giovedì, aprile 01, 2010

Ammirati, nei luoghi sacri di poteri estinti

Sfogliando il giornale mi fermai in una delle pagine centrali. Una grande foto, a doppia facciata, ritraeva un piccolo fiore sullo sfondo delle fondamenta di un grande palazzo alla periferia di Shangai. Guardando quell'immagine era così facile stare dalla parte del fiore, immaginare la povera famiglia di contadini che una volta lavorava il campo dove ora sorgevano le fondamenta.

Mi misi alla ricerca dei segnali che ci rendevano diversi da quella foto, rispettosi del fiore solitario. Camminai per le vie di Bologna: quei portici erano così autenticamente medioevali Noi non avevamo dimenticato il passato: ci prendevamo ancora dell'architettura vera, quella che creava spazi per le persone e non posti letto per le industrie.

Ci appoggiai la mano su una di quelle colonne alla base del portico. Volevo scavare nella memoria di una società che non aveva ancora dimenticato. Ma ne rimasi deluso. Lungo il braccio corse solo un dubbio. Quei mattoni mi sembrarono improvvisamente come persone: da lodare perché morte, come in un necrologio di circostanza alla scomparsa di un grande attore. Anche quei portici erano figli di un'economia che forse era cresciuta cancellando un fiore caro a un contadino dimenticato. Ma quel contadino era dimenticato appunto, troppo lontano, lontano come il potere che aveva causato lo scempio. E in quella lontananza l'ostentazione perdeva le colpe dell'ideologia che l'aveva generata e diventava buona architettura, solo buona architettura.

Sorrisi. L'ostentazione di un potere che nasceva generava paura e accusa. L'ostentazione di un potere che era morto tanto tempo fa generava un'estatica contemplazione. Forse il turismo culturale era un po' anche questo o forse solo questo: una sorte di pellegrinaggio, vagamente ipocrita, fatto da persone ostili al potere verso l'innocenza presunta dei luoghi sacri dei poteri estinti.

1 commento:

Marco ha detto...

Bel pezzo, Silvio, da leggere e rileggere con calma. La tua mano che si appoggia alla colonna del portico e si ritrae delusa, mi richiama un'esperienza simile.
Tempo fa ero in un bosco, da solo.
La natura mi mostrava il meglio di sè e, dopo essermi fermato a contemplare l'intorno, mi sentivo parte indivisa di quel mondo incontaminato. Poi non mi accontentai più di guardare e appoggiai la mano a un tronco, con delicatezza, quasi a coglierne la vita. Era freddo e lo sentii lontano, sideralmente lontano da me. Anch'io rimasi deluso, anzi sgomento. Ero altra cosa rispetto al bosco. Ma era giusto così. Cercavo nella bellezza e nella quiete del bosco un impossibile sostituto ai miei simili. La bellezza si rivelava dolce, ma inafferrabile e scontrosa. Non voleva rivelare i suoi segreti agli umani. Questi sono capaci di darle forma, la cercano, magari anche con il turismo culturale un pò modaiolo. Non sempre s'interrogano sul prezzo che gli artisti hanno pagato e le lacrime, o il sudore, che gli umili hanno versato. Ma in fondo bisogna scusarli, non credi? Ne hanno bisogno per trovare ristoro alla fatica del vivere e, ogni tanto, guardare il cielo. Ciao