venerdì, gennaio 21, 2011

La lettera e le radici

La sera prima, un venerdì, aveva tirato un po' a tardi, ma non troppo, come d'abitudine. Due chiacchiere, una birra, qualche aneddoto sul passato, qualche idea strampalata di viaggio per il futuro e qualche piano d'azione più concreto per il breve medio periodo. All'una era a letto. Alle due o poco più doveva aver spento la luce, trovando anche il tempo per un po' d'amore e la pagina della staffa. Ora erano le dieci di sabato. Era tempo del suo rituale: due passi fino in centro, un salto all'edicola e poi al bar, in mezzo alla gente ma in un tavolo in disparte e poco rumoroso. Lì avrebbe sfogliato le pagine di Repubblica: uno sguardo veloce ai titoli di politica interna, uno sguardo più attento a costume e cultura e poi la terza dello sport. Era il suo settimanale sorso di epica contemporanea. O almeno così giustificava il tempo che gli dedicava.

Quando arrivò al bar si atteggiò al solito modo. Una vaga aria da telefilm, una certa verve poetica e un fare riflessivo. In realtà però riflessivo lo era solo in parte: molto nel suo fare quotidiano, dal lavoro al tempo libero, poco o nulla nelle sue scelte più profonde scelte che procedevano per lunghe pause e improvvisi slanci. In realtà poi non si sentiva neppure con la vaga aria da telefilm e la verve poetica. Era che lì in un paese dove già Bologna era lontana, bastava poco per avere quell'etichetta. E poi lui si chiamava Maicol, scritto proprio così: pensava che solo chi lo voleva far sembrare lontano da dov'era senza sapere dove mandarlo esattamente poteva dargli un nome di quel genere.

Comunque quel mattino Maicol si sentiva più vicino alle etichette che gli avevano dato di molti altri giorni. Prese il caffè, lo portò al suo tavolo isolato, lo aprì al centro, dove d'abitudine si soffermava di più, e poi, sopra all'esile carta stampata, aggiunse un foglio portato da casa. La ragazza che aveva lasciato ormai un anno prima, di certo più matura ed esperta di lui, gli aveva scritto una lunga riflessione sulla mancanza di poetica nel suo gesto d'addio. A lui così teatrale, retorico ed enfatico veniva rinfacciato un commiato sobrio, sintetico, minimalista. Troppo poco, diceva la lettera. Bisognava ripetere la rappresentazione: non l'intera storia, ma il suo atto conclusivo. Era stata una comunicazione aziendale, mentre dioveva essere una corrida, elegante e drammatica.

Maicol aveva ascoltato storie simili anni prima, ma non era mai stato lui il protagonista. E, come un attore alle prime armi, non riusciva a concentrarsi sul suo copione facendo nel contempo attenzione al resto della scena. Non sapeva se dall'altra parte, chi aveva scritto, era animata da odio, rancore, dolore, senso d'abbandono, volontà di recidere o desiderio di rielaborare. La lettera tra l'altro lo accusava proprio di manifesta incapacità a pensare al rapporto come gioco a due e non come situazione aggiuntiva del proprio io.

Per una volta ancora si sarebbe rassegnato al suo difetto, se tale era: si sarebbe concentrato su se stesso Mentre il caffè si raffreddava e il giornale rimaneva sulla stessa pagina, Maicol sorrise alle proprie radici. Ne aveva di famigliari, di geografiche, di linguistiche e, ora che poteva ricordarsi di dieci anni prima riguardandosi allora già come una persona adulta, aveva anche radici culturali e professionali. Ora quella lettera aggiungeva anche (altre) radici sentimentali. Il suo apparato radicale era sempre più vasto, composito e ramificato. Era come se la sua vita assomigliasse all'albero che per gioco gli avevano fatto disegnare un paio di anni prima.
“Disegna un albero velocemente, senza pensarci troppo” gli avevano detto.
Lui aveva tratteggiato profonde radici, un tronco esile e diritto e una chioma folta e ramificata.
La diagnosi era stata chiara: forte peso del passato, sviluppo senza traumi ma ancora notevole indecisione sul futuro.
Se continuava ad aggiungere altre radici, c'era il serio rischio di diventare un bonsai.

Bevve il caffè freddo e ne ordinò un altro. Non era tempo di speculare sui vizi: ci voleva lucidità. Di certo non avrebbe raccolto l'invito a rivistare le proprie radici sentimentali. Se ogni radice avesse preteso la propria revisione, il proprio futuro sarebbe vissuto con la sola compagnia del passato. Gli serviva piuttostop un luogo. Doveva scegliersi il proprio, più al centro della propria ricca rete di amicizie, più in centro in generale forse. Trasferirsi lì con il suo lavoro, che quello non poteva essere cambiato, perché troppo bello per essere tradito. E solo una volta lì invitare a raccolta le radici vecchie e nuove. Già perché quando ci si muove, si tende a essere più disponibili verso la meta, a volte troppo disponibili, fino al punto di tradirsi per compiacenza. Gli serviva un luogo suo, dove non aver paura di mostrare le proprie quotidiane debolezze.

5 commenti:

roberto ha detto...

Ti ringrazio per i complimenti e la notizia, ma sono stato aiutato dalla fortuna.
Il racconto a cui ti riferisci è forse "L'ultimo grido nella valle" ? Se è quello l'ho pubblicato sul blog nel marzo 2010.

Tomaso ha detto...

Ciao Silvio, bello il tuo racconto, sai qui io leggo molto poco l'italiano, il contatto che ho è solo un po di TV e il mio amato blog.
Buon fine sattimana caro amico,
Tomaso

silviomini ha detto...

@roberto: esatto, il racconto è proprio quello.
Tra l'altro Giuliano lavora con me al Comune di Bagno di Romagna, come bibliotecario.
Può essere una chiacchierata interessante per chi come te ama l'Appennino. Ai tempi della Re Medello Giuliano e i suoi compagni d'avventura inaugurarono un modo di camminare ricostruendo la storia sociale e personale del luogo e dei suoi abitanti.
Di recente sono popi uscite due nuove pubblicazioni: Al tempe del Coroje" sui poderi della parrochia di Bagno; e "I sentieri di Santa Maria" sui percosi dell'Alto Savio.

silviomini ha detto...

@Tomaso: sai, personalmente non ho mai vissuto la realtà di emigrante. Ho passato un lungo periodo in Australia, ma per scelta e non per necessità.

Nella comunità dove lavoro, a Bagno di Romagna, però, molte famiglie hanno emigrati tra i loro cari. Tant'è che il Comune è gemellato con Rapperswill, meta di molti lavoratori dell'Alto Savio.

Buon fine settimana anche a te,
silvio

Tomaso ha detto...

Conosco molto bene la cittadina di Rapperswill, si trova a circa 35 Km, da dove abito io sulla costa del lago di Zurigo, li ce la la base del circo più importante della Svizzera ci andavo molto spesso con i miei bambini negli anni70-80 il circo KNIE li a tutti gli animali, il zoo per bambini, tutte le domeniche ci sono giochi dovi i bambini participano con diversi animali, la cosa che mi era rimasta impressa erano i delfini, non dimenticherò mai quei tempi.
Buona serata caro Silvio,
Tomaso