mercoledì, novembre 22, 2006

Quelle vecchie 8mm utilizzate ad arte (senza saperlo)

Duemila fotografie raccolte girando avanti e indietro per l’Italia e per il mondo. E poi vecchie pellicole 8mm, spesso sporche, bruciate dal tempo. “Le girarono negli anni sessanta appassionati di tecnologia dell’epoca – spiega Andrea Bernabini -. Erano pellicole che si facevano senza alcuno stile cinematografico, solo per documentazione familiare. E proprio qui sta il loro fascino”. Bernabini è il fotografo che ha raccolto tutti questi vecchi frammenti di celluloide, riportando il loro fascino d’epoca alla moderna veste digitale.

Le immagini a cui più tiene sono quelle girate da un medico di Faenza. “Si vede una corsa in bicicletta e le riprese sono evidentemente fatte da una motocicletta”. E poi c’è la pellicola del giorno di festa: “Si vedono i buoi che tirano l’aratro, le persone che raccolgono la frutta e i bambini che corrono qua e là”. E ancora ci sono immagini di altri contadini o di una Sofia Loren rubata in azione su un set cinematografico.

Ovunque domina la spontaneità delle inquadrature tranne in un caso. “C’era un musicista, piuttosto famoso negli anni sessanta, che andava in giro per l’Italia a fare concerti con le sue ocarine, fischietti in legno o in terracotta. Anche lui si comprò una 8mm e riprese la sua donna, un cuore sulla sabbia e la scritta “ti amo”. Era un artista della voce e anche nella scelta delle inquadrature si legge una volontà di ricerca”.

Dall’archivio di Andrea Bernabini, presidente dell'associazione culturale altriMENTI, proviene anche l’intervista alla vecchia contadina abruzzese che darà il via alla performance audio video ispirata al Cd Lu Rumì. Sullo sfondo ci sarà un albero: spoglio, silenzioso e immobile. E davanti all’albero una vecchia contadina abruzzese intenta a parlare. Ma la sua voce non si uscirà mai dal video e, nel silenzio di quel discorso muto, salirà la voce di Luisa Cottifogli. Lo spettacolo andrà in scena per la prima volta venerdì 1 dicembre (ore 21) alla Pieve di Filetto. Nel cuore della bassa romagnola da cui le musiche di Lu Rumì provengono.

domenica, novembre 19, 2006

Pianbaruzzoli, il relitto che sopravvive a se stesso

“Il rosmarino lo devi prendere così, non così”, dice Tocio, mostrando prima solo le dita racchiuse e poi tutto il pugno chiuso. “Dopo che l’hai preso, lo metti in infusione e, quando l’acqua è verdognola, ti bevi tutto. Se hai 39 di febbre, dopo venti minuti è già a 37”.

Tocio è uno dei figli dei fiori un po’ invecchiati che abitano a Trafossi, lungo la valle dell’Acquacheta. Porta scarponi da montagna, maglione grezzo, capelli lunghi e scompigliati. Il solito del “quartiere” insomma. E’ un po’ influenzato, ma tranquillo. Dalla sua, ha la calendula, l’aglio e il rosmarino di cui si atteggia a profondo conoscitore: “Tutto naturale, qui. Ho le mie erbe”, afferma orgoglioso una, due, tre volte.

In compagnia di Tocio, saliamo verso Pianbaruzzoli
. Paolo e Stefano hanno saputo che in questi giorni c’è di nuovo Giambardo (foto), il fondatore della comunità locale. Erano gli anni Settanta, la chiamarono “Contadini zappaterra senza padrone” e un docente universitario la descrisse come un modello sociale che poteva ripopolare i trascurati pendii appenninici della Romagna. All’epoca nella comunità vi abitavano costantemente una quindicina di persone e molte altre vi facevano pellegrinaggio allucinogeno ogni fine settimana. Tutti insieme coltivavano il sogno dell’autosufficienza.

