giovedì, agosto 07, 2008

Tra due mondi in compagnia di Thomas Mann

Un’altra mail, l’ennesima, mi chiede se a distanza di due anni dal primo post di questo blog abbia trovato la sintesi tra i due mondi che nel 2006 contendevano senza soluzione di continuità le mie simpatie. Credo sia dunque giunto il momento di esternare per il mio piccolo pubblico, ma soprattutto per me, l’evoluzione del mio intricato rapporto tra l’approccio speculativo al mondo della cultura cittadina e la tranquillizzante ripetitività dei cicli naturali della collina, tra il caos frenetico della metropoli e la quiete, talvolta eccessiva, del piccolo borgo. Metterò il mio stato dell’arte per iscritto, anche se forse non sarà né semplice, né lineare approdare alla fine di questo post agostano che segue le incerte geometrie di un pensiero a tratti incompleto.

Il puntello, che poi è stato chiaro da sempre, ancora da prima che ne potessi conservare memoria, è la mia vaga avversione per l’eccesso di civiltà. Là dove c’è folla, ovunque essa sia, subito sento l’eco di un certo sdegno. Neppure il bello per eccellenza, intrappolato tra le spalle di una folla, mi sembra più tale. Preferisco un muricciolo in pietra di più modesta fattura, col quale instaurare un dialogo più personale, privo dell’apparato critico che troppo spesso pregiudica l’approccio ai luoghi più importanti. Preferisco un cappuccino tiepido sul terrazzo di un bar di provincia, dove la porta aperta sul caotico ripostiglio ti lascia la sensazione di poter restare a lungo senza infastidire. Preferisco chiedere informazioni a una vecchia coppia che mi domanda perché sono lì, piuttosto che dover competere per attirare l’attenzione di un passante che desidererebbe non avermi mai visto. Preferisco tutto questo e, dopo aver passato alcuni momenti speciali tra i quattro muri di Portico, in Romagna, e di Silverton, in Australia, so che è lì che devo restare per godermi appieno la maggior parte del tempo.

Proprio in Australia, però, ho anche sperimentato la nostalgia dalla penna e dal pensiero che mi assale entrando in prima persona nella routine quotidiana delle azioni di un’azienda agricola o di un ristorante. Basta uno spunto storico, una curiosità toponomastica o un rimando narrativo per spingermi verso i silenzi di un archivio o di una biblioteca e da lì alla fitta rete di rimandi bibliografici che abbraccia ogni ramo del sapere. Basta uno spunto per stimolare il desiderio di una conversazione che troppo spesso nel piccolo borgo rimane un monologo.

Quando lasciai Bologna per Sydney, nel dicembre 2006, ero convinto che il giornalismo potesse essere il campo in cui fondere queste due opposte esigenze di ruralità e di racconto. Talvolta lo è, come mi ha ricordato pochi giorni fa la mia trasferta in Liguria assieme alla carovana del CamminaMare, ma al giornalismo di oggi e forse a quello di sempre non si può chiedere di sostenere la nascita di una parola cosciente e vissuta. Anche l’editoria in fondo è un’industria e nella sua dialettica tra costi e ricavi la spesa per avere articoli che nascano da cronache vere è troppo alta rispetto ai ricavi che esse garantiscono. E’ vero ovunque e ancor di più se l’oggetto di tali cronache devono essere zone poco popolate, marginali, economicamente povere.

La fusione tra parola e paesaggio trova una realizzazione molto più forte in una visita guidata. Le tante piccole visite condotte in altrettante amene località si sono rivelate in questi mesi sovraccarichi di impegni stimolanti fogli bianchi, terreni fertili per ancorare il sapere di un libro alla forma di un edificio o alle tracce di un sentiero. Ogni appuntamento è stato l’occasione per generare testi che non fossero cronaca ma racconto, non mera trasposizione ma costruzione. Ognuno di essi aveva un inizio, una fine, uno sviluppo, capitoli imprevisti, che solo io ero a decidere, con tutti i problemi del caso.

Finora il vero inconveniente di questa produzione di contenuti è stata la sua sostenibilità economica, già ancora lei. Non solo come introito assoluto, ma anche come pretesa di pagamento per una prestazione così amata. Tra poche settimane avrò modo di giocare la partita che, come risultato finale, potrebbe essere la risoluzione anche di quest’ultimo problema, non del tutto marginale in una società in pieno capitalismo maturo. Verso quella sfida, non facile ma per questo avvincente, mi sto concentrando con un’unione di intenti di cui ero orfano da tempo. E’ come se il desiderio di conoscere altro che mi aveva spinto a lasciare Bologna due anni addietro trovasse ora la sua valvola di sfogo: eccomi così a ogni momento disponibile, di nuovo tra i libri. Ed eccomi così, protetto da una socialità ridotta al minimo, in dialogo continuo con letteratura, arte, storia, lingue, diritto, geologia e botanica. Uno spettro ampio che meravigliosamente si adagia nella mia totale ritrosia alla scelta del particolare.

Nel preparare tale sfida e le altre più o meno simili che la affiancano, non ho potuto frenare un sorriso imbattendomi in una pagina di Thomas Mann. Ve la riporto qui di seguito. Mi è sembrato incredibile quanto Tonio Kroger, il protagonista, riflettendo sul suo continuo oscillare tra misura borghese e foga artistica, si lasciasse a formulazioni dialettiche così adatte per trovare nuova eco in questo minuscolo angolo di web.

Buona lettura!

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“Ed ecco che cosa ne risultò: un borghese sviatosi nell’arte, un bohemien pieno di nostalgie per la buona educazione, un artista con rimorsi di coscienza. Perché appunto la mia coscienza borghese è quella che in tutto ciò ch’è arte, genio ed eccezione, mi fa scorgere alcunché di profondamente ambiguo, profondamente dubbio, profondamente sospetto; è essa che mi riempie di quest’amorosa debolezza per il semplice, il candido, il piacevolmente normale, insomma per l’anti-genialità e la costumatezza.
Io mi trovo in mezzo a due mondi, senza sentirmi a casa mia in nessuno di essi, e questo mi procura qualche difficoltà. Voi artisti mi chiamate borghese, e i borghesi sono tentati di mettermi in prigione… non so, fra le due cose, quale mi addolori di più.”

(Thomas Mann, da Tonio Kroger, 1903)

4 commenti:

Anonimo ha detto...

well its nice to know that you have great hits here.

Anonimo ha detto...

bello il post e anche la citazione... Un caro saluto da mediciNIC ;-)

silviomini ha detto...

Vedo che l'aria della pianura emiliana aguzza l'ingegno nella scelta degli pseudonimi.

Grazie!

Anonimo ha detto...

eeeh... anche la _pianura_ sa riservare qualche *sorpresa*! un caro saluto, Nic