Ben visibile in mezzo al pascolo c’era la capanna dove la ragazza consumava la maggior parte delle ore lavorative. Un incrocio di assi povero e incompleto, che poco o nulla sembrava rispetto al grande albero lì vicino. Dentro lo stanzino in legno, sudicio e pieno di spifferi, c’erano poche galline smagrite e un’accozzaglia di badili e zappe dai manici contorti e dalle lame arrotondate e arrugginite.
La giovane donna passava così tante ore attorno a quel capanno affaticata dal lavoro, che subito, appena poteva, se ne allontanava. Non esisteva pausa o tregua, se non lontano da lì. Però il destino volle che proprio lì vicino finisse per trascorre i momenti più emozionanti della sua vita. Poco più sopra c’era infatti il grande albero: era il più maestoso, l’unico in grado di offrire con i suoi rami riparo dal sole e con il suo tronco riparo dagli occhi indiscreti. Nelle sue vicinanze vi si nascondevano ragazzi per fare giochi da bambini e adolescenti a spingersi un po’ più in là nella vita da adulti.
Anche la giovane donna scelse dunque la quercia per nascondere la sua passione con quel ragazzo della parrocchia vicina: un contadino anche lui, ma dai modi borghesi, con un doppio petto più elegante di quello di tutti gli altri. Il giovane uomo l’aveva sedotta con una storia strana a cui lei non sapeva se credere o no: il contadino borghese le aveva detto che, proprio lì vicino alla sua capanna da lavoro, alcuni secoli prima era passata anche la famosa Caterina Sforza, la signora di Forlì. La giovane donna non aveva mai udito prima quel nome, ma le faceva piacere immaginare di lavorare notte e giorno su una campagna calpestata anche da una dama di città. Aveva preso ad amare quella storia e un poco anche chi gliela aveva raccontata.
Aveva confessato subito il primo amore, mentre tenne a lungo nascosto il secondo. E a nasconderlo, andò sempre dietro la quercia, nell’angolo dove ormai l’erba portava la sua impronta.
Mezzo secolo dopo la donna ormai invecchiata decise di rivelare quel vetusto segreto a un gruppo di sconosciuti: la signora diede loro il benvenuto seduta sotto la sua quercia, attendendo fiduciosa proprio all’ora in cui il giornale del giorno prima ne aveva annunciato il passaggio. Salutò il piccolo manipolo senza dare peso al loro stupore. Si lasciò andare anche a qualche battuta, ma senza avere troppo tempo per andare oltre. Le sue parole furono infatti nascoste da quelle del marito. Era l’amante di allora: ancora riconoscibile dal suo vestir borghese, ancora orgoglioso di raccontare che nel suo comune era passata anche “la Caterina Sforza”, la signora di Forlì.
Fu un incontro tranquillo, senza formalità, senza scambio di nomi. La coppia nata all’ombra della grande quercia si dileguò da dove era venuta, allontanandosi dal suo appuntamento col destino a bordo di una piccola Panda verde come i pascoli ai margini della strada.
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