venerdì, luglio 28, 2006

Tavola Peutingeriana, ogni momento è quello giusto

Non l'avevo mai sentita nominare fino a un paio di mesi fa. Poi, in una lezione a carattere storico del corso da guida escursionistica, la Tavola Peutingeriana è sbarcata nel mio immaginario. E' una tavola concepita in epoca romana (III/IV secolo d.C.) per disegnare le principali rotte di comunicazione dell'Impero. Per quanto riguarda l'Emilia Romagna, per esempio, la tavola, fortemente sviluppata in senso orizzontale, descrive il tracciato della via Emilia.

Ne parlo qui perché la Tavola ha evidentemente preso gusto a incrociare i miei destini. Il vecchio documento è stato infatti al centro di una delle mie ultime interviste, quella realizzata con la prof.ssa di Geografia Fiorella Dallari a proposito del progetto Roman Itineraries. Per spiegare cos'è questa interessante iniziativa, riporto l'articolo originariamente pubblicato su UniboMagazine:

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Era già chiaro quando la redassero, tra il III e il IV secolo d.C.: la Tavola Peutingeriana era un documento rivolto ai viaggiatori. La Tabula rappresentava infatti l’intero mondo noto all’epoca, tralasciando gli elementi fisici e antropici del territorio a favore delle rotte di comunicazione. Nella carta comparivano tutte le terre note agli antici, ovvero l’orbis terrarurm di dominio romano che si estendeva tra Europa, Asia e Africa. Un’immensa estensione territoriale su cui la Tabula descriveva 100 mila Km. di strade e 3 mila indicazioni di luogo.

Questo antico documento, conservato a Vienna, è ora alla base di un progetto interregionale di promozione turistica dell’area orientale e balcanica dell’Europa. “Il progetto – spiega Fiorella Dallari, docente di Geografia economica all’Università di Rimini - si chiama Romit (Roman Intineraries) e punta alla costruzione di itinerari turistici che ricalchino le antiche rotte romane disegnate sulla Tavola Peutingeriana”. Rimini, punto d’arrivo della via Flaminia e punto di partenza della via Emilia, è con la sua università capofila del team di progetto a cui aderiscono anche strutture accademiche, enti museali e soggetti privati di Vienna, Norimberga, Sofia e Patrasso.

Il progetto Roman Itineraries, concepito per la prima volta nel 2003, si compone per ora di proposte di itinerario. C’è per esempio un itinerario che si sviluppa nella penisola Balcanica, un anello che costeggia il bacino del Mediterraneo, itinerari lineari nel continente e anche una rotta nord africana tra Tangeri e Alessandretta. Ora, definite le rotte, sono allo studio le condizioni di fattibilità pratiche dei viaggi ideati. “Lavoro a cui noi diamo consulenza economica, giuridica e geografica”, prosegue Dallari, rappresentante dell’Università di Bologna assieme a Guido Candela, Marcella Gola e Antonello Scorcu.

Romit si inserisce nel sempre più vigoroso filone del turismo sostenibile. “I nostri itinerari turistici – spiega ancora Dallari – devono favorire lo sviluppo economico delle regioni coinvolte e utilizzare i centri più noti come traino rispetto alle altre località. A livello di ospitalità, per esempio, l’obiettivo è coinvolgere partner locali ed usufruire della ricettività familiare”.

Questo tipo di offerta strizza l’occhio al sempre più nutrito gruppo dei turisti culturali. “Sono – illustra Dallari – viaggiatori con un livello di istruzione e di reddito medio-alto e soprattutto viaggiatori che sono disposti a spendere per soddisfare le loro curiosità culturali”.

