lunedì, novembre 14, 2011

Un "filosofo del cammino" in mezzo ai runner

Pubblicato su Spirito Trail (autunno 2011)

Domenica 4 settembre mi sono avvicinato alla linea della partenza del primo Trail della Margherita di Rocca San Casciano con sguardo interrogativo. Ho iniziato a camminare in natura con costanza dal 2006, trovando nei sentieri appenninici del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi lo sfondo ideale per favorire un sorta di contemplazione laica: quattro chiacchiere con gli amici più sinceri, quelli a cui si confidano anche le debolezze, per giocare a rifare il mondo, un po' come se la natura fosse il bar dei quattro amici cantati da Gino Paoli. Da questa mia abitudine ormai consolidata è forte il salto all'atmosfera che ho trovato al nastro di partenza del Parco Gramsci alle nove di mattina di una giornata più calda e umida della media settembrina romagnola. Tra gli atleti impegnati nella gara competitiva, 49,2 Km con oltre duemila metri di dislivello, c'era tensione agonistica: nell'abbigliamento, leggero all'estremo, e nella mente, votata a chiudere nel minor tempo possibile quell'infinito sali scendi tra i 214 m del fondovalle e i 691 metri del Monte Mirabello, cima più alta del percorso. Il gruppo, composto da circa cento atleti, era attraversato da battute e ilarità, ma la sensazione era che l'ironia fosse solo un esorcismo contro la paura di avere una crisi, di soffrire un attacco di crampi per la calura eccessiva, di rimanere trappola dei tratti di percorso più nervosi, rompi ritmo, tecnici.

Al via gli atleti abituati a questo genere di competizione hanno subito scavato il vuoto e così ho posticipato la ricerca delle risposte alla mia curiosità sulle motivazioni delle corse in natura. Libero dai miei punti di domanda, ho regolato il respiro e appoggiato lo sguardo allo scenario del percorso, interamente indicato dal segnavia Cai 431, grazie al lavoro di segnatura compiuto dal gruppo Roccarunner locale con la supervisione tecnica della sezione forlivese del club alpino. Il percorso del Trail della Margherita disegna un fiore attorno all'abitato di Rocca San Casciano, scalandone i crinali che cingono il paese ai quattro punti cardinali. La corsa punta inizialmente verso nord ovest e, circumnavigata una quercia secolare tutelata da apposito decreto della Regione Emilia Romagna, sale fino al Monte Mirabello, una terrazza panoramica tra le vallate del Montone e del Tramazzo-Marzeno, da cui lo sguardo si proietta senza ingombro fino al vicino mare Adriatico e, più a est, verso il Montefeltro, fino alla “Testa del Leone” descritta dal Monte Comero. Da questa cima, il tracciato piega verso sud e, attraversando il borgo di Marzanella, si porta idealmente più vicino alla Toscana, regione che ha governato politicamente, amministrativamente e, per molti aspetti anche culturalmente, questo lembo di Romagna dal 1400 ai secondo decennio del Novecento. L'impronta di questo lungo passaggio storico si nota in diverse peculiarità architettoniche, come le persiane alle finestre o gli archi che fungono da ponte tra i vari nuclei dei borghi rurali. Sul percorso se ne attraversano o sfiorano molti: Marzanella, Santa Maria in Castello, Berleta, Santo Stefano, San Donnino in Soglio. Protagonista assoluta in questi mondi, per lo più abbandonati al loro silenzio dopo la fuga in massa degli abitanti verso le industrie di pianura nel secondo dopo guerra, è la pietra arenaria, raccolta sul posto e forgiata con eleganza per dare forme a case che sfruttano i naturali dislivelli del terreno per elevarsi su più piani.

