mercoledì, giugno 13, 2007

Sulle rive del fiume. Cosi' vicino, cosi' lontano

Il telefono squilla. Katherine saluta questo sporadico evento con voce cordiale. Alla cornetta c'e' Davis, uno dei decani dell'isola: il suo vino e' un nettare pluripremiato. La conversazione si fa vivace e rispettosamente lascio a essa la privacy che merita. Rientro nella sala da pranzo solo alcuni minuti dopo. Katherine (foto) mi guarda raggiante, spalancando gli occhi come un personaggio dei cartoni animati. Beve una boccata di spremuta di melograna, fa un ruttino e poi lancia la sua offerta. "Perche' Silvio non rimani sull'isola fino al 24? Devis mi ha appena informato che ci sara' l'escursione del walking club. Di solito e' molto divertente e con un po' di fortuna ci saranno anche i vecchi abitanti dell'isola, i veri islanders. Con loro gli animali sul tracciato non passano mai inosservati e poi avranno di certo delle storie da raccontarti".

Katherine mi considera ormai uno di casa. Si diverte perfino a emularmi. Prima di coricarsi, di solito non piu' tardi delle 8 di sera, impugna carta e penna e lascia sul foglio qualche frase sulla giornata trascorsa. "Scrivo col cuore piu' che con la testa. Butto giu' le idee come mi vengono" mi dice alla ricerca di compiacenza. Poi mi mostra il foglio dove ha elencato tutti i lavoretti da me svolti negli ultimi 20 giorni. Le descrizioni piu' lunghe, complete di supporto iconografico, sono quelle per le due porte ricavate da legno reciclato. Mentre le "erigevo" mi ha anche scattato qualche foto con la sua vecchia analogica. "You are a fully licensed bush carpenter" rideva dietro l'obiettivo.

Sullo sfondo di queste tre settimane con Katherine c'e' il lento fluire dell'American River. Un fiume, come nei migliori romanzi di Tim Winton, la penna dell'epopea australiana. Un fiume il cui nome arriva diretto dai leggendari tempi dei balenieri, quando gli Americani scelsero queste rive paludose per allestire un poderoso peschereccio e fare rotta verso il polo sud. L'American River e' un paradiso per la pesca e uno stadio per la canoa, ma la sua acqua e' salata, come quella di tutti i fiumi dell'isola, prepotentemente risaliti dalla marea oceanica.

L'American River e' uno dei quartieri piu' popolosi dell'isola. Quasi sempre si vede un insediamento all'orizzonte, annunciato dai serbatoi ospitati in ogni proprieta'. Nelle vicinanze del fiume ci sono le vigne di Davis, i greggi di Bob e gli alloggi di Dean, che, a 72 anni passati, pilota ancora personalmente l'aereo con cui preleva i turisti ad Adelaide. Lontano dal fiume, affacciato sugli strapiombi di Cave Beach, nella costa sud, c'e' invece un sinistro chimico di mezza eta'. In pochi vi hanno parlato, rispettando l'invito a non farlo affisso sul cancello che delimita la sua proprieta'. Apparentemente, il solitario che riesce a stupire il solitario popolo dell'isola, e' impegnato a sintetizzare solventi di origine vegetale.

Quando Katherine si ferma a guardare il fiume e la sua laguna significa che e' arrivato il tempo del ricordo. Di giorno in giorno piu' intimo, piu' personale. L'ultimo e' stato per il marito, John. "Era cosi' maldestro nelle attivita' di campagna. Una volta provo' a far fermentare delle banane. Esplose tutto e da allora sua madre non riusci' piu' a ripulire il soffitto dai parassiti che vi si riproducevano.". "Chissa' - sospira Kathy - forse se non fosse stato ossessionato dal suo lavoro di preside, sarebbe stato ancora qui. Sarebbe stato meno stressato e avrebbe fumato meno. Chissa'. Pover uomo, ha continuato a rimandare la pensione fino a quando non ha piu' potuto chiederla".

Di fronte al fiume Katherine svela poi la tormentata battaglia psicologica che si consuma in lei ogni volta che apre le porte della sua proprieta' a un nuovo sconosciuto. La noia per chi e' incompatibile. LA paura di ospitarne uno "sbagliato". E la voglia di trattenere quelli giusti, "quelli - dice Katherine - che si divertono a sperimentarsi in panni non propri, quelli che si gustano un'insalata, quelli che accettano la sfida di un lungo cammnino". Dopo tre settimane io rientro probabilmente in quest'ultima categoria. "Perche' - mi chiede ancora - non ti fermi fino al 24? Sono solo 12 giorni e sono convinta che puoi fare anche da qui la richiesta per il recupero delle tasse versate in Australia. E nel frattempo puoi lavorare da altri fattori per esplorare il resto dell'isola".