Oltre ad alimentare i flussi turistici, Romit, così come gli altri progetti interregionali, punta infine a fare rete, costruendo sistemi locali territoriali integrati: “Uno dei traguardi principali – conclude infatti la docente di economia – è la realizzazione di modelli e protocolli per la gestione dei siti archeologici, modelli che consentano maggiore coordinamento tra soggetti che ora operano troppo spesso senza comunione di intenti e competenze”.

martedì, luglio 25, 2006

Perché fare la guida? Ecco le prime risposte

“Ti svegli la mattina all’alba, guardi il cielo, prepari lo zaino. Sali in macchina e accendi lo stereo, una sosta per il caffè e risali la vallata. Il profumo della primavera, i colori dell’autunno, il silenzio della neve e il caldo tepore dell’estate. All’imbrunire quando la sera si avvicina volgi lo sguardo verso i tiepidi raggi di un sole che si sta addormentando, i crinali si tingono d’azzurro, chiudi gli occhi e ascolti la voce del vento. Cosa c’è di più bello?

La gioia negli occhi dei tuoi compagni di viaggio!

Lello – Accompagnatore di Montagna

La riflessione è di Leonello, l’accompagnatore di montagna che ci ha seguiti nella maggior parte delle escursioni compiute per il corso da guida ambientale escursionistica realizzato a Forlì da gennaio a luglio 2006. L’elogio del lavoro di guida è arrivato oggi nel giorno dell’esame conclusivo. L’ho riportato perché è stato uno dei tanti simpatici mattoncini che ha trasformato questa fine corso in un appendice di vita liceale. All’alba c’è stata la leggera tensione che precede ogni esame. Poi la goliardica attesa collettiva dei risultati, consumata utilizzando i banchi come sdraio. E infine la gita altrettanto collettiva al mare, nel mio caso per il primo, sempre un po’ sacro, tuffo in riviera.

Una bella giornata insomma. Di quelle che ti riappacificano con mesi percorsi da un eccesso di adrenalina. Di quelle giornate in cui qualsiasi proposta arriva, tu sorridi e dici “perché no?”, con la carica della prova appena superata e senza l’assillo di un altro traguardo dietro l’angolo.

Ora che questa giornata si conclude, non mi resta che raccogliere l’appello del mio “maestro” e mettere in saccoccia le prime gioie dei miei compagni di viaggio. I dodici impavidi amici e colleghi che sabato e domenica mi hanno seguito su a Pian del Grado, al Poderone e al Castellaccio di Corniolino. Un grazie a tutti, specie a coloro che hanno sperimentato le mie alternative d’altura pur avendo nel sangue il sale del mare e nell’anima le infradito da notte in spiaggia.

La parola agli escursionisti della mia prima ufficiosa escursione guidata, “La ripa, il borgo e il castellaccio”. In breve qualche stralcio di sms inviatomi domenica sera:

“Eh, una certa stanchezza a tratti mi pervade…Due giorni davvero belli e sani” (Fra’)
“Siamo tutti arrivati, felici, stanchi e x il momento senza zecche! Grazie 1000 (Marci)
“Grazie di tutto. Sono stata davvero bene” (Monica)

Foto 1: nel cortile di Pian del Grado

Nel cortile del borgo di Pian del Grado


Foto 2: sulla mulattiera verso il Castellaccio di Corniolino

Sulla mulattiera tra Campigna e Galeata verso il Castellaccio di Corniolino

lunedì, luglio 17, 2006

Filetti di placenta

Il proprietario della Tabaccheria era ormai un mago delle parole crociate. Erano il suo passatempo preferito nelle ore centrali, quelle di un cliente ogni tanto. La sua bravura incuriosiva costantemente uno degli amici più assidui nel rifornirsi di cartine e sigarette. “Fammele fare a me”, chiedeva spesso. Il risultato dell'amico, però, non era ottimo e dopo un po’ passava a quelle con “l’aiutino”. E se pure quelle non bastavano, si irritava e cambiava le regole, inserendo qualsiasi parola che “ci stava”.