Il sogno non decollò mai del tutto. Alcuni dei novelli contadini mangiarono le patate che avevano seminato pochi giorni prima. Altri seminarono figli qua e là. E altri ripresero la via della civiltà per tornare a scuola, al lavoro o all’ospedale. Alla fine rimasero in pochi.

Oggi sono in tre. Dei fondatori resta solo Jerry, ormai verso la sessantina. Come Giambardo, che oggi abita in Spagna, ma torna ancora a salutare il podere che è stata casa sua per vent’anni. Lo sente molto suo, si vede. Fu lui a sceglierlo. Lo vide, assieme a Jerry e Ulisse, e piano paino, occupazione dopo occupazione, lo fece suo. “Allora – racconta – i processi per occupazione si vincevano. Sì eravamo nella casa del padrone!”.

Se oggi Giambardo è di nuovo a Pianbaruzzoli è un po’ per continuare quel sogno
. L’occupazione nacque per fondare una comune e lui, oggi unico intestatario della casa, non vuole correre il rischio di lasciare in eredità la proprietà ai figli. “So già che in casi simili ci sono stati solo dei litigi”, dice. “Faremo una fondazione, siamo qui per costituirla”. Probabilmente con le persone dentro casa. Jerry, una delle sue vecchie amanti, una figlia, una nipote, un paio di compagni di media età e un attivista del Wwf, che in tempi recenti ha salvato con la regione una delle case vicine. “Perché Pianbaruzzoli era un villaggio – spiega Giambardo – ci stavano 60 persone, di tre o quattro famiglie. Oh, ma litigavano sempre! Quel pezzo di terra è mio, quello è tuo, lì ci pascola il mio porco, qua le tue pecore”.

A Pianbaruzzoli abbiamo mangiato un piatto di pastasciutta con il ragù di salsiccia, funghi “orecchioni” saltati in padella e un po’ di stufato di patate e salsicce. Poi siamo saliti a vedere i piani superiori: fino al quarto, altissimo, a più di otto metri da terra.
“Wey, ma è bella solida sta casa, eh”, ci dice Giambardo. “C’ha un muro qui e un muro qui che la tengono su. E poi gli abbiamo rifatto il tetto qui: è tutto nuovo. E poi l’abbiamo coperta di armature e l’abbiamo stuccata tutta. Oh, perché adesso non piove più, ma prima, dio bono, ma prima pioveva per un mese che ti sbatteva l’acqua sul muro e qui in basso si era allagato tutto”.

Questa sera Giambardo sarebbe già andato via. Lui tornava indietro dalla parte alta, su dall’eremo. Noi invece siamo discesi giù verso l’Acquacheta. Lì dove c’è il salto della cascata. Ne ha scritto Dante e ne parlano un po’ tutti. Ma è dall’altra parte del fiume, dove la storia è andata avanti. Sulle pendici nord, da Pianbaruzzoli, invece, il mondo si è fermato.

“E’ un relitto che sopravvive a se stesso”, ha concluso Paolo.

Giambardo torna a Pianbaruzzoli

Giambardo a Pianbaruzzoli

Pianbaruzzoli, tavolata a festa

Pianbaruzzoli, tavola apparecchiata


L'olio, il vino, la birra.
Tavola imbastita per il ritorno alla comunità di Pianbaruzzoli del fondatore Giambardo.
Sullo sfondo il cotone spagnolo che proprio Giambardo ha portato in dote ai suoi ex compagni d'avventura.

giovedì, novembre 16, 2006

Khalida Toumi: “Ecco l’Algeria che non volete vedere”

Apre ad Algeri il primo museo d’arte moderna e contemporanea. La città sarà capitale della cultura araba per il prossimo anno. A colloquio con la ministra della cultura che spiega il valore dell’iniziativa per il suo paese.
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Sono questi il titolo e l’occhiello dell’articolo pubblicato nella pagina cultura di Liberazione venerdì 10 novembre 2006.

