Sala Tv dell'ostello. Fox classics passa in rassegna la saga di Rambo. Il soldato ribelle qui piace, c'e' quasi un tifo da stadio e dietro alla birra che accompagna ogni impresa si nascondono alcuni dei piu'caratteristici ospiti del luogo. Il primo e' il canadese che e' qui dopo aver lasciato l'universita': 21 anni che sembrano 40 quando lapida il suo fallimento scolastico con una smorfia e un baritonale "I dropped".
Cé'poi l'Azerbajo che ora vive in Svezia e parla cinque lingue: si sistema la sua chioma e tra Rambo 1 e Rambo 2, entrambi posseduti in dvd, occupa la scena con un fare sospettosamente femmineo e mi chiede: "Are you proud of the Italian stallion? You know that Sylvester Stallone is Italian, don't you?". Lo so ma non ne vado particolarmente orgoglioso e la conversazione decade.
Meglio quella che si svolge poco piu' in la' tra la ragazza di Quebec City e Marvin, l'irlandese di Belfast. I due scambiano qualche battuta, lei si perde e, con un po'di ignoranza geografica chiede: "Ma in Irlanda parlate inglese ogni tanto?". Marvin inarca allora le folte sopracciglia, sporge gli occhi ancora piu'fuori dalle orbite e, senza perdere di vista Rambo, risponde: "Actually English is my first language".
Povero Marvin. Nessuno lo capisce e due mesi di Australia non gli sono bastati a migliorare il suo inglese. Continua a parlare e irlandese e ci metto tre tentativi per capire che mi sta chiedendo di spegnere la luce.
Leggende romagnole, avventure metropolitane, suggestioni dal mondo e altre divagazioni in evoluzione pluriennale.
lunedì, febbraio 26, 2007
Autostop nella tempesta
La montagna australiana continua a respingermi. Come vi metto piede una nube di dimensioni intercontinentali si materializza, costringendomi a tornare sui miei passi tra fulmini che sembrano bombe atomiche. E cos' dopo aver appena intravisto le Blue Mountains, sabato ho appena intravisto il Royal National Park.
E' un'area montagnosa che si sviluppa per 40 Km lungo la costa a circa un'ora di treno da Sydney in direzione sud. La caratterizzano i soliti enormi eucalipti e baie che ricordano la Sardegna. Cronulla, stazione d'arrivo del treno, e' un posto incantevole. I locali vivono di turismo e lo spirito amichevole dei locali da' in quelle viuzze la miglior mostra di se'. Nel tempo di un cappuccino ben tre persone dello staff sono venute fuori per condividere le loro esperienze europee, tra divertimenti e vicissitudini.
Attratti da cotanta ospitalita', io e il mio socio italiano di giornata ci siamo decisi a trascorrere la' due giorni. E da li' e' partito tutto. Nessun posto disponibile lungo il cammino sulla costa. "L'unica chance - spiega per telefono l'addetta del parco - e' nel bushwalk camp vicino a Audley". Il sole brilla invitante e, anche senza tenda, la risposta e' si'.
Audley doveva essere a due o tre ore di marcia, ma il sentiero che vi conduce e' ignoto ai locali stessi che indicano direzioni contrastanti. Dopo tre o quattro fallimenti si fa tempo di autostop. Subito riuscito con una coppia in vacanza che ci alletta il viaggio con un "Nessun dorma" pescato tra i cd. Venti minuti di lirica e siamo a Audley.
Il luogo e' un centro visita bar in mezzo al nulla. E da li' - ci dicono con leggiadria - ci vuole un'altra ora e mezza di cammino per raggiungere il camping. "Che attrezzature ci sono?", chiedo. "Oh, niente - risponde l'australiana sbattendo gli occhi dietro i suoi occhialoni quadrati - solo una sorta di bagno e acqua corrente".
"Avventuroso", penso tra me e me, mentre un altro pensiero mi sovviene. "Ma - chiedo ancora - qui non ci sono animali pericolosi, vero?".
'Certo che ci sono. Ci sono molti serpenti e ragni qui, ma di solito stanno sulle loro. Comunque non mettete le scarpe fuori dalla tenda perche' vi entrano volentieri. Lasciatele dentro o sul tavolo se c'e'".
Augurandomi che il tavolo ci sia, mi riprometto di essere io a dormire su di esso, chiudendo ogni varco tra me e la natura...
Tutto questo pero' non e' mai successo. Dopo due ore, fradici fino alle ossa (ma da buona guida avevo un bel cambio) eravamo di ritorno a Audley. Tutto chiuso, nessun in giro e troppo tardi per ogni mezzo pubblico. Il dito si affaccia di nuovo verso l'asfalto, unica ancora di speranza tra il nulla e la civilta'. Due auto ed e' di nuovo missione compiuta. A fermarsi e' un pick-up. "Dove andate ragazzi?", chiede Adrien, il ragazzo della coppia.
"Qualsiasi stazione per prendere la metro per Sydney sarebbe una benedizione".
