sabato, ottobre 06, 2012

Il retroterra dei sogni raggiunti

Non ci dovrebbe essere troppo tempo nel mezzo. Invece quasi per tutti – chissà se è così anche per i geni? - ne passa sempre molto tra un desiderio e il suo avvento. Quando si comincia a desiderare qualcosa non la si conosce davvero a fondo. La si coltiva con l'immaginazione, la si desidera ingenuamente. I più, vinti dalla pigrizia, abbandonano subito questa visione e l'archiviano nell'universo dei “magari”: costruiscono così quel rifugio di chiacchiere e speranze che gli fa da placido approdo. Ma alcuni, i più perseveranti, si mettono in cammino per prendere davvero in mano l'oggetto dei loro sogni, il loro desiderio.

Ed è in quel cammino che affiorano le contraddizioni. Si conoscono persone, si leggono libri, si attraversano luoghi, si scambiano opinioni, si fa l'amore in luoghi impensati, si guardano film, si partecipa a feste a lungo sconosciute, si varcano soglie di nuovi locali, si scrivono mail e si eleggono nuove guide. Quel cammino porta lontano. E da laggiù la strada percorsa prende il comando e detta lei la direzione, come un binario proiettato in avanti. Succede, anche se le ombre lontane da cui tutto era partito in vero non interessano più, sono quasi estranee.

Feci questo ragionamento alla fine di una lunga e incessante serie di telefonate che dal primo mattino non mi davano tregua. Il ritmo delle domande superava il mio impegno nel compilare la lista delle cose da fare. Una chiamata privata per la lettura del contatore di casa interrompeva la serie di conversazioni lavorative per terminare la stesura di un atto, completare un rendiconto, richiedere le pulizie di una sala, firmare un foglio di ferie, sottoporre un comunicato all'ok, avviare l'upload di una galleria di immagine per una giornalista, fare il giro di telefonate agli alberghi dell'ala nord per gli ultimi dettagli del programma. Rispondere a tutto - il sogno iniziale - era impossibile. Nel brusio generale, i tentacoli dell'organizzazione vincevano, insinuavano le loro crepe.

Pensavo al tempo in cui per arrivare a quel ruolo avevo corso fino allo stremo. Perché mi avrebbe aiutato a dare peso alle mie idee, credevo, ai miei progetti. Pensavo che avrei potuto prendere quel mondo per mano e dargli la mia direzione. Invece in quel momento ero stanco, come un viaggiatore frastornato di fronte al tabellone che elenca sempre nuove mete.

Ripresi il mio brogliaccio in mano e con le frecce tornai ad aggiornare l'ordine delle priorità, chiedendomi se, a forza di cambiarlo, avrei mai avuto la forza di partire dal punto uno.

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