Seggiolini in Minuetto circondano come un guscio protettivo un corridoio a forma di cuore. Tra i piedi, quasi timida, una serie di modeste prese elettriche, che sembrano porte verso un futuro che tarderà ad arrivare. Grandi spazi in trasparenza lasciano filtrare luce in abbondanza da un mondo che inizia subito a salire. A salire e salire fino a quando scompare in buio alterno e quasi ritmico, interrotto qua e là da nuovi scorci di luce, da tagli di roccia incrinati, ostili alla vegetazione ma costretti, loro malgrado, a ospitarla qua e là.
Faenza è alle spalle. Firenze è alle porte dopo un’ora e cinquanta. Nel mezzo vi avrei potuto anche solo parlare di un treno, dei suoi vagoni, dei suoni finestrini e delle sue gallerie. Ma sono i luoghi di Dino Campana e del pazzo a bordo che forse gli somigliava.
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