--> Pagina 3 di Liberazione del 10/11/06 (pdf)
--> Aricolo sulla versione web di Liberazione

--> Khalida Toumi su Wikipedia (fr)
--> Khalida Toumi su Wikipedia (en)

lunedì, novembre 13, 2006

Il giallo del capezzolo assassino nel favoloso mondo del Cavalier G.

“Attenta che se parte un capezzolo ti arriva proprio in mezzo al petto!”, ha improvvisamente detto Nicola alzando la testa dal piatto e guardando Sara seduta di fronte a sé nella tavola circolare.

Non ho ben capito a cosa si riferisse, perché lì vicino c’era un preservativo di due metri a penzoloni dal tetto e sulla parete scorrevano le immagini del Minotauro contro il mostro marino, ma non c’era traccia di capezzoli. O meglio, ce ne erano molti, in bella vista nella foto di sei metri appesa sotto il soffitto, ma nessuno di quelli poteva essere pericoloso.

Non era comunque il caso di stare a fare domande nel bel mezzo del pranzo di gala. Così ho tranquillamente ripreso a mangiare. Al centro della tavola c’era una coppia di putti alati in argento che sorreggevano due candele. Da lì a raggiera diverse file di bicchieri si dipanavano fin quasi al bordo. Ho preso uno di quei bicchieri e vi ho versato un po’ di Suvignon. Un bianchetto leggero – non tra i miei preferiti – ma si sposava abbastanza bene con la ricotta e la mostarda che avevo nel piatto. Ed era discreto anche accompagnato agli altri cibi. Una lunga serie, disposta in circolo nella stanza adiacente.

Ho fatto spesso spola tra le due stanze. E da lì ho girato anche in tutte le altre ai lati del grande salone centrale. Un’installazione multimediale identificava lo studio, mentre un letto in acciaio con angioletti sulle sponde era l’evidente indizio di una camera da letto.

Tutte e tre le stanze finivano su un terrazzo con un colonnato bizantino. Fuori, il solito incrocio di vaporetti. Il traffico di turisti è sempre intenso sul Canal Grande di Venezia, anche all’ora di pranzo del 12 novembre. Forse perché il campanile di San Marco e il Ponte di Rialto, a poche decine di metri, erano finalmente in bella mostra senza impalcature a coprirne e fatture architettoniche.

Dentro intanto la tavolata si era spostata verso la sala del dessert. Un tavolo ricoperto da plexiglass colorato e levigato sorreggeva al centro della stanza crostate e creme gelato. Una cameriera tagliava le fette utilizzando un cucchiaio musicale. Una sinfonia diversa per ogni fetta, mentre lì vicino una fontana di cioccolato cullava i restanti ospiti, bagnando di lussuriosi schizzi di cioccolato le rossissime fragole servite come frutta.

Un pranzo abbondante, se si conta anche l’aperitivo al piano di sotto. Qualche cubetto di mortadella, un po’ di frittata e piccole cotolettine di pollo unite a un bicchiere di spritz. I vassoi erano tutti lussuosamente adagiati su tovaglioli griffati con le iniziali del padrone di casa: “G”. A terra, un pavimento in plexiglass sopraelevato di una ventina di centimetri lasciava correre lo sguardo alla ricostruzione di una massicciata lunga tre o quattro metri. All’angolo, una scultura ritraente una scimmia geneticamente modificata era invece il tocco di auto-ironia del padrone di casa, un impresario farmaceutico. E sul soffitto, inquieti, danzavano i riflessi del Canal Grande che scorreva lì a pochi centimetri.

Pasciuto mi sono incamminato nel buio del tardo pomeriggio verso la stazione di Santa Lucia per rientrare a Bologna. Ho intrapreso il cammino vestendo, come tutti gli altri, il cappello di natale pieno di stelline luminose, che ci era stato regalato. Prima di uscire da Villa Banzazza, al numero 1123 di un calle veneziano dal nome a me ignoto, mi sono però fermato nell’atrio per firmare il libro degli ospiti del Cavalier Marino Golinelli.

