Articolo pubblicato su AmbienteInformazione
Rivista dell'Associazione Italiana Guide Ambientali Escursionistiche
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Camminare non basta più. L’ultima edizione di “PassoParola”, il festival del cammino ospitato a Berceto, Cassio e Corchia, nell’Appennino parmense dal 30 maggio al 2 giugno 2009, lancia un messaggio chiaro: camminare, oggi, è, o almeno pretende di essere, qualcosa di più di un esercizio fisico in quota. Camminare, “gridano” in coro i camminatori di professione invitati al festival, è un gesto che ha valenze politiche, religiose, filosofiche, ambientaliste, new age e molto altro ancora. Così come i pittori di fine Ottocento, vittime dell’industrialismo, fuggivano verso mete esotiche per trovare ambienti puri e ispiratori, così, oggi, i neo-camminatori, forse stanchi di decenni contraddistinti da tabelle di marcia e dislivelli altimetrici modello Club Alpino Italiano, sembrano fuggire dallo stereotipo della passeggiata in montagna per, in ordine sparso, sporcarsi le pedule lungo fiumi e pianure, puntare a mete dalla valenza simbolica come chiese e città sacre, seguire rotte anonime a ritmo lento, andare a caccia di echi e suggestioni letterarie o entrare nel paesaggio lungo le vie della geografia, della botanica o della geologia. “Camminare – ha detto in apertura di Festival Italo Testa, docente dell’Università di Parma e coordinatore del seminario Pensieri Viandanti – è una pratica espressiva. Camminare non è solo un modo per leggere il paesaggio, ma anche un modo di scriverlo”.
Se camminare, da solo, non basta più, si può farlo assieme a un asino. E’ il suggerimento lanciato da Massimo Montanari, amante-allevatore di asini che da tempo impiega i suoi quadrupedi per itinerari a piedi, format educativi o sessioni terapeutiche. Il vantaggio? Si va più piano e si osserva meglio ciò che ci circonda. “Quando l’asino si ferma c’è sempre un motivo – spiega Montanari -. E’ un esploratore nato e, con le sue soste, trasforma anche chi è con lui in un esploratore. Chi viaggia con un asino ha sempre qualcosa da raccontare. Anche perché l’asino ti dà un grosso vantaggio emozionale: quando entri con lui in un paese è come arrivare con la carovana del giro d’Italia… tutto il paese ti aspetta!”.
Asino a parte, camminare con mappe e gps non piace neppure all’alpinista Franco Michieli. Al festival presenta il documentario relativo alla sua ultima avventura: una lunga marcia nella costa norvegese, tra guadi, fiordi e ghiacciai, condotta senza alcun strumento di orientamento. Nessuna mappa, nessuna bussola, né, ancor meno, gps o altri orpelli digito-satellitari. “Sono sempre più convinto – racconta Michieli – che i media ci sottraggano spazi e tempi per una libera interpretazione del mondo. Anche il gps è un media, uno strumento che ci anticipa il mondo allontanandoci dai segnali che la natura ci manda. Per questo sono partito senza nulla: per vedere davvero cosa accade nel mondo e provare a interpretare solo con i miei sensi un percorso, un percorso di cui, dopo il mio passaggio, non è rimasta alcuna traccia. Io stesso non saprei ripercorrere i miei passi: probabilmente nuovi indizi mi guiderebbero lungo altre vie”.
Per uno, come Michieli, che cammina per allontanarsi dalle identità dei media, c’è un altro, il sociologo francese Mikail Jakob, che cammina per difendere la sua identità sociale. “Camminare – spiega infatti Jakob – è un fatto culturale che non è comune a tutti. Quando ero in America, per esempio, mi sono reso conto di quanto il cammino fosse estraneo alla cultura locale. Lungo i viali alberati della California la polizia si fermava e mi chiedeva perché stessi camminando con mio figlio. Non capivano il piacere che provavo a farlo. La loro era la cultura dell’auto: tutto è così a misura di auto che una volta ho scovato anche una drive-in church, una chiesa attrezzata per confessarsi senza scendere dalla propria vettura”.
Camminare può poi diventare anche un gesto politico. Lo è per il fotografo camminatore Riccardo Carnovalini. “Ho fatto lunghi viaggi all’estero – spiega Carnovalini che nel 1985 percorse da Trieste a Ventimiglia tutte le coste italiane per animare le sue battaglie ambientaliste – ma per lo più ho camminato in Italia, per mettere sotto le pedule un terreno che sentissi veramente mio. Non è un caso. In una congiuntura storica in cui ogni giorno qualcuno sfascia un altro lembo del nostro paese, credo che camminare, riappropriarsi del territorio, viverlo appieno, sia l’unico vero gesto rivoluzionario. Potremo parlare davvero di turismo sostenibile quando i turisti saranno i residenti, quando gli abitanti di un luogo torneranno a conoscerlo, scoprirlo, capirlo e dunque difenderlo”.
La lentezza degli asini di Montanari, il disorientamento di Michieli, l’orizzonte sociale di Jakob e quello politico di Carnovalini sono però modi di camminare di nicchia rispetto al vero cammino celebrato a Berceto nel 2009: il pellegrinaggio. Berceto è uno dei posti tappa più importanti della via Francigena, la rotta tra Canterbury e Roma, che aspira a diventare una nuova Santiago. Nello spazio fiera si accavallano le guide dedicate agli itinerari religiosi e sul palco si incrociano le ipotesi sul ritorno al cammino sacro. “E’ la voglia di mettersi in comunione con la storia”, spiega Miriam Giovanzana, curatrice per l’editore “Terre di Mezzo” di molte guide dedicate alle rotte di pellegrinaggio. “C’è chi cammina per tracciare nuove vie – spiega Giovanzana – ma altri, come me, che amano percorrere le orme di chi ci ha preceduto. Lungo i pellegrinaggi è più facile sentirsi parte di un unico flusso. Lo vedo su di me anche nei piccoli gesti: ho incontrato un albero di mandorle, ma non ho raccolto tutti i frutti che desideravo, perché ho sentito il bisogno di lasciarne in dote a chi sarebbe passato lì dopo di me”.
A parlare di pellegrinaggi a Berceto c’era anche Enrico Brizzi, lo scrittore bolognese che recentemente ha dedicato al suo cammino lungo la via Francigena il testo di narrativa Il pellegrino dalle braccia di inchiostro. “Se uno è sicuro di sé – ha detto Brizzi – fa il politico. Se uno cammina, invece, è probabile che si stia facendo delle domande. E’ una costante di ogni pellegrinaggio, ma in genere direi di ogni camminatore, dal trekker con scarponi modello replica K2 anni cinquanta a chi naviga a vista con le scarpe da ginnastica acquistate il giorno prima. Penso per esempio al broker fallito che ho incontrato nel nord della Francia. Io all’epoca andavo molto lontano, a Roma, ma lui addirittura non sapeva dove andava. Aveva perso tutto, compreso la moglie che evidentemente non era troppo sportiva in fatto di economia. Se fosse rimasto fermo, avrebbe abusato di psicofarmaci. Camminando invece evitava di pensare. Aveva scelto il nord della Francia perché vi aveva visto dei canali, aveva dedotto quindi che doveva essere una zona di pianura più adatta alle sue gambe poco allenate. Più avanti forse avrebbe fatto rotta verso le Alpi”.
Troppe scelte per capire qual è il vostro camminare? Nel dubbio, potete seguire il consiglio di Brian Eno, citato da Giulio Mozzi nel corso della sua escursione-laboratorio di scrittura: “Di fronte a una doppia opportunità, coglile entrambe!”.
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