
Guardando i giardini botanici di Sydney dalle vetrate della New South Wales State Library, da dove scrivo, sono gia' certo che questa periferia mi manchera' presto. Mi manchera' in primo luogo il gioco di "cattura storie" che mi sono piano piano costruito. Era gia' divertente inscenarlo quando per il piccolo mensile La Piazza intervistavo i personaggi "figurine" dei quartieri di Bologna. Ma qui a tratti e' stata l'apoteosi. Muovendo pietre con chi muoveva pietre, cucinando con chi cucinava, tagliando legna con chi tagliava legna e allevando api con chi allevava api, ho avuto il privilegio di recuperare aneddoti sparsi in lunghe chiacchierate informali, piu' sporche di un'intervista ma anche piu' imprevedibili. Senza blocco appunti tra le mani, addobbato come un brutto anatroccolo, mi sono goduto il piacere di ascoltare storie senza fare domande.
L'Australia d'altra parte sembra essere stata pensata per produrre intrecci narrativi. Dato il carattere multietnico del suo tessuto sociale, nove persone su dieci hanno una traiettoria di vita che si ramifica nel mondo, dipanandosi lungo una serie infinita di cambi di direzione. E, dato lo scarso peso della storia nazionale, molti sembrano identificarsi piu' che altrove nella propria storia personale. Una storia che al mondo interessa poco e che quindi scorre a fiumi appena trova un terreno adatto su cui riversarsi. Una storia che, nelle zone rurali, diventa il simbolo del sodalizio tra uno straniero dai vestiti consunti in cerca di ospitalita' e un australiano con una tenuta meravigliosa in cerca di compagnia.
Da questo mondo lontano, dove ogni caffe' puo' dare il via a chiacchierate interminabili, mi manchera' anche la sciettezza dei rapporti lavorativi. Non sempre sono facili. Le relazioni di potere, anzi, qui sono palpabili e scarsamente negoziabili. Il ragionamento e' matematico: sei pagato, agisci. Non c'e' alcun ammortizzatore di "cortesia" nell'ordine. Ma, al contempo, non c'e' neppure il tentativo di spostare la ricompensa sul piano simbolico. I complimenti arrivano, copiosi e calorosi a volte, ma non sono mai dedotti dalla paga: quale che sia il piacere che si condivide nel raggiungere un obiettivo, la soddisfazione resta sempre su un piano parallelo rispetto alla transazione economica.
Nelle relazioni lavorative australiane e' poi stimolante l'approccio all'esperienza. In Italia e' piu' che altro un forte freno: sembra non essere mai sufficiente per andare oltre e la sua presunta carenza e' costantemente ventilata assieme allo spettro dell'errore. In Australia, invece, l'esperienza e' una risorsa rinnovabile: c'e' la costante fiducia nella possibilita' di costruirsela in pochi tentativi e gli errori di percorso sono contemplati con sorridente ottimismo. "Provaci" e' il messaggio.
Il messaggio arriva con il supporto di un sistema economico pensato per provarci. Ottenere credito e' facile. Se manca il capitale, un salto in miniera per un paio di mesi consente di capitalizzare migliaia di dollari (4.000 a settimana circa). E un cottage sulla baia di Sydney costa meno di un cesso-locale tra le pantegane del Navile a Bologna.
Rimanere in Australia per la vita resta pero' una decisione controversa. Il pensiero mi ha attraversato piu' e piu' volte (lo fa tuttora), ma accompagnato dalla dark side di questo continente. Il lato oscuro e' immateriale. Se l'Australia e' una delle nazioni con il piu' alto tasso di suicidi nel mondo, non e' certo perche' manca qualcosa. E' forse il contrario. Il facile accesso a una grande casa, una grande auto e una grande spiaggia droga questo paese di un ipermaterialismo, tanto perfetto quanto noioso. E' un po' come se l'Australia fosse una grande Svizzera.