"Andate a Sydney. Anche nopi andiamo la'", interviene Kelly. "Dobbiamo solo caricare un materasso da un garage lungo la strada. Vi dispiacerebbe darci una mano?".
Le goccioline dal mio cappello cadevano verso l'alto dalla gioia. Avrei tralocato loro la casa per ripagarli del passaggio. Veloce, comodo e pieno di consigli sui locali per bere una birra con qualche autentico australiano sulle note di un po' di jazz.
Un'ora dopo era gia' tempo di gongolarsi dell'avventura con gli altri viaggiatori dell'ostello.
E' un'area montagnosa che si sviluppa per 40 Km lungo la costa a circa un'ora di treno da Sydney in direzione sud. La caratterizzano i soliti enormi eucalipti e baie che ricordano la Sardegna. Cronulla, stazione d'arrivo del treno, e' un posto incantevole. I locali vivono di turismo e lo spirito amichevole dei locali da' in quelle viuzze la miglior mostra di se'. Nel tempo di un cappuccino ben tre persone dello staff sono venute fuori per condividere le loro esperienze europee, tra divertimenti e vicissitudini.
Attratti da cotanta ospitalita', io e il mio socio italiano di giornata ci siamo decisi a trascorrere la' due giorni. E da li' e' partito tutto. Nessun posto disponibile lungo il cammino sulla costa. "L'unica chance - spiega per telefono l'addetta del parco - e' nel bushwalk camp vicino a Audley". Il sole brilla invitante e, anche senza tenda, la risposta e' si'.
Audley doveva essere a due o tre ore di marcia, ma il sentiero che vi conduce e' ignoto ai locali stessi che indicano direzioni contrastanti. Dopo tre o quattro fallimenti si fa tempo di autostop. Subito riuscito con una coppia in vacanza che ci alletta il viaggio con un "Nessun dorma" pescato tra i cd. Venti minuti di lirica e siamo a Audley.
Il luogo e' un centro visita bar in mezzo al nulla. E da li' - ci dicono con leggiadria - ci vuole un'altra ora e mezza di cammino per raggiungere il camping. "Che attrezzature ci sono?", chiedo. "Oh, niente - risponde l'australiana sbattendo gli occhi dietro i suoi occhialoni quadrati - solo una sorta di bagno e acqua corrente".
"Avventuroso", penso tra me e me, mentre un altro pensiero mi sovviene. "Ma - chiedo ancora - qui non ci sono animali pericolosi, vero?".
'Certo che ci sono. Ci sono molti serpenti e ragni qui, ma di solito stanno sulle loro. Comunque non mettete le scarpe fuori dalla tenda perche' vi entrano volentieri. Lasciatele dentro o sul tavolo se c'e'".
Augurandomi che il tavolo ci sia, mi riprometto di essere io a dormire su di esso, chiudendo ogni varco tra me e la natura...
Tutto questo pero' non e' mai successo. Dopo due ore, fradici fino alle ossa (ma da buona guida avevo un bel cambio) eravamo di ritorno a Audley. Tutto chiuso, nessun in giro e troppo tardi per ogni mezzo pubblico. Il dito si affaccia di nuovo verso l'asfalto, unica ancora di speranza tra il nulla e la civilta'. Due auto ed e' di nuovo missione compiuta. A fermarsi e' un pick-up. "Dove andate ragazzi?", chiede Adrien, il ragazzo della coppia.
"Qualsiasi stazione per prendere la metro per Sydney sarebbe una benedizione".
"Andate a Sydney. Anche nopi andiamo la'", interviene Kelly. "Dobbiamo solo caricare un materasso da un garage lungo la strada. Vi dispiacerebbe darci una mano?".
Le goccioline dal mio cappello cadevano verso l'alto dalla gioia. Avrei tralocato loro la casa per ripagarli del passaggio. Veloce, comodo e pieno di consigli sui locali per bere una birra con qualche autentico australiano sulle note di un po' di jazz.
Un'ora dopo era gia' tempo di gongolarsi dell'avventura con gli altri viaggiatori dell'ostello.
mercoledì, febbraio 21, 2007
Queen Mary 2, la regina delle crociere
I giornali di Sydney sono molto into gossip. Robin Williams, Madonna e compagnia sono spesso in prima pagina e occupano ininterrottamente le restanti venti, lasciando giusto una facciata libera per le previsioni del tempo che qui sono una cosa articolata, vantando specifiche sul surf, la vela e la pesca.
Negli ultimi due giorni pero' non ce n'e' stata per nessuno. La copertina era tutta per Queen Mary 2, la nave da crociera piu' grande del mondo. Il suo campo da golf galleggiante e i suoi 2600 passeggeri sono arrivati a Sydney lunedi' mattina. La citta' si e' letteralmente messa in processione verso la baia di Wollomoloo per imprimere la propria faccia su una fotografia fianco a fianco alla regina degli oceani.
"Did you see the ship?", e' stata la domanda in di lunedi' 21 febbraio. Me l'hanno fatta all'alba mentre facevo il giardiniere. Me l'hanno fatta piu' tardi tutti i cuochi mentre lavoravo in cucina. E me l'hanno fatta all'ostello tutte le persone incontrate.
