Sono partitola Rocca alle due del pomeriggio di sabato scorso, subito dopo la fine del temporale. Fuori dal finestrino le colline del val Montone, ancora brumose per l’umidità. Trenta km dopo, attraversata una Forlì quiescente, sono arrivato alla pianura. Deserta, assolata, quasi bruciata. L’ho attraversata da sud a nord-est fino a Ravenna. Poi cento km in direzione nord, lungo la Romea: sulla destra in lontananza il mare aperto e sotto le ruote una stretta striscia d’asfalto circondata dalle paludi ravennati, ferraresi, e chioggiotte. Non c’erano camion a rallentare la marcia e in un giro della cassetta degli Eagles sono piombato a Venezia. Tangenziale di Mestre poco trafficata, una veloce rampa di lancio per l’autostrada per Belluno. Tre corsie vuote, finestrino aperto e Davide Van des Sfroos di sottofondo. L’ideale per puntare a nord ovest e addentrami nel Cadore, su su, tra cime sempre più alte e rocciose, fino a San Vito, mia tappa finale, raggiunta in completo relax verso le 19.
“Mi è quasi dispiaciuto essere arrivato”, ho spiegato a mia sorella una volta rientrato. “Solo tu puoi pensare una cosa simile”, ha detto lei sarcastica, cullandosi sul dondolo di fronte a casa. Può darsi che sia un po’ strano, ma il piacere resta. Cinque ore d’auto, con un filo di gas, nessun passeggero a disturbare e una miriade di paesaggi da osservare. Lo ripeto e lo scrivo pure: “Mi è quasi dispiaciuto essere arrivato”. Per fortuna che a consolarmi c’era un’allegra combriccola con cui ho macinato una domenica attorno alle Tofane...
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