domenica, aprile 11, 2010

Trame in fuga e altre ragioni per una pausa

Qualche giorno di pausa. Nei giorni scorsi questo è stato un diario muto. Senza cercarne altri, questo è già un fatto. Può essere casuale, forse lo è, a molto non c’è spiegazione. Ma io sono un uomo e gli uomini fanno solo una cosa dall’inizio alla fine: scovano le ragioni più nascoste delle cose che a loro succedono e si raccontano storie per spiegarli. Inutile sfuggire a questa tentazione.

Di certo non è successo poco. Anzi direi proprio il contrario. Le ore sembravano abbracciarsi fino a fondersi tanto ciò che sarebbe successo dopo incombeva su quanto era in corso. Ma la mancanza di tempo non è mai una ragione accettabile per una frase non scritta. Il desiderio di raccontare e raccontarsi è un’emergenza e proprio nelle emergenze si scrive di più: le pause servono per studiare, mentre per scrivere va bene anche un blocco note stropicciato appoggiato su un cuscino nei cinque minuti che si rubano al sonno che pesa sulle palpebre. In quella calligrafia incerta finiranno le frasi migliori, quelle che devono uscire dalla mente per poter avere il riposo vero.

Uno dei problemi è un altro. Quando una rete di piaceri ti abbraccia ammiccante sera dopo sera e dopo giorno, la tua distanza critica tende un po’ ad ammollirsi. In gran parte il piacere sta proprio lì: si vive nel momento, ci si lascia assorbire da esso in un unico respiro come un maestro di yoga: il tempo della riflessione produce memoria che si sente il dovere di raccontare, mentre il tempo del piacere produce un presente che si può solo vivere.

Poi c’è una forma di rispetto e di pudore. Un gruppo che si diverte è come se avesse firmato un segreto accordo, una fratellanza del silenzio. Il calice che si alza per brindare all’abbattimento delle barriere interne è al contempo un vessillo che tiene lontani coloro che non sono lì in quell’attimo. Chi ti è attorno si rivela a te, ti sceglie come un privilegiato, ti regala un dono e ti investe della responsabilità di renderlo esclusivo. Lo puoi schiudere, se vuoi, ma solo di fronte a un rito simile a quello che l’ha generato. Nell’eternità della parole scritta, invece, il dono rivelato assume le forme di un tradimento inaspettato: chi del gruppo legge le tue parole sente forte il desiderio di misconoscerle, non per la loro distanza dal vero ma per la loro inaspettata esistenza.

E infine c’è un altro ostacolo, forse più alto di quelli precedenti. Nel mercato degli incontri come voci da una bancarella decine di trame si dipanano. Ti sembra di seguirle con la consistenza e la nitidezza di una strada di asfalto in mezzo alla sabbia del deserto. E in effetti sono dirompenti e, quando qualcosa di nuovo ti accade, esse ritornano, abbracciano il nuovo fatto, rendono il senso del racconto più ricco e sfaccettato. Ma non puoi trattare quel senso con troppa fermezza: se di imperio ti fermi e decidi di metterlo su carta, il senso scompare. Ti sfugge l’inizio della frase a cui sorridente avevi ammiccato. Ogni trama vola via come un aquilone reciso.

E allora resti inerte. Osservi le creature fragili che la tua fantasia costruisce attorno alla tua vita e aspetti da esse un segnale per capire quando saranno sufficientemente mature per incontrare la tua coscienza senza fuggire pudiche e timorose.

2 commenti:

Raffaele ha detto...

La solita questione:la vita la si vive o la si scrive. Può anche accadere che i momenti di "piacere" lascino segni indelebili che provocano riflessioni in un secondo momento: viaggi, persone simpatiche, libri; paradossalmente anche incontri con gente che fa soffrire, perchè ci costringere a riflettere. Caro dott. MIni, quindi, dire: "Il tempo del piacere è un tempo che si può solo vivere", mi sembra alqunto riduttivo... Ciao Raf

silviomini ha detto...

caro raffaele,

resto convinto che il piacere sia principalmente un momento di vita vissuto appieno. Qualcosa di precipuamente presente: quando si ha la testa altrove o troppo presente non è forse difficile lascirsi andare all'amore o trovare il respiro della meditazione?

Comunque niente è assoluto. E sono d'accordo con te. Una serata piacevole, un convivio, possono lasciarti in eredità spunti, suggerimenti, desiderio di piacere e dunque di migliorare alcuni tuoi aspetti. Però, almeno per quanto mi riguarda, tutte le voci appena elencate hanno trovato una collocazione quando mi sono chiamato fuori dalla mischia e con pazienza ho riordinato le idee in un pensiero o, più efficace, in uno scritto.

Grazie dello spunto ;-)