Tra queste tracce della presenza dell'uomo, campeggia un paesaggio collinare che però è più ruvido di quello toscano. I pendii rocchigiani presentano salite ripide, discese verticali, fondi rocciosi e altri sabbiosi, in una rapida successione su cui il Trail della Margherita si insinua voluttuoso costringendo gli atleti a modificare costantemente il loro ritmo di gara. L'Appennino romagnolo, come testimoniano le parole del bolognese Gino Venturi,è una sfida anche per coloro che sono abituati ai grandi dislivelli alpini: “Prima di correre a Rocca – ha detto il runner – avevo percorso una maratona dolomitica e, pensando che le colline di Rocca fossero morbide come quelle del bolognese, credevo di non aver problemi. Invece il percorso è stato durissimo e solo il piacere di correre per 49 km tutti in natura, lontano da auto e moto, mi ha permesso di tenere duro e arrivare al traguardo”.

Già il traguardo. Per primo, a sorpresa, è stato tagliato da un atleta locale, che non ha dimenticato l'allenamento alla fatica maturato sui pedali della bicicletta. Il vincitore è stato infatti il runner rocchigiano Matteo Lucchese che ha chiuso con un tempo di 4.33.38, lasciandosi alle spalle anche un nome di grido nazionale come Gianluigi Ranieri, giunto a oltre sei minuti di ritardo.

Al suo arrivo Ranieri, fermato ai microfoni degli organizzatori, ha dato una risposta che, una volta udita, mi ha riportato ai pensieri della partenza e alle ragioni che spingono un numero crescente di persone a mettersi alla prova su distanze al limite della resistenza. Ranieri non si è lamentato per l'inattesa sconfitta, né ha difeso la propria prestazione. Ha solo elogiato lo sforzo degli organizzatori che con i loro lavoro di mesi avevano permesso a lui e agli altri di scoprire un paesaggio nuovo e di divertirsi in una domenica impensabile senza la fatica delle squadre di cinghialai disposte ai ristori, della protezione civile impegnata per le emergenze, dell'amministrazione comunale di Rocca San Casciano che ha redatto le mappe del percorso e di tutti coloro che, a vario titolo, hanno pulito il tracciato, scattato le foto, aggiornato il sito internet o girato un video.

Ranieri non ha risposto come un atleta sconfitto, ma come unhttp://www.blogger.com/img/blank.gif corridore contento di aver esplorato di nuovo i propri limiti, in un anfiteatro costruito da uno sforzo collettivo di un'intera comunità. E lui non è il solo ad avere questo atteggiamento molto lontano dal semplice agonismo. Da una rapida ricerca sul web si legge infatti che anche Marco Olmo, sessantenne leggenda della corsa in montagna, parla con filosofia, come se la sua fatica nel correre fosse ciò che è la tela per un pittore o la carta per uno scrittore. “Io – scrive Olmo – sono un vinto nella vita. Corro per vendetta, corro per rifarmi”.

E poi, agonismo o filosofia, alla fine della fatica, il Trail della Margherita si rivela comunque una festa. Accade alla ex colonia dove un esercito di volontari accoglie gli atleti con un piatto di tagliatelle al ragù: perché le salite sono le stesse ovunque, ma le ricompense cambiano e nelle colline romagnole hanno un gusto più saporito. Tanto che Manuela Sabbatini, appena tagliato il traguardo, ha già promesso di ripresentarsi al via l'anno prossimo. Per scoprire quando, basterà connettersi al sito www.rocchigiana.it.

3 commenti:

Adriano Maini ha detto...

Bello il carattere di festa. Superba la traccia paesaggistica e naturale del percorso. Ma, consentimi di scherzare un po', dicendo che ora capisco meglio un certo tuo commento recente ... :))

maresco martini ha detto...

mi ci sono provato anchio per più di 20 anni ho corso ma il mio fisico non sopportava più di 25 kM
Invece mia figlia corre tre maratone l'anno, non ha preso da me.

Ambra ha detto...

In proposito devo segnalarti un runner assolutamente eccezionale, del quale non so se hai avuto notizia.
Puoi vedere qui da me in http://sinfoniadivoci.blogspot.com/2011/10/sfidare-il-limite.html
Non ho mai corso e mi è difficile capire davvero che cosa si prova, ma vedo spesso durante le maratone sui visi affaticati dei runner molta gioia e allegria.