Chissà, forse cotanta inimicizia con le parole era la conseguenza di una cattiva alimentazione. “Ieri sera ho mangiato due filetti di placenta”, disse infatti un giorno l’amico al tabaccaio...

venerdì, luglio 14, 2006

Voix d’Alger 4
Ministre Toumi: “Le dialogue de l’Occident avec le reste du monde est un monologue”

(trad. fr. a cura di Maria Assunta Mini) - versione italiana

La bandiera algerina sventola sulla baiaCe ne sont pas tous les Algériens qui l’aiment. Des anciennes camarades de militantisme et des anciens camarades de parti utilisent à son égard des tons sarcastiques : “Qu’est-ce qu’elle a fabriqué cette fois la rouquine?”, demandent-ils. Ils l’accusent d’avoir trahi les luttes féministes et démocratiques pour se compromettre avec un pouvoir liberticide et conservateur. Mais ils parlent d’elle. Elle, Khalida Toumi, Ministre de la culture algérienne depuis 2002, est en effet un personnage connu, populaire, un sujet politique au centre de beaucoup de phrases, dans la presse, dans les salons de la culture et dans les conversations informelles. Même les enfants la connaissent: pendant qu’ils courent après un ballon sur une placette qui domine la baie d’Alger, ils reconnaissent un profil familier et tout de suite demandent si ce profil est celui de leur Ministre (ouazira).

Et elle rend l’attention en s’offrant souvent au public. Elle vient de rentrer d’Annaba, à l’extrême est du pays, où elle a fêté l’ouverture de structures d’accueil pour les anciennes combattantes de la guerre de libération avec le Ministre des moudjahiddin, elle est présente à plusieurs initiatives sectorielles dans les différentes régions du pays, elle participe à des émissions télévisées et radiophoniques nationales. Et, pendant qu’elle nous parle, elle s’interrompt pour répondre à un appel du Ministre de l’éducation au sujet de quelques initiatives conjointes pour rapprocher les enfants des livres et de la lecture, y compris un nouveau prix réservé au meilleur petit lecteur.

Comme Ministre de la culture son attention est attirée par quelques urgences du secteur, parmi les plus touchés par la décennie du terrorisme: au centre ville, le palais qui devrait accueillir en 2007 le premier musée algérien d’art moderne et contemporain, est encore couvert de poussière; un peu plus loin, à l’Ecole Nationale des Beaux-Arts, une fracture difficile entre étudiants, enseignants et administration reste à résoudre. Comme pour répondre à ses détracteurs, ses réflexions sont toutefois consacrées à d’autres questions: avant tout, la distinction entre laïcité et féminisme. “Etre laïcs – dit-elle – ne signifie pas automatiquement défendre les droits des femmes”.

Algeri, vista notturna delle poste centrali“J’en suis convaincue par évidence historique – explique la Ministre Toumi-. Par exemple, votre histoire, l’histoire de l’Europe, est riche en revendications à caractère laïc qui ont cautionné et pratiqué l’oppression des femmes. Le cas le plus évident est celui de la révolution française. Les révolutionnaires nièrent violemment l’accès au pouvoir politique aux femmes, qui avaient pourtant participé à la révolution. Olympe De Gouges rédigea la “déclaration des droits de la femme et de la citoyenne” (juillet 1790) s’inspirant de la “déclaration des droits de l’homme et du citoyen” de 1789, elle écrit que si la femme a le droit de monter à l'échafaud, elle doit avoir également celui de monter à la tribune: elle fut guillotinée deux ans plus tard. Les femmes pouvaient donc être des combattantes de la révolution mais pas des citoyennes de République. Ce ne fut que le début de plus d’un siècle d’injustices perpétrées par les laïcs contre les femmes, parce que même quand la France adopta sa célèbre réforme pour une école laïque, en 1905, les droits de citoyenneté des femmes tardèrent beaucoup à être reconnus; elles n’obtinrent le droit de vote qu’en 1944, après d’âpres polémiques.

D’autre part, je suis convaincue que laïcité et féminisme avancent sur des voies indépendantes sur la base de ce qui s’est passé dans l’histoire de notre religion. Au début de l’Islam, les femmes ont reçu un traitement exceptionnel. Aïcha, l’une des femmes du prophète, a été protagoniste d’une bataille constante pour l’accès des femmes aux plus hautes sphères du pouvoir. Quand l’Europe vivait ses “siècles sombres”, Aïcha dirigeait une armée”. La chercheuse et écrivain marocaine Fatima Mernissi a très bien documenté, à mon avis, le rôle politique de premier ordre des femmes au début de l’Islam.

