martedì, aprile 22, 2008

L’indiana sotto la quercia di Montalto

Era ormai sera quando raggiungemmo il cortile del casolare: i muri in pietra della casa davano un’idea di eleganza, mentre i fogli di lamiera sui tetti delle capanne per gli attrezzi lasciavano un po’ di spazio all’incuria. Era la terza casa incontrata lungo la breve discesa dalla quercia di Montalto, l’ultima prima della parrocchia di Sant’Eufemia. Stavamo attraversando quell’aia sbadatamente – io, l’indiana, il geometra e la farmacista – quando una ragazza non più giovanissima, o forse solo non curata, ci si fece incontro rallentando il nostro incedere. La donna di casa precedeva di poco il padre: anziano, ma solido, sdentato ma sorridente, socievole ma a corto di contatti umani.

In quella strana compagnia – gli ultimi abitanti di Montalto, io, l’indiana, il geometra e la farmacista – si parlò un po’ di politica e di una delle tante tasse, un poco più insensata delle altre, che nessuno dei presenti voleva pagare. Però si parlò di quello come si sarebbe potuto parlare di altro.

“I nostri parenti – disse il vecchio – ci dicono che a Roma non si vive più. Qui invece abbiamo così tanto spazio che a volte manca la persona per scambiare due chiacchiere”. Disse ciò prima di entrare tra i suoi animali – qualche vacca e qualche vitellino – portando con sé lo stupore per quella ragazza del nostro gruppo che sembrava bella e intelligente, ma che proprio non riusciva a farsi capire. “Ma tu, dimmi – mi chiese infine non resistendo alla curiosità – capisci quello che dice?”.

“Quel tanto per capire che tu sarai uno dei suoi più indelebili ricordi” avrei forse dovuto rispondere all’ultimo contadino di Montalto di Premilcuore.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

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Stefano Calonici ha detto...

Ecco un'altra piccola storia che trasmette grandi emozioni......

Stefano

silviomini ha detto...

E' merito del posto. Quel cucuzzolo lascia ogni volta una nuova sorpresa in omaggio.