“Raramente – ho scritto – sorprende ciò da cui ti aspetti di essere sorpreso. Oggi è successo”.

lunedì, novembre 06, 2006

Gli aggiornamenti killer dei dizionari Hoepli

L’inizio della storia è un messaggio di errore. L’errore più classico per chi naviga in rete: impossibile visualizzare la pagina. La causa del messaggio, domenica 29 ottobre, non è però una pagina web, ma la versione elettronica del dizionario tecnico francese-italiano della Hoepli. Il cd-rom proprio non ne vuole sapere di funzionare. A ogni inserimento parte l’installazione di un software che però non porta buoni frutti: completato il processo infatti ogni ricerca lessicale dà il medesimo sconfortante risultato… “impossibile visualizzare la pagina”.

“Capita”, dico a mia sorella, che aveva acquistato il dizionario per settanta euro due anni fa. “Si sarà accidentalmente graffiato o smagnetizzato il cd”, aggiungo con tono fatalistico dopo aver confermato il guasto anche nel mio pc. Ma mia sorella non si rassegna e si connette al sito della casa editrice: le faq non contemplano il problema e lei scrive allora all’Help. Di ritorno nessuna risposta.

Dopo aver chiesto aiuto anche ai gestori di un cyber-café, l’unica alternativa resta il ritorno in libreria: precisamente alla Mondadori di Forlì. 120 euro per il nuovo dizionario Hoepli, libro +cd-rom. Un altro cd-rom, fisicamente parlando. Un altro cd-rom che a casa non vuole saperne di funzionare, emettendo di nuovo lo stesso sconfortante risultato alla fine di ogni ricerca: “impossibile visualizzare la pagina ”.

Con 190 euro al passivo e il silenzio della Hoepli alle spalle, mia sorella alza la cornetta per contattare l’unico tramite tra sé e la grande industria: ovvero la libreria. Questa volta una voce risponde. L’addetta ascolta il problema e fa notare che il giorno prima non aveva seguito lei la pratica. “Certo – conferma stizzita mia sorella - ho parlato con chi mi ha venduto il dizionario”. “Non ha parlato con me” ripete laconicamente la voce per telefono. “Io ve lo riporto il dizionario” annuncia ovviamente mia sorella. “Come vuole, ma sappia che non posso restituirle i soldi, solo farle un buono acquisto”.

Quell’inserviente casualmente beccata per telefono era l’unica alla libreria Mondadori di Forlì a sapere (casualmente) il fattaccio. La Hoepli aveva introdotto degli aggiornamenti e il messaggio di errore era dovuto a quelli: il cd funziona solo dopo il download delle integrazioni. Fatto di cui il cd non fa menzione, rimandando un generico messaggio di errore. Fatto di cui i librai – parola loro – non sono stati informati, e che infatti non è indicato in libreria né nelle confezioni di vendita dei dizionari, benché la necessità di aggiornamento riguardi tutti i dizionari tecnici della Hoepli. Fatto che non è segnalato in modo immediatamente visibile nel sito della Hoepli, che anzi relega a un micro link nascosto i fatidici aggiornamenti da scaricare.

Risultato. 120 euro buttati in un nuovo dizionario inutile e un cd irrecuperabile se utilizzato con un modem a 56 Kb che è incapace di scaricare senza intoppi le novità distribuite online dalla Hoepli.

Primo corollario. E’ il caso di cominciare ad acquistare i dizionari di un’altra casa editrice.