A partir de cette solide conviction que l’histoire de la libération des femmes est distincte de la laïcité, quels sont les objectifs que vous vous êtes fixés une fois arrivée aux sommets politiques de l’Algérie?
“Je me suis demandée ce que je pouvais faire pour améliorer la condition des femmes. J'avais devant moi un code de la famille à réformer et deux options parmi lesquelles choisir. La première était la revendication d’une loi civile, sans compromis. Si j’avais persévéré dans ce sens, j’aurais été une femme qui trahissait les autres femmes en hommage à un parti laïc. J’ai donc choisi de rester du côté des femmes et de voir ce que je pouvais faire pour elles dans cette conjoncture historique, en mettant en deuxième plan les exigences du parti laïc, parce que – que cela soit clair – moi je ne suis la femme de ménage d’aucun parti laïc”.

Le résultat?
“Les transformations auxquelles j’ai contribué pendant ces dernières années restent inscrites dans le cadre d’un code à inspiration religieuse, d’un code inspiré à l’Islam, mais la condition de la femme s’est améliorée. Le code de la famille et le code de la nationalité adoptés en mars 2005 sont très loin de ceux qui étaient en vigueur avant. Aujourd’hui, il n’est plus permis de jeter une femme à la rue après le divorce. Aujourd’hui, les mères exercent l’autorité parentale sur leurs enfants au même titre que les pères. L’obligation d’obéissance au mari a été supprimée, les époux ont les mêmes obligations réciproques. La polygamie est devenue pratiquement impossible. Le code de la nationalité a été révolutionné, la nationalité algérienne d’origine est reconnue par filiation maternelle en cas d’union avec des étrangers et, d’autre part, il est possible d’acquérir la nationalité suite au mariage soit avec un Algérien qu’avec une Algérienne.”

Acceptant des compromis politiques pour défendre les droits des femmes, avez-vous dû modérer vos tons et «adoucir » vos positions par rapport à la période du militantisme?
“J’ai été une militante pour défendre plusieurs idées. J’ai milité pour la démocratie, un système de gouvernement, le meilleur pour le moment, mais qui est aussi très fragile, comme vous les Italiens le savez très bien. J’ai milité pour les droits des femmes. J’ai milité pour changer le système éducatif. Et j’ai lutté pour endiguer le pouvoir excessif du marché et garantir une gestion sociale de l’école, de la culture et de la santé.
Un jour, le parti où je militais a décidé de faire un pacte avec l’armée et opérer un coup d’Etat. J’ai été contraire et j’ai été expulsée. J’étais dans cette situation quand on m’a proposé le poste de Ministre. Je savais que j’allais entrer dans un gouvernement mixte et que je devais lutter et souffrir, mais j’ai préféré le compromis avec le gouvernement pour essayer de changer les choses au militantisme dans un parti laïc favorable à un coup d’Etat militaire et fermé dans sa politique de salon.
Or, si vous me demandez si j’ai réussi à changer les choses, je vous dis encore une fois que la condition des femmes s’est améliorée et que, avec le Ministre de l’éducation qui vient de m’interpeller, je suis en train d’essayer de porter la culture dans les écoles et d’ouvrir les horizons des enfants algériens. Il faudra peut-être vingt ans, mais j’ai confiance en mon peuple”.

Sa position contredit le scepticisme de la communauté internationale qui continue à nourrir des doutes sur la nature démocratique de l’Etat algérien et du gouvernement dont vous être membre...
“Si dans n’importe quel gouvernement européen entrent des femmes, la communauté internationale se réjouit pour la maturation du système démocratique. Si, par contre, une femme entre dans le gouvernement d’un pays arabe, la communauté internationale ne manifeste que des doutes.
C’est le symptôme d’un racisme larvé. Et de mépris. C’est une conception du monde selon laquelle les femmes du monde arabe seraient soumises par la force des choses. La même conception selon laquelle il revient à quelques Etats occidentaux et à leurs establishments politiques, économiques et intellectuels de décider de la justesse des choix et des actions du reste du monde. L’Occident s’arroge le droit de tout définir et de distribuer des certificats de qualité politique et intellectuelle, dans une dynamique auto-référentielle qui transforme en fait le dialogue en un monologue. Cela – je le répète – s’appelle racisme”.

