, a cui il nome "Kangaroo Island" rende omaggio.

Kangaroo Island e' tutt'oggi un paradiso. L'alba sulle rive della Pellican Lagoon e' di una bellezza imbarazzante. Il silenzio e' assoluto. E il cibo ha il sapore dei tempi andati: le api liguri, importate nel 1885, si sono ambientate benissimo, producendo ogni anno un miele giallo oro; le molt6e pecore al pascolo danno uno dei piu' pregiati mieli d'Australia; e le poche viti presenti un rosso dal costo proibitivo.

Ed eppure molti dei 4000 residenti di quest'isola paradiso sembrano accumunati da trascorsi dolorosi. Bob, uno dei fattori piu' vicini a Katherine (circa 12 Km), ha perso una figlia anni addietro, dispersa in mare in corcostanze confuse. Jeanne, una settantaseienne pittrice naturalistica soffre da lungo tempo di un grave problema alla retina. Dipinge - dice - per osservare da vicino cio' che non puo' piu' vedere da lontanno. Un agente chimico presente nella Margarina le si e' depositato in modo massiccio nei capillari retrostanti all'occhio, alterandole le percezioni visive alla distanza. E Katherine stessa si e' trasferita qui dieci anni addietro portando con se' i pochi frammenti rimasti di un'esistenza frantumata.

La sua vita era in Nuova Zelanda. Lei, che di cognome fa Ford, come il costruttore d'auto Henry Ford di cui e' lontana parente, aveva trascorso la gioventu' nelle montagne del sud, contribuendo con la sua fattoria a produrre il Mainland, il formaggio di mucca che ancora serve orgogliosamente a ogni pasto. La suan passione era l'aria aperta, la sfida diretta agli elementi della natura. Katherine correva, a volte una distanza superiore a quella della maratona. Katherine arrampicava, scalando la roccia d'estate e il ghiaccio d'inverno. Katherine pagaiava, cavalcando le onde dell'oceano o le rapide dei torrenti. Talvolta era sola, talvolta in compagnia dei turisti che istruiva.

Il fumo, pero', le tolse tutto. Dopo anni di intenso tabagismo il marito rimase vittima di un ictus, trascorrendo sulla sedia a rotelle gli ultimi anni della sua vita. E lei, lentamente, vide il suo corpo reagire agli agenti chimici con un crescente numero di allergie. Nel momento piu' duro della malattia fu costretta a ritirarsi in un caravan asettico, lontano da ogni forma di civilta'. Fu allora, alla ricerca di un assoluto isolamento che fece rotta su Kangaroo Island, dove un conoscente vendeva una tenuta.

"Quando arrivai - racconta sorseggiando una delle sue profumate tisane - il mio lavoro era alzarmi, riuscire a stare in piedi per qualche minuto. Ripensando a quei giorni, oggi posso solo stupirmi di me stessa. E' incredibile, mi dico, cio' che la forza di volonta' puo' consertirti. Si butta allora il cappello all'indietro, solleva i rotondi occhiali da sole e con il suo viso lentigginoso fa scorrere lo sguardo sulla sua proprieta', su quello che ha costruito in dieci anni con l'aiuto delle persone che si sone fermate nella sua tenuta per bere un caffe' che all'origine ha ancora la forma di chicco. Le capanne che punteggiano le colline giu' fino alla laguna soffrono del disordine tipicamente australiano, ma, sotto le reti e al di la' dei muriccioli, crescono spezie e piante tanto piccole nelle dimensioni quanto vigorose nel sapore. "Siamo cresciuti assieme io e quest'isola" aggiunge. "Era tutto cosi' indietro qui dieci anni fa. Per molti l'elettricita' era ancora un miraggio e la strada che univa l'est e l'ovest era ancora sterrata. Oggi qualcosa e' cambiato. Il tempo qui scorre piu' lento che altrove, ma lascia comunque qualche segno".

Nei dieci anni sulla Pellican Lagoon, Katherine ha cresciuto anche un copioso bagaglio di storie umane. I nomi, quasi ottocento, delle persone che sono passate di qui sono tutti racchiusi in un grosso volume. Gli italiani sono solo tre, i piu' numerosi sono i tedeschi e la piu' eccentrica e' una piccola giapponese. Arrivo' qui agli inizi, piu' di nove anni fa. Parcheggio' a lungo la sua grande moto nel cortile e prima di ripartire promise di scrivere. Lo ha sempre fatto e sempre da una diversa parte del mondo, perche' non e' piu' rientrata in Giappone. La sua ultima lettera e' stata imbucata al polo nord, dove la piccola giapponese accompagnava i suoi connazionali a osservare l'aurora boreale.

Il polo nord e il resto del mondo sono cosi' lontani da qui. Anche l'Australia sembra lontana. Il continente e' in fermento, intento a celebrare i quaranta anni del referendum (27 maggio '67) con cui gli Australiani decisero di cambiare la costituzione e concedere la cittandinanza agli aborigeni. E' una data epocale a queste latitudini e tutti i canali televisivi trasmettono ricostruzioni storiche di quei giorni. Ma sulle rive della Pellican Lagoon il problema e' un altro. E' un gatto morto. "Mi fa un po' schifo - rifeltte Kathy - conservarlo in freezer".
"E a che scopo, scusa, dovresti surgelare un gatto morto", replico interrogativamente.
"Oh, un conoscente vuole provare a usarne la pelliccia per farne un porta bottiglie, bottiglie di birra intendo".
Deglutisco schifato. Lei se ne accorge e conclude: "Un po' inusuale, me ne rendo conto, ma sempre meglio che buttare".

3 commenti:

Anonimo ha detto...

riecco il viaggiatore, ci mancavi, cosa fai alla fattoria? quanto conti di stare sull'isola per scoprire i suoi luoghi e i suoi abitanti? Ma non ci sono proprio sorgenti di acqua potabile?

silviomini ha detto...

Alla fattoria faccio di tutto, dalla costruzione di porte in legno, alla riparazione delle reti di protezione. Sempre con un ritmo molto, molto rilassato. Mezza giornata al massimo e poi jogging, lunghe passeggiate o escursioni in canoa sulla laguna.

Il cibo e' ottimo: insalate coloratissime, caffe' profumati e zuppe di piselli, zucca e ceci.

Insomma, sono di nuovo in forma fisica strepitosa! Staro' qui un'altra settimana circa, prima di riprendere la mia marcia per, credo, l'ultima tappa: Perth.

silviomini ha detto...

L'acqua si' e' davvero un problema.
Sono assenti - credo totalmente - sorgenti di acqua dolce.

Quasi tutte le fattorie dispongono di serbatoi per l'acqua piovana, mentre i centri abitati come Kingscote si avvalgono di acqua desalinizzata prelevata dal mare.

E' una vita arcigna, ma la ricompensa e' circa 1Kmq di spazio per ogni abitante. E alcuni ne hanno molti, molti di piu'!

Il posto e' letteralmente meraviglioso. Si fa birdwatching mentre si pranza. Gli uccelli cacciano nel bush di fronte alla mia finestra.