sabato, settembre 03, 2011

Il lato leggero

Sollevandosi dal letto, allungò la mano e direzionò la luce sul comodino dell'albergo. A fianco del biglietto che gli ricordava la città in cui stava per addormentarsi, il maestro vide la sagoma del suo telefono. Mise gli occhiali, trovati a tastoni lì vicino, e prese l'apparecchio in mano. Sentiva che stava scivolando, che la solitudine lo stava rendendo più cattivo. Lo innervosiva ogni dettaglio della vita là fuori: l'insegna luminosa del pub, il semaforo che regolava l'incessante incedere delle auto in ogni direzione, l'eco dei passanti. Era vita, ma non era sua: lì, lontano da casa, non aveva con chi bere una birra, non aveva meta per cui andare in auto, né alcuno con cui fare due passi. Spesso se li concedeva da solo, per meditare, ma già troppe volte aveva abusato dei suoi pensieri come compagnia. Quella sera non avrebbe funzionato. Sentiva il desiderio irrefrenabile dell'attenzione altrui, fino al punto di comprarla. C'era chi cercava la prostituzione per trasgredire. A lui, semplicemente, non restava altro per compatire.

Il maestro guardò il telefono e si concentrò su quanto aveva fatto durante il giorno. Il viaggio in auto da casa fino all'aeroporto di Roma. Il volo fino a Praga. La lezione di fronte agli studenti del conservatorio. E infine le prove con i componenti dell'orchestra sinfonica. Dopo, aveva detto di essere stanco e non era andato con gli altri fuori a cena. Forse non lo era stanco davvero, ma ormai era abituato così, per prudenza: aveva già sofferto troppe volte nel vedere il flusso di parole che correva attorno a lui nelle cene a fine concerto. Tutti sembravano così a loro agio, così aperti, così ricchi di esperienza, così estranei al loro senso di fine. Si sentiva come un servetto a un banchetto reale: fuori luogo, invisibile, oggetto di scherno a ogni sguardo.

Sulla tastiera del telefono iniziò a digitare il racconto della sua giornata. Vi aggiunse anche i dettagli che la sua sensibilità gli aveva fatto notare, ma che la stessa sensibilità gli aveva impedito di condividere, chiudendoli in un silenzio in cui sembravano non essere mai esistiti. Descrisse la ruga sulla fronte dell'uomo che chiedeva monete in aeroporto. Descrisse la voglia di avvicinarsi a lui che aveva riconosciuto in una studentessa presente alla sua conferenza. Dalla povertà del primo e dai sogni di grandezza dell'altra ne ricavò lezioni di vita, evidenziandone il carattere romantico.

Spedì il messaggio, restando in attesa. Trovò la risposta solo la mattina dopo. Poche parole e una domanda: “Tutto bene?”.
Era come se le persone ignorassero il suo lato leggero. O forse lui non sapeva più esprimerlo?

1 commento:

Adriano Maini ha detto...

Esistenzialismo con qualche nota surreale.