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L'eterno presente nella vita di Algeri

Voci da Algeri (4)
Ministra Toumi: “Il dialogo dell’Occidente con il resto del mondo è un monologo


Voci da Algeri (3)
Abdelkader Bouazzara, il Maestro che iniziò a suonare con fili da pesca e barattoli d’olio


Voci da Algeri (2)
"In paradiso ne vedremo delle belle". Parola di focolarina


Voci da Algeri (1)
Se il David di Michelangelo si potesse muovere avrebbe già lanciato la sua pietra contro qualcuno

mercoledì, luglio 12, 2006

Zambarducolaggini

Vittorio Zambardino, giornalista di Repubblica, non ha potuto fare a meno di collezionare i soliti luoghi comuni su università e scienze della comunicazione in particolare. Le tesi espresse nel post Ragazzi mie, scienziati della comunicazione immaginari" cominciano a gridare vendetta. Non è possibile che artisti del luogo comune continuino ad avocarsi il diritto di accusare gli altri di pressapochismo.

Sono state molte le reazioni e questa mi è parso doveroso aggiungerne una mia. Riporto anche di seguito il testo depositato tra i commenti del blog di Zambardino:

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Caro Vittorio,

hai ragione da vendere quando dici che un’università non può essere una palestra utile per il giornalismo. Credo infatti che neppure il più scapestrato studente del più scapestrato ateneo nostrano entri nel mondo del lavoro con la capacità di scrivere con leggerezza luoghi comuni paragonabile alla tua.

Mi domando, per esempio, se, quando parli di scienze della comunicazione, sai quante realtà si nascondono sotto questa etichetta? Faresti bene a fare una piccola indagine: scopriresti allora che, prima della riforma del 3+2, scienze della comunicazione era un corso di laurea quinquennale, dove, oltre alle materie umanistiche, si studiava economia, marketing, informatica e inglese. Per arrivare alla laurea occorreva superare 27 esami – più o meno come a ingegneria – e tra i docenti a Bologna c’erano Umberto Eco, Romano Prodi, oltre a figure di primo piano nell’ambito cittadino. Per ritrovare questo glorioso passato, ti basterebbe leggere quello che i tuoi colleghi di Repubblica scrivevano, a metà anni ’90, sui mitici 140 cervelli che ogni anno avevano l’onore di accedere al corso di laurea, superando la concorrenza di altri 2000 candidati. Dubito che tu sappia tutto questo. O forse l’hai rimosso perché uno dei tuoi figliocci ha miseramente fallito l’ingresso, cedendo di fronte alle domande di cultura generale, di inglese, di logica e di comprensione del testo.

Caro Zambardino, è poi il tempo di smettere con questa falsa mitologia dello scienziato che ha in mano le chiavi nel mondo lavorativo. Ho 27 anni e con la mia laurea in comunicazione mi guadagno onorevolmente da vivere lavorando spesso con coetanei provenienti da iter scientifici: matematici, fisici, informatici, economisti. Tributo loro la massima stima dal punto di vista culturale e molti di loro avranno un’utilità sociale indiscutibilmente più alta della mia, ma non mi venire a dire che questo li mette al riparo dalle turbolenze dell’economia attuale. Le difficoltà ci sono: sono probabilmente meno drammatiche di quanto le descriviate voi penne da luogo comune, ma ci sono e sono trasversali ai profili professionali. Se tu non ti accontentassi delle dichiarazioni di un preside blasonato, desideroso di avere più studentelli e quindi più finanziamenti per la sua facoltà scientifica, potresti capire al volo questa situazione. Ma mi rendo conto che anni di copia e incolla dalle agenzie, rendano difficile scrivere una riga al di là del luogo comune.

