Tra le letture degli ultimi giorni si è creato un inusuale incrocio di destini. Dal libro di un teologo è uscito un messaggio rivoluzionario, mentre dal blog di un sessantottino è nato un appello alla misura e al buon senso.
Il teologo è Ivan Illich. Viennese, classe 1926, Illich è un accademico a metà tra storia, filosofia e scienze naturali, tra l'altro impegnato nel servizio sacerdotale a New York. Ha alle spalle decine di pubblicazioni, tra cui, risalente al 1996, Disoccupazione creativa. Il saggio è una critica serrata al sistema economico monopolizzato dalle professioni, colpevole per Illich di aver generato una forma di povertà profonda: l'impossibilità di usare in modo autonomo le proprie doti personali. “Il tentativo – scrive l'autore – di costruirsi una casa o di mettere a posto un osso senza ricorrere agli specialisti debitamente patentati è considerato una bizzarria anarchica. Perdiamo di vista le nostre risorse, perdiamo il controllo sulle condizioni ambientali che le rendono utilizzabili, perdiamo il gusto di affrontare con fiducia le difficoltà esterne e le ansie interiori. (...) Al di là di una certa soglia, il moltiplicarsi delle merci induce impotenza, genera l'incapacità di coltivare cibo, di cantare di costruire. La fatica e il piacere della condizione umana diventano un privilegio snobistico riservato a pochi”.
A fare da contraltare al docente che, su un libro, lamenta il monopolio del sapere da parte degli educatori, arriva l'hippie che, online, cerca di inquadrare razionalmente i sogni bucolici di milioni di cittadini frustrati. Lo scrittore, che intitola il suo blog Selvatici, dedica una luna riflessione al mito della campagna e alle ragioni per cui molti alla fine restano in città. La sua riflessione è un inno alla ponderatezza e al realismo: “Il sogno (di trasferirsi in città) – scrive il blogger selvatico - deve necessariamente essere un po’ romantico, deve saper cogliere il lato magico delle cose, ma deve essere un sogno vigile, altrimenti si corre il serio rischio di allevare una tremenda disillusione come quella indagata dal New Statesman e cantata da Stefano Disegni. Mai come quando si fa ritorno alla terra bisogna, appunto, avere “i piedi per terra. (...) Nel tempo ho anche imparato che pensare di saper fare tutto è un altro errore tipico da cittadino presuntuoso. Chi fa sempre tutto da solo non avrà mai niente di fatto a regola d’arte, e questo vale anche per chi se la sbrigare meglio di me, perché non si può avere la stessa esperienza di un professionista specializzato in tutti i campi. E’ invece buona cosa che ognuno faccia il suo lavoro”.
La sintesi dei due estremi invertiti arriverà probabilmente da un libro scaricabile gratuitamente in formato pdf...
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