venerdì, dicembre 26, 2008

Il tempo della montagna e le sue voci

Piccolo omaggio agli ospiti e agli organizzatori di
Ghiotti di natura - edizione 2008


Dall’introduzione di Davide Longo all’antologia Racconti di Montagna (Einaudi, 2007).
“Capii così che potevo paradossalmente fregarmene di cosa fosse la montagna in sé, dove iniziasse, dove finisse e secondo chi. Quello che dovevo avere chiaro era cosa rappresentasse per gli uomini, e quel giorno Talino e Berger, ciascuno a proprio modo, me lo avevano insegnato come meglio non si poteva.
La montagna per un uomo è un tempo diverso. Di conseguenza, un racconto è un racconto di montagna quando narra l’incontro di un uomo con il tempo della montagna.
Se tale incontro si verifica tra la montagna e un uomo seduto su un treno, intento a fissare le cime lontane, quello è un racconto di montagna, così come lo è se l’epifania sopraggiunge in una grangia circondata da vacche, in cima al K2 o nell’ascesa di un modesto cucuzzolo come il Mont Ventoux. Il cuore pulsante dell’antologia doveva essere un’esperienza, non un luogo; un’esperienza di cui la montagna era il motore, ma l’uomo il protagonista.
(...)
Le storie che cercavo, comuni o straordinarie, reali o ideali che fossero, dovevano essere toccate dalla montagna più che abitarla. I loro protagonisti dovevano vivere l’esperienza della rarefazione cui la montagna obbliga l’uomo; rarefazione dell’aria, dei suoni, degli incontri, ma soprattutto del tempo. Perché la montagna ci costringe in primo luogo a prendere atto di questa feroce verità: il tempo esiste, è il centro della nostra vita, ma non è fatto a nostra immagine e somiglianza”.

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Citazioni da chi, con la penna in mano, ha raccontato il mondo da una prospettiva di montagna, più orale che scritta, più magica che razionale, più meditabonda che impulsiva:

Citazioni sul ricordo e la memoria
  • Marco Aime – Il lato selvatico del tempo (pag. 62)
    “Una storia non esiste in quanto sequenza di eventi, esiste quando viene raccontata, vive nel modo in cui viene raccontata”.
  • Maurizio Maggiani – Il viaggiatore notturno (premio strega 2005) (pag. 91)
    "No, alaghy, io non ce l'ho una fotografia. Io, alaghy, non dimentico, e quando ho nostalgia ritorno".
Citazioni sul tempo
  • Mauro Corona – Nel legno e nella pietra (pag. 19)
    “Dopo i primi quattro, cinque giorni difficili, sentii che stavo riappropriandomi dei ritmi naturali che l’uomo ha dentro di sé sin dai tempi in cui apparve sulla Terra. I giorni iniziarono a trascorrere veloci, l’ansia era scomparsa, di notte dormivo tranquillo. Non prima di aver chiacchierato con i folletti di legno appesi alle pareti”.
  • Marco Aime – Il lato selvatico del tempo (pag. 52)
    “Per lei non c’era un tempo del lavoro separato dal resto della sua giornata; per lei, come per tutti gli altri, esisteva un tempo solo, quello di tutti i giorni, e le scadenze da rispettare le davano la terra e gli animali”.
    (pag. 131)
    “Agli occhi di un estraneo, un castagno secco da tagliare significava fatica e ore perse; a quelli di Pettu e Toni no, per loro non era tempo perso, era tempo vissuto e da vivere, era la loro esistenza”.
Citazioni sul soprannaturale
  • Mauro Corona - Nel legno e nella pietra (pag. 96)
    "Il giorno dopo raccontai questo strano fenomeno all'amico Ottavio. Ascoltò in silenzio. Conclusi dicendo che, forse, il ciuffolotto sul larice era Dio. Meravigliato del mio forse, il vecchio bracconiere rispose: "Era lui, chi vuoi che sia stato, era lui".
  • Maurizio Maggiani - Il viaggiatore notturno (pag. 104)
    "Ascolta, Jibiril. Père Focauld ha scritto che se un uomo crede in modo sufficientemente fervido, agli occhi di chi lo guarda diventa irreale. E più tenacemente crede, più ciò in cui crede, più ciò in cui crede diventa irreale quanto lui. Dice che tutto ciò è bellezza. Dice che questa è l'utile bellezza dell'uomo e del suo credo agli occhi di Dio e dell'universo".
  • Fosco Maraini - Viaggiatore curioso (pag. 46)
    "Direi però che si debbano seguire gli inviti della razionalità fin dove è possibile farlo, lasciando al mistero il dominio che gli compete, oltre gli ultimi avamposti della ragione. Per questo amo rivolgermi a Dio con un nome neutro, vergine, quasi astrale, EMCAU (Ente Misterioso Creazione Amministrazione Universo).