Ciò che appesta la comunicazione e in generale la vivacità lavorativa, dunque, non è la qualità del percorso formativo seguito, ma l’attaccamento al privilegio di tecnodinosauri come te. Gente cresciuta nel privilegio, ancora attaccata alla mentalità corporativa dell’ordine professionale e ormai appesantita da troppe canizie per progettare un futuro caratterizzato dalla flessibilità. Scusa per lo sgarbo generazionale che colpisce ingiustamente anche molti tuoi coetanei meritevoli, ma, dalle esperienze di cronista avute finora, ti posso dire che il colore dei capelli è uno dei fattori che mi colpisce di più e negativamente a tutte le riunioni programmatiche. C’è gente con troppo passato a bofonchiare sul futuro: gente che si è fatta rimborsare troppe volte l’aperitivo di lusso come spesa lavorativa per arrivare in cattedra e predicare spirito di abnegazione...

sabato, luglio 08, 2006

L’eterno presente nelle vita di Algeri

La Casbah vista da una finestra del Museo delle Arti e delle tradizioni popolariSua madre ha abbandonato la carriera accademica negli Stati Uniti, è tornata in Algeria e si è trovata nel vortice del terrorismo e poi ad offrire assistenza psicologica alle vittime della violenza. E lei, Amel, può raccontare da protagonista ciò che si prova a essere fermati alla periferia della città da un falso posto di blocco allestito dai terroristi. Amel ricorda quel momento come “una storia di pomodori”, ironizzando sulla cassa di verdure nel portabagagli che ha fatto sembrare lei e un amico una coppia di ritorno da acquisti a buon mercato nelle campagne, salvando entrambi da ciò che sarebbe capitato a un uomo e una donna non sposati sorpresi assieme in auto.

Il villaggio di Ait Eurbah al tramontoLe storie di Amel e sua madre sono comuni in Algeria. Nessuno le vuole raccontare, ma a volte sono così presenti da materializzarsi anche nelle poche e impervie vie di un paese di crinale della Cabilia. E’ così per esempio a Ait Eurbah. Diroccata nella parte bassa della via principale c’è ancora la casa di Ali Mohammed Mohand Amokrane detto Mohand u Idir: fu uno degli eroi e dei martiri della guerra di liberazione e proprio in quella casa fu sterminata per repressione gran parte della sua famiglia. Lì vicino abita ancora un nipote, che in onore del nonno ha ereditato lo stesso nome, Mohand Amokrane. Non ha ancora trent’anni ma anche lui può già raccontare. Di quella notte in cui i terroristi fermarono il pullman dove lui e i suoi amici del villaggio dormivano di ritorno da una festa. Erano ubriachi e dettero per scontato il peggio. I terroristi però cercavano degli abitanti del vicino villaggio di Tassaft: la loro era una rappresaglia contro la resistenza armata organizzata da Noureddine Amirouche, nipote del celebre colonnello Amirouche della guerra di liberazione, appunto originario di Tassaft: “I terroristi – racconta il giovane Mohand – si limitarono a distruggere le bottiglie di birra residue e a farci una violenta predica. Ma ce la siamo vista brutta”. Quella poi non fu la sola disavventure di Mohand. Nella primavera del 2001, fu ferito nei violenti scontri fra i giovani e la gendarmeria che misero a ferro e fuoco per settimane la regione in seguito all’uccisione di un liceale in una caserma: allora fu costretto ad assistere alla morte di un amico, lì a pochi passi da lui.

