"Ma che cosa ha fatto" gli domandò Paddy "durante la Rivoluzione Culturale?".
"Sono andato a fare una passeggiata sulle montagne del Kunlun".
(Gran Maestro Taoista - cit. in Le vie dei Canti)
C’erano i lampioni accesi, come nel centro di una grande città, ma le case erano tutte chiuse. Castelluccio era una città fantasma. Chiusa nel suo cucuzzolo, la cima del paese sibillino era un cantiere silenzioso attraversato solo da qualche cane randagio. I caterpillar si stagliavano nell’oscurità come guardiani meccanici di via martoriate da scavi, pontili, armeggi e ghiaie. I campanelli erano illuminati, ma nelle loro strisce di luce non si poteva leggere nessun cognome. Non ve ne erano.
“Non credi sia un posto strano?” disse Stefania.
“Decisamente sì” risposi accendendo la torcia per illuminare alcune macerie più buie delle altre.
“Ma secondo te ci abita qualcuno?” chiese ancora la ragazza.
“Sembra di sì – risposi ancora – ma non capisco come e chi. E’ un enorme cantiere”. “Forse – aggiunsi dopo una pausa – qualcuno in paese ci può dare spiegazioni.
Sulla base del colle di Castelluccio le luci di un ristorante erano ancora accese. Quattro uomini sedevano rumorosamente di fronte a un film di Rambo. Uno di loro, il più giovane, forse il cuoco, si alzò per servirci. Ordinammo una grappa del luogo; ce ne servi una ambrata di genziana.
“E’ tutto un cantiere su in paese?” domandai mentre versava il liquore.
L’oste continuò il suo lavoro senza rispondere. Lo incalzai. “Sono privati che ristrutturano le case?”.
Lo sguardo del cuoco si mostrò attonito, indeciso sul significato della domanda.
“Sono aziende?” aggiunsi aallora.
“Sì – rispose infine il mio interlocutore silenzioso - cioè sono più aziende insieme che fanno i lavori”.
“Fanno un albergo diffuso nell’intero paese?” chiesi ancora una volta, finendo senza risposta, una volta di più.
Stefania mi suggerì di desistere. La assecondai.
“Macché privati” ci spiegò infine il romano del locale di fronte la mattina dopo. “Qui se rivolti la gente non escono neppure gli spiccioli. C’è un finanziamento: dell’Unione Europea. Sei milioni di euro per rifare tutto come era: un lavorone! Due anni in condizioni normale, cinque o sei qui. E’ dura, sai. Qui nevica sempre”.
“A partire da quando?”.
“Da quando capita”.
“E’ dura – disse di nuovo il romano smettendo di spazzare e accendendo una sigaretta –
Lo vedi quel boschetto. Un giorno arrivò un sardo che viveva in Olanda. Parlava un po’ sardo e un po’ olandese. Un tipo strano: non si capiva né il sardo, né l’olandese. Disse che gli piaceva er boschetto. Gli dissi che ci poteva dormire se voleva. Mi spiegò che a lui piaceva la tenda, come quando aveva vent’anni, per sentire meglio la natura. Lo invitai a cena dopo che la ebbe picchettata. Lui accettò, mangiò con noi, ma poi non trovò più la tenda. Era partita una tempesta di vento. Trovammo tutto solo il giorno dopo: tenda, picchetti e bagagli erano tutti attorcigliati a un pino in cima a er boschetto. Il sardo-olandese, che non era mica vecchio sai, avrà avuto sui quaranta-cinquanta anni, disse che da allora in avanti sarebbe andato solo in hotel. Di almeno tre stelle”.
Stemmo un po’ sorridendo divertiti a guardare il boschetto. Era in sospensione tra il brullo crinale della vetta e le striate coltivazioni di lenticchie della valle. Così appeso alle pendici est di Castelluccio sembrava raccontare ancora la storia di cui il romano ci aveva messo al corrente.
Sorridemmo ancora una volta prima di salutare il boschetto, il romano e il suo paese di dodici anime. “Ma tu che sei venuto a fare fino a qui?” gli dissi infine.
“Niente - rispose lui - stavo a fa un lavo’ stressante”.