martedì, giugno 21, 2011

Speciale cammini d'Italia: "Il cammino francoprovenzal"

pubblicato nel numero di marzo 2011 di Ambiente Informazione
Periodico dell'Associazione Italiana Guide Ambientali Escursionistiche (www.aigae.org)

Ci fu un'epoca d'oro per la lingua d'Oc. Risale ormai a oltre mille anni fa, quando le liriche dei trobadori medioevali le diedero una corposa identità letteraria e Dante le diede il nome “Oc”, appunto, da quella parola derivante dal latino “hoc” che gli occitani utilizzavano per dire “sì”. Ma la storia virò presto verso altre direzioni. Nel 1229 Re Luigi estese il proprio dominio politico nel Midi e nel Sud della Francia e con esso impose anche il dominio della propria lingua, l'Oil, il cui impiego fu sancito per legge nel 1539. La Francia diventò uno stato nazione, scrisse la sua versione della storia. L'Occitano invece fu condannato alla sola sopravvivenza: escluso dalla forza della tradizione scritta, messo al bando dal potere centrale, si ritrasse. Il suo riparo più sicuro divenne la montagna: le cime, le creste, i valloni limitarono gli scambi e ciò che fu, più che altrove, rimase ciò che era stato.

L'Occitano, parlato ancora oggi da due milioni di persone e compreso da circa sette, copre la Francia del Sud e sfiora i Pirenei, ma è a ridosso delle Alpi e nelle Valli Piemontesi che vanta la sua roccaforte. “Nelle zone di montagna tutto si conserva meglio” spiega Peyre Anghi Lante, che assieme alla madre, Ines Cavalcanti, cammina da tre anni lungo le strade e i sentieri che uniscono e attraversano le regioni occitane per testimoniare l'uso della lingua occitana, per entrambi prima lingua. Iniziarono la loro marcia nel 2008 con l'Occitania a Pè, per raccogliere, in un viaggio di 1370 Km tra Italia, Francia e Spagna assieme al fotografo Riccardo Carnovalini e alla documentarista Elisa Nicoli, quante più testimonianze possibili per sostanziare il loro appello all'Unesco volto a far riconoscere la lingua occitana come patrimonio immateriale. Proseguirono poi l'anno successivo, il 2009, lungo le valli piemontesi per coinvolgere e stimolare nel cammino tutte le comunità locali che erano interessate a mettere in campo un gesto simbolico a favore della propria lingua. E continuano in questo 2010, in compagnia di Marco Rey che, sulle orme delle positive esperienze precedenti ha tracciato un cammino a cavallo di Italia, Francia e Svizzera, da Susa a Losanna attraverso l'area linguistica Francoprovenzale.

Peyre, Ines, Marco camminano come rappresentanti della sezione culturale di Chambra d'Oc, l'associazione di produttori agricoli occitani che a partire dalla legge 482 del '99 sulle minoranze linguistiche ha stimolato la produzione di cultura e comunicazione a valorizzazione della lingua occitana e francoprovenzale. Peyre, Ines e Marco, dunque, camminano come rappresentanti di un organo istituzionale, ma il messaggio a cui danno voce non contiene istanze nazionalistiche, rivendicazioni di un'identità territoriale fondata sulla propria specificità linguistica. Il loro desiderio è più intimo, è quello di una minoranza che invoca il diritto a non negare se stessa: “Non sono un nazionalista – spiega Peyre – non voglio un'Occitania nazione. Mi piacerebbe solo parlare la mia lingua con le persone che come me l'hanno ricevuta come lingua madre. Vorrei che questa conoscenza mi fosse riconosciuta come elemento di ricchezza e non come bersaglio di denigrazione”.

“E poi – aggiunge Peyre – camminare per la lingua fa bene, fa bene alla gente che incontri”. Il giovane di lingua occitana ha in mente il manipolo di signori incontrati a Bessans il borgo della Maurienne toccato alla fine della seconda tappa. Con loro, in Francoprovenzale, ha ascoltato il racconto di chi nelle valli ha vissuto l'infanzia, la scoperta della guerra, il pendolarismo stagionale da Parigi. Con loro ha scoperto che, oltre alla lingua, in montagna anche la pace si è conservata più a lungo: molto dopo l'inizio della guerra i pastori delle valli, infatti, continuavano ancora i loro commerci di qua e al di là del confine, perché loro non sapevano di essere nemici e non avevano avuto modo di intuirlo.

Lungo il cammino francoprovenzale il paesaggio fa vedere ciò che è e fa ascoltare ciò che è stato. Usciti da Susa si sale verso il Moncenisio, ma la strada, quella moderna, quella voluta da Napoleone, quella che oggi percorrono auto e moto, resta sullo sfondo. Fuori da Susa il cammino francoprovenzale segue le tracce della strada reale, il tracciato precedente che i Savoia avevano individuato per raggiungere la Francia. Era un percorso più ripido che si impennava in corrispondenza della borgata di Novalesa. Lì le carrozze terminavano la loro marcia canonica. Mentre i passeggeri si ristoravano in una delle cinquanta osterie affacciate sulla via principale, le carrozze venivano smontate e trasportate a peso fino al versante francese. Tra le pietre dell'abitato, a tratti decorate da pregevoli affreschi, si sente ancora l'eco di quell'economia scomparsa d'un tratto con l'apertura della nuova via. E lo stesso più su, quando già sullo sfondo si staglia la Gran Croce del Moncenisio. Una galleria scavata nella roccia ricopre lo spirito di una ferrovia mai usata. L'avevano iniziata perché l'altro percorso, quello più breve, avrebbe richiesto anni di lavorazione per essere terminato. Invece arrivarono le macchine e dopo un solo anno la seconda via fu aperta.

“Quando Peyre e Marco hanno tracciato i cammini – spiega Ines a giustificazione di questi continui ricorsi storici – hanno rispettato le esigenze di chi cammina oggi. Il cammino si sviluppa per lunghi tratti su strade sterrate, attraversa le regioni colpite dallo spopolamento, tocca punti cardine della storia – i paesi catari, i borghi natale di premi nobel, centri storici patrimonio dell'Unesco come Carcassone – sfiora alcune delle regioni paesaggisticamente più affascinanti dell'Europa e fa tappa in luoghi che si distinguono per la propria sensibilità verso l'ambiente”. “Lavoriamo per una lingua – aggiunge Marco – ma vogliamo regalare un'esperienza piacevole anche a chi percorre la nostra via senza prerogative linguistiche”.

E proprio da questi punti di forza dell'itinerario percorso camminando settimane e settimane dal 2008 a oggi che prende spunto l'impegno futuro dei camminatori della Chambra d'Oc. “Vorremmo dare visibilità – dice Ines – a un cammino che, nell'insieme, è lungo 2400 Km. Nel 2011, proporremo cinque o sei camminate nel corso dell'anno per svelare gli angoli più suggestivi di altrettante regioni che noi abbiamo imparato a conoscere quest'anno e gli anni passati. Vorremmo ispirarci al modello di proposta veicolato da gruppi come Boscaglia e Tra Terra e Cielo. Partiamo dall'enorme mole di dati raccolta registrando le tracce gps dei sentieri percorsi”.

Funzionerà? “Noi facciamo quanto è necessario, come tradurre in cinque lingue tutti i resoconti di viaggio che produce chi cammina con noi. Poi forse, se il caso ci aiuterà, si sveglierà l'attenzione dei media”.

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