Sono molte le storie sovrapposte nella memoria algerina degli ultimi decenni. Fino al 1962 c’era l’oppressore francese. Poi subentrò la lunga dittatura civile-militare. E, quando il tunnel si sperava concluso, dopo le rivolte popolari del 1988 e il successivo sistema multipartitico con la libertà di stampa e di associazione nel 1989, arrivarono il fondamentalismo religioso e il terrorismo. Fu addirittura una consultazione popolare a dare loro il benvenuto definitivo. Erano le elezioni del 1991. “Da un lato – racconta ancora Amel – c’era il Fronte di Liberazione Nazionale: era l’ex partito unico, simbolo degli abusi del potere e colluso con i militari e la gente non ne voleva più sapere. Dall’altra parte c’era invece il partito berbero: inneggiava alla democrazia e alla laicità e la gente, oltre a nutrire una forte diffidenza regionalista, non sapeva cosa fossero quei valori. Infine, c’erano gli integralisti: dicevano alle donne che avrebbero dato loro i mariti e agli uomini che avrebbero dato loro lavoro ed equità. Erano già violenti nei modi e nel linguaggio, ma l’informazione circolava poco e la voglia di voltare pagine era esasperata. La gente pensò ‘perché no?’ e li votò”.

La baia di El KalaLe elezioni furono bloccate tra il primo e il secondo turno e quel gesto precipitò il paese in una spirale di violenza che non risparmiò nessuno. Lo scontro fra gruppi islamici armati ed esercito divenne guerra e dilagò nella società. Si fronteggiarono due schieramenti a loro volta frammentati all’interno, con terroristi decisi a colpire solo i militari e terroristi convinti invece della necessità di attaccare anche la popolazione, fino a considerare chiunque non li sostenesse attivamente un nemico da abbattere e a trucidare, neonati compresi. Attacchi contro militari e poliziotti, attentati alle loro famiglie, assassini di militanti politici, sindacalisti, giornalisti, magistrati, funzionari, artisti, falsi posti di blocco, attentati alle infrastrutture, autobombe in città e coprifuoco, abitudini scardinate e regioni off limits, fino ai massacri collettivi del 1997 e 98 con interi villaggi decimati hanno caratterizzato un decennio che ha condannato gli abitanti alla paura costante della fine. “Era come vivere con una bomba a orologeria in testa”, racconta Amel. “Bastava che qualcuno ti seguisse e tu iniziavi a sentire tic-tac, a pensare che era finita”. Lei stessa fu vittima di un pedinamento e per anni fu costretta a vivere nascosta, lontano dalla capitale, senza più un lavoro.

Dal 2000 la situazione del paese si è stabilizzata, ma l’abitudine a vivere ancorati al presente ha finora impedito una pianificazione lungimirante e un recupero delle tradizioni. Dopo aver investito risorse per ideare un efficiente sistema di trasporti per la capitale, si è lasciato piede libero al trasporto privato, ingolfando le vie cittadine e oscurando l’orizzonte della baia con lo smog. L’edilizia tradisce un frequente ricorso al fai-da-te, riempiendo i nuovi quartieri residenziali di tetti incompleti e parallelepipedi di cemento armato ricoperti di parabole. E un po’ ovunque è visibile la perdita della tradizione: ad El Kala, per esempio, a pochi chilometri dalla Tunisia, il fiorente artigianato della pipa è scemato nell’arco di una generazione. Laddove i nonni esportavano nel mondo le loro geometrie ritagliate nel resistente legno di erica arborea, i nipoti “sfornano” nelle loro officine in lamiera portacenere e souvenir senza più alcuna identità stilistica.

Una via del centro storico d'Algeri durante il mercatoIl rilancio dell’arte e della tradizione dovrebbe ricevere un nuovo impulso nel 2007, quando Algeri sarà la capitale della cultura del mondo arabo. Tra i progetti più innovativi programmati dal Ministero della Cultura vi è l’allestimento del primo museo d’arte moderna e contemporanea. Dovrebbe dare una sede agli artisti algerini del primo Novecento e dell’Algeria indipendente. Il luogo prescelto è un palazzo in stile neomoresco situato nel pieno centro della capitale: edificio nobile, disposto su tre piani, con scalinate in legno e finestre riccamente decorate, ma che ancora verte in condizioni tali da far dubitare un restauro sufficientemente veloce per renderlo agibile in pochi mesi.

