La pioggia non diventa neve, ma nelle fessure del selciato un ghiaccio sporco, di lunga data, continua a rendere scivolosa la notte. L’umidità cade dal cielo trascinandosi a terra anche la luce dei lampioni: la via è buia, deserta, silenziosa, spezzata in due dal rivolo d’acqua che l’attraversa e che si allarga qua e là conquistando lo spazio delle pietre mancanti.
All’ombra della chiesa, al centro della piazza, c’è un tendone. Disegna uno scheletro bianco di lamiera sulla luce gialla della taverna all’angolo. Dai vetri appannati filtrano le bestemmie di chi gioca a carte. Dentro solo uomini. Fuori un piccolo capannello di donne che sputa fumo, rancore e invidia.
L’orologio, in cima alla torre, accompagna più lentamente del solito la strada, la notte, lo scheletro bianco e l’osteria. Su in alto, da solo, non batte, non suona, quasi non si vede. Sembra fermo, in attesa di un momento migliore per ripartire. Per quell’ora non c’è storia.
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