“Ho girato il mondo per quindici anni e poi ho voltato pagina e mi sono fermato qui”. Così inizia a parlare l’eremita, l’unico solingo abitante delle pendici del Fumaiolo, fatte luogo di fede dal passaggio di Sant’Alberico. Avvolto nella sua veste bianca, l’eremita parla molto: di fede, terremoto, mondo, ospiti dell’eremo, preghiera, rapporto con gli animali. Parla molto e a volte sbaglia: sbaglia l’altitudine, i sentieri e la distribuzione delle fonti d’acqua del luogo dove vive solo da quattro anni.
Con un po’ di disappunto, mi chiedo se un profeta della solitudine può usare il carattere estremo dell’eremitaggio come strumento per apparire. Mi rispondo di no e trascuro le sue parole, cercando nella nuova mappa quella visione del territorio che l’eremita non mi sembra dare.
Me l’avevano detto del resto. “E’ uno dei sentieri più belli del nostro Appennino, ma l’eremita no, l’eremita mi sta sulle palle”. Riascolto quelle parole e le sento pienamente mie. Anche troppo forse e mentre cammino già verso Cella, mi viene il dubbio di essere stato vittima di un pregiudizio e di aver ignorato l’eremita senza mai aver provato ad ascoltarlo davvero.
4 commenti:
Forse più che un dubbio, quello che ti assale andando verso Cella, è la presa di coscienza di avere effettivamente misconosciuto una persona. Una persona non è una strada netta che puoi tracciare dritta, e se non vedi le fonti attraverso le quali stilla la fresca acqua della sua esperienza, non puoi lamentarti del fatto che non esistano laddove ti ha indicato. Francamente, ti sei concentrato più sul viaggio, che non la meta che è racchiusa in esso: conoscere ciò che vi trovi, non dove si trovi un luogo.
Da quando esiste questo blog, già diverse volte sono stato più o meno velatamente accusato di superficialità. Probabilmente qualcosa di vero c’è, dunque: forse per un lessico inopportuno, forse per la brevità degli scritti che affettano giudizi troppo netti, forse perché una frase riportata per iscritto pesa dieci volte di più di una, in sé più volgare, pronunciata in una conversazione.
Il testo è comunque l’emozione di un momento e non c’è un giudizio su chi è oggetto del racconto, su chi non ha certo avuto il tempo per mostrarmi tutte le sue fonti di esperienza e vitalità.
Comunque, quante esse siano e ovunque esse si trovino, queste fonti si svelerebbero ai mie occhi molto più facilmente se parlassero attraverso una conoscenza più completa del mondo in cui abitano. Ogni luogo è pieno di messaggi che è piacevole seguire e chi vi abita davvero – a lungo o per poco non importa – ha il dovere di essere curioso verso di essi e di imparare a raccontarli nella miglior maniera. Credo che questa ricerca sia la forma di tutela del mondo più efficace e duratura che ci sia. E, in chi fa una scelta forte come l’eremitaggio, questa dote o la volontà di averla non possono mancare. Chi abita in quell’eremo è per il passante la voce del tempo e può regalare una delle sensazioni più belle della marcia, la sensazione di essere sulle orme di chi ci ha preceduto, in una grande e viva compagnia. Se, invece, per chi abita lì, un monte è solo un monte e un fosso è solo un fosso, anche chi vi passa ha la sensazione di un luogo anonimo, sterile, non ameno ma tristemente solo e lontano dalla compagnia dell’uomo.
POVERO EREMITA! e tu saresti un giornalista? mi piacerebbe sentire l'eremita! cosa ne pensa su quello che scrivi.
credo che l'eremita si sia già espresso: sono convinto che il michele del primo commento sia lui.
Se sono un giornalista? Ormai faccio solo pochi interventi su testate vere, approfondendo ciò che provo piacere a raccontare. E' bello essere pubblicista: vivere d'altro e scrivere solo su iò per cui si ha passione.
In queste pagine però non sono neppure un semplice pubblicista. La voce dell'eremita non c'è. Non è cronaca di un fatto ma narraziione unilaterale di un'esperienza mia.
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