giovedì, novembre 08, 2007

Cane sciolto e l’eco infinita del diario di Sassello

“Quanto strana questa Arte della Scrittura possa essere parsa alla sua prima Invenzione, possiamo capirlo da quegli Americani scoperti recentemente, che erano sorpresi di vedere gli Uomini conversare con i Libri, e faticavano a credere che la Carta potesse parlare...”
(John Wilkins – Mercuri, Or the Secret and Swift Messenger”)


Non fu certo per necessità interiore che Jacopo 617 mise mano alla penna il 17 aprile del 2005. Probabilmente fu solo per noia. Quel giorno, come tanti altri in precedenza, era salito da solo fino al bivacco di Sassello (immagini). Si sentiva a suo agio in quella casa a metà: perfettamente integra a nord, monca a sud, dove i tedeschi, nel corso di un rastrellamento, avevano appiccato un incendio. Jacopo era arrivato fin lassù senza alcun proposito, attraversando boschi e pascoli solo per la voglia di andare avanti fino a una meta, fino a un posto come un altro. Scelse Sassello perché era il posto più vicino alla sua rotta e perché ormai rivedere quella stanza con il grande camino, il tavolo in legno al centro e la scala per il soppalco, era un po’ come rivedere casa. Quando Jacopo finì la marcia e varcò la soglia si sentì però a corto di senso: non sapeva come riempire il suo tempo lì tra piante colorate dai primi accenni di fioritura.

Fece allora ciò che lui, falegname, non era solito fare. Prese la penna e inaugurò un diario. Sulla prima pagina di un quaderno a righe dalla copertina rigida ripensò ai due daini che aveva incontrato poco prima lungo la salita da Valbonella. Scrisse ciò che secondo lui aveva pensato l’animale maschio: scrisse che la bestia aveva probabilmente provato gioia nel mostrare il proprio palco agli occhi invidiosi dell’uomo. Jacopo raccontò tutti i particolari dell’incrocio di sguardi tra sé e la coppia di daini, dicendo anche che il suo essere lì, così casuale, lo faceva sentire un po’ un cane sciolto. Scrisse tutto ciò e poi ripose il quaderno sul piccolo tavolo a fianco dell’ingresso.

I messaggi che vengono inviati al mondo spesso si perdono nel fruscio di fondo, mentre quello di Jacopo, abbandonato nel vuoto di Sassello, si propagò nell’aria del rifugio fino a generare un’eco. Stefano lo intercettò alcuni giorni dopo, il 24 aprile del 2005. Leggendo le frasi di cane sciolto scelse di mettere a sua volta mano alla penna. Si sentì in dovere di consolare la malinconia che lui riconduceva a quello pseudonimo. Allora, firmandosi a sua volta "cane sciolto", scrisse che il daino probabilmente non era inorgoglito per il proprio palco, ma invidioso per la libertà dell’uomo: l’animale si vergognava di essere stato scoperto lì in quel pascolo in cui era andato solo per nutrire la sua compagna e invidiava il viandante che poteva invece prendere la direzione che più preferiva, su fino al rifugio di Sassello o giù di nuovo verso Valbonella.

Il dialogo tra i due cani solitari per un lungo anno naufragò anonimo tra i commenti di routine che i passanti casuali lasciavano sul diario, riposto sempre sullo stesso tavolino a fianco dell’ingresso. Ma né il tempo, né il caos cancellarono l’eco delle parole iniziali di Jacopo. Un anno dopo, nell’aprile del 2006, Jessica volle imporre la propria voce di donna su quei lamenti maschili: “Cari uomini sconsolati – scrisse Jessica al centro di un lungo intervento – chi vi parla è una donna che come voi ama la libertà. Quello che vi voglio dire è semplicemente che essere liberi non significa necessariamente essere soli. Quello che affermate è solo una maschera che vi portate per nascondere la vostra mancanza”.

Forse Jacopo, firmandosi “cane sciolto”, non pensava alla propria solitudine. Forse Stefano aveva sbagliato a leggerla come tale e a elogiarla. E forse non aveva avuto senso la lunga critica ai due uomini lanciata da Jessica. Ma questo oggi non importa più molto, perché l’eco della parola scritta che si propaga nel vuoto di Sassello prosegue la sua marcia senza più timore di rimanere fedele al grido da cui era partita.

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