Secondo corollario. Quand’è che la banda larga si allargherà al di fuori dei grandi raccordi anulari?

venerdì, novembre 03, 2006

Quelle vecchie nenie romagnole che anticipavano la fatica della vita

Bel fiol fasì la nana
prèst ch’andeva int la scarna
prèst ch’andeva int e’ cariol
fasì la nana bel fiol
prèst ch’andeva a l’ès de pan
ch’a dvinteva un bel marcant
prèst ch’andeva in s’e marche
a vèndar e a cumpre’
(La ninan cuntènta)


Parlano di mostri che uccidono bambini, di mogli che tradiscono il marito e di fatiche che incombono sul futuro
. Non sono i canti di protesta dei minatori, né gli inni di guerra celtici. Sono le vecchie ninna nanne romagnole: “Dei contenitori in cui confluiva un po’ tutto”, racconta Luisa Cottifogli, voce dei Quintorigo, ma soprattutto in questo caso voce solista di “Lu Rumì”, il cd che raccoglie e rielabora liberamente ballate, canti e ninna nanne della Romagna che fu. “Ai bambini – prosegue sempre Luisa in tema di nenie – erano date immediatamente delle dritte sulla vita quotidiana e sul lavoro. Il messaggio era chiaro. Su, bel bambino, devi crescere in fretta, perché ci servi, perché devi lavorare”.

Alle tradizioni musicali della Romagna Luisa non è arrivata seguendo rotte familiari. Babbo e mamma, anzi, provengono da regioni diversissime. E lei stessa ha preso contatto con la musica etnica partendo da qualche migliaio di Km di distanza. Precisamente dall’India, dove nel 1998 si recò grazie a una borsa di studio. Solo dopo è arrivata la bassa romagnola e una galleria di personaggi – musicisti, bibliotecari, violinisti e ristoratori – che l’ha fatta terribilmente incuriosire per l’esotico nostrano: quel mix di tradizioni – a metà tra cronaca e leggenda – a cui appartiene anche Lu Rumì, il personaggio che dà il titolo al suo Cd. “Lu Rumì – dice – è un personaggio realmente esistito verso la fine dell’Ottocento. Andava in giro col cappotto e col bastone: insomma era il classico matto del villaggio a cui nessuno poteva negare un tocco di pane”.

Dal punto di vista storico, la fortuna di quel particolare matto è stata di cantilenare continuamente un’orazione. La sua cantilena infatti è stata trascritta da Balilla Pratella, un lughese militante nel futurismo, e da questa trascrizione Luisa Cottifogli ha potuto trarre spunto per riportare il personaggio all’attualità della musica contemporanea. “A me – spiega Luisa – è sempre piaciuto creare musica da immagini e l’immagine di Rumì è quella di un personaggio metafora del viaggio. E’ il simbolo della diversità che puoi trovare tanto in India quanto in Romagna. Ovunque tu vada, infatti, puoi trovare qualcosa di diverso, come, ovunque tu vada, puoi trovare qualcosa di uguale a te, perché la domanda esistenziale di partenza è la stessa”.

Rumì non è l’unica leggenda recuperata. Nel Cd è molto colorita anche la figura della Borda, tipico esempio di nenia ispirata all’orrido. “La Borda era la versione romagnola del dio celtico Bor, un dio che esigeva sacrifici umani che venivano uccisi calandoli in acqua”, spiega Luisa, che nelle strofe della sua canzone descrive una Borda che arriva a rapire e a uccidere i bambini.

Tutte le canzoni del cd sono in purissimo dialetto romagnolo. “Ed è un piacere cantare in dialetto – conclude la vocalist – perché il dialetto è pieno di parole tronche e, come l’inglese, si sposa perfettamente alla musica”.

giovedì, novembre 02, 2006

Prime tinte autunnali nei crinali di Premilcuore

Le pendici di fronte al piccolo abitato di Fiumicello
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Le pendici di fronte al piccolo abitato di Fiumicello
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Il rosso della faggetta sotto la cima di Monte Ritoio
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Il rosso della faggetta sotto la cima di Monte Ritoio
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Fitta nebbia sopra i ruderi dei Lavacchi di sopra
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Fitta nebbia sopra i ruderi dei Lavacchi di sopra
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