Questa angoscia sociale e' affiorata per esempio nei quattro giorni trascorsi a Victor Harbor (post 1 e foto 1, 2). La localita' gongola nella ricchezza, vantando consistenti flussi turistici sulla costa e redditizi commerci agricoli nell'interno. Tutte le persone con cui ho parlato nello sporting club erano fottutamente di successo: due o tre proprieta', posti coperti per il golf e fuoristrada oceanici. Ma nessuno e' mai andato oltre il "not so bad", lamentando un fastidio di fondo.
Questo spleen prende una forma ancora piu' chiara tra coloro che sono approdati a queste latitudini in tempi recenti. Pochi giorni fa ho pranzato con Jeanne, la moglie del proprietario del Jolly Swagman, l'ostello in cui alloggio. Ha sposato Matthew dopo averlo conosciuto lungo l'Inca Trail. "Allora - dice - non pensavo ne' alle mie radici ne' alla mia famiglia, ma ora mi accorgo che il mio unico desiderio e' portare in Europa la mia figlioletta di un anno e mezzo. La mia casa e' meravigliosa e i posti che puoi raggiungere da qui - il sud est asiatico e le Fiji - sono meravigliosi, ma sono stanca di spiagge. Vorrei quella sensazione di cultura che qui non c'e': le colline della Toscana, i castelli della Scozia e i caffe' di Parigi. Tutti cosi' vicini in termini australiani, ma cosi' diversi tra loro".
La vecchia Europa resta anche nei pensieri di George. E' un capocantiere sui 35 anni. E' nato in Australia, ma e' cresciuto a Belgrado, dove e' rimasto con la famiglia fino allo scoppio della guerra. Ora e' a Sydney da quasi 15 anni. "Amo questo paese - racconta - alla stessa stregua con cui lo odio. Ti da' tutto, ma ti toglie l'anima. Perdi le tue radici senza la possibilita' di fartene di nuove perche' l'Australia non ne ha. L'anno scorso sono tornato a Belgrado per due mesi: ho ancora una proprieta' da controllare ogni tanto. Quando sono atterrato di nuovo a Sydney, con l'unico pensiero del lavoro, credo di aver pianto per la prima volta nella mia vita".
La fame di Europa di Jeanne e George e' la stessa che Malu' mi manifesto' per l'Algeria e che Surandra ha per l'Asia. Surandra lavora qua e la' per pagarsi i suoi studi in accounting. E' originario di Pockara in Nepal, dove non rientra da quasi due anni. Non edulcolora la miseria della guerra civile che si e' lasciato alle spalle, ma non riescie neppure a sorridere alla sua nuova vita. "Sono confuso - ammette laconico - mi fanno pensare solo ai soldi dopo che per tutta una vita non ne avevo mai parlato".
Questi sentimenti sono probabilmente universali, trasversali a tutti coloro che vivono lontano, ma in Australia la lontananza e' piu' grande. L'altro mondo, quale esso sia, e' a 24 ore di aereo, $2000 di biglietto, due mesi di prenotazione e una valigia che deve fare i conti con le stagioni invertite. Neppure una telefonata con 10 ore di fuso orario di mezzo riescie semplice. Il rischio, insomma, e' di rimanere preda della smania di tornare. Desiderarlo fino al punto di farlo e ritrovarsi poi in un mondo sconosciuto. Mi hanno gia' raccontato un paio di volte per esempio la storia della signora spagnola che tesseva le lodi della sua terra casta e pia. Dopo anni vi torno' per il matrimonio della nipote, che, con una trama degna di Almodovar, si stava sposando con un'altra donna.
Per ora comunque questi tormenti da emigrante mi sono estranei. Lascio un paese con la voglia e la possibilita' di tornarci. Piacevolmente rilassato e, al di la' di ogni nostalgia australe, curioso di rimettere piede nella mia Romagna, che, dopo sei mesi, mi riservera' sicuramente qualche novita'. Le vedro' con calma, concedendomi al piu' presto un lusso tutto italico: prendere l'auto per qualche ora e guidare dagli Appennini al mare, attraversando la pianura e scrutando le Alpi. Probabilmente ci sara' qualche ingorgo a cui non sono piu' abituato, ma cerchero' di non dilapidare la lezione australiana. Che di fatto e' molto semplice: "Easy mate, take it easy".