Per saperne di più:

venerdì, dicembre 12, 2008

L’attesa

Il fondo limaccioso del suo nascondiglio tra le frasche cominciava a trasmettergli un invadente sensazione di malessere alle ossa. Doveva essere accucciato lì ai bordi della radura da almeno tre ore. Si era imposto di non muoversi, neppure per guardare l’orologio, ma lo intuiva: erano molti i minuti trascorsi ad ammirare la calma piatta della natura in attesa che succedesse quell’improbabile evento meritevole di uno scatto.

Tentò di bagnarsi la gola secca per il freddo con un silenzioso gargarismo: poi sputò sulla foglia per trastullarsi un attimo con i movimenti della sua saliva sulla foglia. Era il solo modo che riusciva a immaginare per distrarsi dal campo, vasto e immobile, su cui aveva deciso di puntare il teleobiettivo quella mattina. “E dire – pensò – che qualcuno, in questo momento, starà sicuramente sfogliando una rivista patinata sul treno, invidiando l’uomo che ha visto dal vero le corna di quei due cervi incrociarsi nella foga del combattimento”.

Lo immaginavano come Indiana Jones e invece era lì, solo, in attesa, senza certezze. Si sentiva come il protagonista del Deserto dei Tartari: una vita votata al nulla in attesa di qualcosa. Si sentì anche un po’ colpevole: le sue lunghe attese non costruivano altro che bugie. Le sue foto disegnavano una storia a tinte forti attorno a pochi sporadici incroci di destino. Raccontava il contrario, ma la natura era avara di colpi di scena.

“Avrebbe potuto fare di meglio?” si chiese. Forse. Ma forse chi si accaniva a seguire i fatti o provocarne di nuovi stava ancora a peggio: a lui era negata la possibilità di cogliere anche quei pochi eventi rari che ogni tanto succedevano davvero.

Sputò di nuovo. Ignorò la sua saliva e tornò con l’occhio verso il mirino.

giovedì, dicembre 11, 2008

Il lato imprevedibile della perfezione

In quel momento non pensava di essere uno dei più abili alpinisti del tempo. Non pensava affatto. La sua mente era pura esperienza. Sentiva le foglie compresse sotto gli scarponi, sentiva le pieghe della corteccia su cui poggiava la mano, irrigidiva le orecchie alla brezza che gli soffiava alle spalle e, nel corpo immobile, misurava con precisione i volumi d’aria che entravano e uscivano con un regolare flusso di scambio e compenetrazione.

Scattò felino, inoltrandosi in una corsa veloce e impetuosa tra le frasche del bosco. Amava, come tante volte in parete, assaporare fino in fondo quei frangenti di assoluta perfezione: quei momenti in cui era parte del mondo, unito a lui in un moto unico, armonico, avvolgente.

Fu sorpreso quando sentì il suo piede destro scivolare. Perse l’equilibrio e si ritrovò in sospensione. Pensò intensamente cercando di non dimenticare nulla nei secondi che avevano accompagnato la sua corsa, negli anni che avevano preceduto il suo ultimo scatto felino della boscaglia. Fu sicuro di essersi scomposto su un sottile velo di muschio attorcigliato alla roccia sulla riva umida del torrente. Fu anche certo di essere vicino al perché della sua corsa, di quella e delle tante che l’avevano preceduta. Fu così certo di essere di fronte a quella risposta, che sentì le sue tempie pulsare per il desiderio e il suo naso sanguinare in un delirio di ormoni e idee.

L’attimo interminabile finì allora. Il suo corpo fu accolto duramente dal terreno, tornato a essere altro, sconosciuto, nemico. Ebbe tempo di pensare che gli sarebbe piaciuto protestare, un’ultima volta. Ma il suo anelito non trovò reazione. Non ebbe più alcuna notizia da se stesso.