Al di là degli ostacoli tecnici c’è inoltre lo scetticismo di una parte del mondo artistico. La Ministra, Khalida Toumi, dichiara di “essere una Ministra vicina al popolo” e il popolo, compresi i bambini, la segue e la conosce. Ma, tra gli ex studenti della Scuola delle Belle Arti, c’è chi è convinto che il nuovo museo sia più un’operazione di marketing verso il mondo che un canale di comunicazione con il popolo algerino: “Visiteranno il museo le stesse poche persone che frequentano i grandi hotel come El Aurassi”, lamenta Mohand, scultore secondo cui ciò che occorre non è un museo inteso come ricettacolo della storia, archivio delle opere che hanno detto già ciò che dovevano dire, ma “spazi-evento, luoghi capaci di scuotere, interpellare e suscitare domande, luoghi dove l’artista potrebbe conservare la sua indipendenza e il suo punto di vista critico sul mondo”.

Mohand, fedele ai suoi propositi sperimentali, ha ora abbandonato la scultura fisica per quella virtuale. E’ convinto che l’avrebbe fatto anche Michelangelo: “Se avesse potuto scolpire un David in movimento – dice Mohand – Michelangelo l’avrebbe fatto. E sono anche convinto che se il David avesse potuto muoversi, avrebbe già lanciato la sua pietra contro qualcuno”. Capire contro chi non è facile in Algeria. Forse contro i “barbuti”, che incarnano nelle strade la minaccia del fondamentalismo religioso? O forse contro i burocrati e gli speculatori che frenano lo sviluppo del paese?

E’ più facile iniziare a compilare il lungo elenco di Algerini che certamente non meritano altre pietre contro. Il leggendario Lupo Bianco della Casbah, in arte un professore di francese, che custodisce (ma volentieri svela) la lunga storia della moschea di Sidi Abderrahmane, patriarca di Algeri. Il giovane naturalista Mansur, che con la sua canoa traghetta i turisti più fortunati tra le ninfee del lago Tonga, vicino alla frontiera tunisina, nel cuore della zona umida più grande del Mediterraneo. Zohra, la guida musulmana della basilica di Sant’Agostino ad Annaba, che da anni dà una mano ai padri agostiniani che ne sono responsabili, occupandosi della biblioteca e della segreteria. Dahbia, la signora dall’apparenza fragile e minuta, che si adopera con tenacia a difendere le sue (piccole) proprietà e le sue ambizioni imprenditoriali nel villaggio d’origine. O la comunità delle focolarine, che da quarant’anni è presente in Algeria e da allora dialoga con le persone per dimostrare che i singoli possono convivere anche quando gli Stati e le ideologie si scontrano.

Donne alle terme il venerdì pomeriggioSaranno loro le persone che ridaranno il futuro agli Algerini? Kamel Daoud, editorialista de Le Quotidien d'Oran, è scettico verso l’ipotesi di una rapida via di fuga verso il progresso. Sulle pagine del suo giornale scrive che la fine del Fis (Fronte Islamico di Salvezza) non equivale alla morte dell’islamismo: “La matrice che fece nascere quel vasto movimento di violenza, di contestazione e di recupero delle miserie e delle frustrazioni – denuncia Daoud – è ancora lì, affascinante come una soluzione di ripiego e sempre passibile di reclutare la maggioranza dei “declassati” politici o sociali utilizzando le sue argomentazioni semplici e le sue ragioni ancora solide”.

Mentre gli spettri del passato si agitano ancora negli armadi della politica, gli occhi sono puntati sulla salute del Presidente Bouteflika, colui che al momento garantisce l’unità tra le anime del paese e gode di un’indiscutibile popolarità.

Voci da Algeri (4)
Ministra Toumi: “Il dialogo dell’Occidente con il resto del mondo è un monologo

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Voci da Algeri (3)
Abdelkader Bouazzara, il Maestro che iniziò a suonare con fili da pesca e barattoli d’olio


Voci da Algeri (2)
"In paradiso ne vedremo delle belle". Parola di focolarina


Voci da Algeri (1)
Se il David di Michelangelo si potesse muovere avrebbe già lanciato la sua pietra contro qualcuno

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