Resto appoggiato per un po’ al palo di un’insegna stradale. Mentre aspetto il gruppo a cui mi unirò per la serata, scorro casualmente i numeri della rubrica sul cellulare. Non me ne interessa nessuno in particolare in quel momento, ma mi sento in dovere di impegnarmi in qualcosa. Si osserva sempre con sospetto una persona ferma in uno spazio pubblico senza ragione. Meglio non apparire tali, meglio non dimostrarsi troppo a proprio agio e dare adito ad ancora maggiori sospetti. Meglio maneggiare il cellulare e rendere evidente l’attesa di qualcosa e l’inquietudine per il suo ritardo.
Pochi minuti il gruppo arriva. Il telefono può tornare in tasca e la spalla può allontanarsi dal palo. E’ tutto a posto, ora, non serve più nessun aggancio per sostenere la propria presenza lì.
Quando è già tutto un vociare e un rumore di sportelli che si aprono e si chiudono, ripenso agli attimi precedenti. Forse tutte le elucubrazioni fatte per giustificare la mia sosta vicino al cartello erano un po’ eccessive. A chi poteva interessare in fondo? Solo io dovevo avere quei pensieri in testa, nessun altro. Alla prossima occasione – mi riprometto – siederò più tranquillo, alzando gli occhi per curiosare tra la gente della via. Ma sono dubbioso sulla bontà dei miei propositi. So già che quelle stupidi inquietudini sociali sono proprio quanto a cui non mi decido mai a mettere mano.
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