Mi ritrovo cosi' con il telefono in mano, a caccia di brevi lavoretti in altri lidi di Kangaroo Island. La stagione e' bassa, ma alla quarta telefonata la sorte fa un sorriso piu' ammiccante del solito. Al di la' della cornetta c'e' una giovane coppia israeliana. Il loro recapito mi e' finito tra le mani in via ufficiosa: da loro aveva alloggiato Julien, un ragazzo francese appassionato di storia e fotografia, conosciuto a Penola e reicontrato a Darwin.
"In questo momento - mi risponde una voce femminile - non c'e' proprio nulla da fare". Ma la frase si interrompe e la ragazza mi richiede il nome. "Ah, Silvio! Julien ci ha parlato molto di te, della tua macchina fotografica e del tuo blog". Basito, resto in linea ad ascoltare l'epilogo del piccolo miracolo in corso:"Un amico di Julien - prosegue la voce - e' un nostro amico. Sei dunque il benvenuto tra noi: ci godremo il posto assieme per qualche giorno".

Riattaccando il ricevitore, che subito squilla con altre risposte affermative, penso tra me e me al gioco di coincidenze appena consumatosi, all'intreccio di relazioni che si cominciano a dipanare qua e la' per l'Australia. "Cosi' vicino a una vita normale" mi dico, pronto ad aggiornare l'altro capo del mondo sulla mia piacevole serata a Kangaroo Island.

Sulla rotta verso la giovane mattina romagnola, pero', il mio entusiasmo viene sopito. Dall'altra parte della cornetta c'e' un umore cosi' cosi', retaggio di un lutto relativamente prossimo nel tempo e negli affetti. Lo scopro solo con diversi giorni di ritardo. "Cosi' lontano" sono allora costretto a riflettere, interrogandomi sulla liceita' della mia overdose di fatti propri agli antipodi del mondo.

Katherine mi rincuora. "Tranquillo Silvio. La vita e' una scommessa che tutti perdono, qui e la'. Sorridendo e lottando, pero', si puo' posticipare la sconfitta anche di molto".

Cosi' la marcia continua. Solo un giorno dopo sono sul fuoristrada di Brenton, un apicoltore di Vivonne Bay. L'auto si fa spazio a fatica tra un bush selvaggio, a caccia di macchie di fiori bianchi e di canti di uccelli, i due segnali che indicano un posto adatto a collocare le arnie. Dal finestrino immortalo un koala e penso al venerdi' sera quando mi siedero' tra la piccola comunita' di Vivonne per partecipare al rito della partita di football alla Tv. "Mi dovrete spiegare le regole" dico palesando tutta la mia ignoranza in materia. "Puoi anche non saperle - risponde pero' Brenton - la partita e' sola una scusa per brindare e filosofeggiare".

3 commenti:

Unknown ha detto...

ciao fratello,
così rimani ancora un po' nell'isola, mi sembra una buona idea,peccato solo che i contatti siano rari, ma d'altronde che isola selvaggia sarebbe con internet in ogni dove! buona permanenza e scatta tante bellissime foto. Ci vediamo a ferragostoo giù di lì

Unknown ha detto...

Ciao amico,


ti sto seguendo dal principio. E penso che il tuo viaggio stia facendo impallidire quello che ho fatto io due anni fa e di cui ebbi modo di parlarti con un entusiasmo che evidentemente ti ha contagiato. Ho seguito rotte belle, ma certamente più convenzionali e preconfezionate, di quelle che tu hai creato. Ti invidio, ma in senso buono. Anzi, ti ammiro. Se magnificare la Land Down Under ha almeno in minima parte contribuito a spronarti a partire, beh, dati i risultati sono contento di averlo fatto. E credo anche che tu sia cresciuto, in questi mesi, anche come scrittore. Questi ultimi post mi piacciono molto.

Un abbraccio, amico. E keep on backpacking around

Filippone

silviomini ha detto...

Ciao Nicola,

come ho gia' ringraziato raffa (https://www.blogger.com/comment.g?blogID=24977864&postID=9203424087100582140), ringrazio anche te per i complimenti che fanno sempre immensamente piacere. Nel tuo caso, come giustamente ricordi, il ringraziamento vale doppio, perche' senza quei racconti alla cena nel mantovano per il matrimonio di Tommaso, probabilmente io ora non sarei qui e tutto quello che e' qui narrato non sarebbe mai esistito. O meglio, sarebbe esistito, ma io non avrei avuto il piacere di raccontarlo.

Tra un po' chiudero' questa mia parentesi (forse solo la prima) australiana. Ma la speranza e' quella di lasciare inalterata, ovunque sia, l'apertura alla vita che ho maturato in questi mesi, dove, cercando di abbattere ogni preclusione (in particolar modo professionale), ho esperito in maniera diretta la vita come poche redazioni credo possano a consentire.

Con un atteggiamento di tale fatta, non c'e' bisogno di essere in Australia per raccontare storie. Ogni luogo puo' essere un buono spunto.

A presto per un costruttivo confronto in materia. Magari con bevendo "a couple of beers", come dicono qui.

Un caro saluto,
silvio