In serata ho infine visto Queen Mary 2, fresca di un'attraversata del Pacifico. Di fronte a lei c'era un'improbabile folla che animava improbabili flash per illuminare un gigante a piu' di cento metri di distanza. I risultati non erano buoni stando ai commenti...
Comunque, senza flash e con una panchina improvvissata a treppiede, ecco Queen Mary 2:
Negli ultimi due giorni pero' non ce n'e' stata per nessuno. La copertina era tutta per Queen Mary 2, la nave da crociera piu' grande del mondo. Il suo campo da golf galleggiante e i suoi 2600 passeggeri sono arrivati a Sydney lunedi' mattina. La citta' si e' letteralmente messa in processione verso la baia di Wollomoloo per imprimere la propria faccia su una fotografia fianco a fianco alla regina degli oceani.
"Did you see the ship?", e' stata la domanda in di lunedi' 21 febbraio. Me l'hanno fatta all'alba mentre facevo il giardiniere. Me l'hanno fatta piu' tardi tutti i cuochi mentre lavoravo in cucina. E me l'hanno fatta all'ostello tutte le persone incontrate.
In serata ho infine visto Queen Mary 2, fresca di un'attraversata del Pacifico. Di fronte a lei c'era un'improbabile folla che animava improbabili flash per illuminare un gigante a piu' di cento metri di distanza. I risultati non erano buoni stando ai commenti...
Comunque, senza flash e con una panchina improvvissata a treppiede, ecco Queen Mary 2:
Parramatta (Sydney suburb)
lunedì, febbraio 19, 2007
Le origini dell'Australia: un cappuccino nella foresta
Ho scoperto che si puo' trovare un posto anche senza conoscerlo. Basta pronunciarne male il nome, prendere due treni, chiedere informazioni a un ferroviere, a un barista e a due passanti, e aggiungere al tutto un paio di telefonate e una scarpinata di mezz'ora sotto il sole cocente. Fate tutto questo e anche voi arriverete alla Harwick Farm Racecourse.
Il luogo e' un enorme ippodromo dove dovevo andare per allestire i tendaggi in vista di un festival enogastronomico. Uno dei soliti lavoretti occasionali per arrotondare il budget proveniente dal ristorante. Solo che stavolta avevo capito male l'orario di ritrovo all'ostello: 8.30 anziche' 7.30. E cosi' e' partita la mia maratona al buio nei sobborghi ovest di Sydney. Circa un'ora e mezza per attraversare 30 Km di citta', trascinandomi di tappa in tappa senza saper bene dove parare.
Cio' che mi ha sorpreso e' stato considerare la cosa normale. Considerare normale finire nella stazione di Auburn (giusta), chiedendo un biglietto per quella di Orwell (inesistente...). E soprattutto mi ha sorpreso arrivare alla meta poco dopo gli altri che si erano ritrovati un'ora prima. Giusto in tempo per piantare qualche immenso chiodo e imparare a fare qualche nodo. I marinai della situazione mi hanno anche detto i nomi dei nodi in questione, ma ahime' non li ricordo. Forse uno era gass... qualcosa.
Il luogo della mia avventura odierna non e' lontano da Parramatta (immagini), il sobborgo che ho visitato domenica. La cittadina, ormai inglobata nella metropoli, e' famosa per essere stata il secondo insediamento occidentale in Australia. E' stata teatro di un lungo conflitto con le tribu' locali, ma anche del primo matrimonio misto tra aborigeni ed europei. A Parramatta c'e' la casa del primo governatore, la fattoria che salvo' dalla fame i primi coloni, e il primo olivo piantato nel paese. Insomma, Parramatta e' una citta' ricca di storia, nel senso australiano del termine: un paio di secoli scarsi e un bungalow piu' vecchio degli altri.
Spinto dal mio orgoglio europeo ho snobbato questo piccolo patrimonio vittoriano, preferendo concentrarmi sulla natura. Come al solito accattivante. Parramatta e' alla fine della baia di Sydney, dove il mare e' gia' fiume. E' a 24 Km dal mare, circa un'ora di jet cat tra foreste di eucalipti, barche a vela, case in legno e ponti sospesi. Ai lati del pontile scorrono orizzonti amazzonici, ma al di la' dell'argine c'e' una metropoli inaspettatamente piena di caffetterie. Tornando indietro ne ho preso uno da asporto: pensando a "Un te' nel deserto", mi veniva da dire un cappuccino nella foresta.
Il luogo e' un enorme ippodromo dove dovevo andare per allestire i tendaggi in vista di un festival enogastronomico. Uno dei soliti lavoretti occasionali per arrotondare il budget proveniente dal ristorante. Solo che stavolta avevo capito male l'orario di ritrovo all'ostello: 8.30 anziche' 7.30. E cosi' e' partita la mia maratona al buio nei sobborghi ovest di Sydney. Circa un'ora e mezza per attraversare 30 Km di citta', trascinandomi di tappa in tappa senza saper bene dove parare.
Cio' che mi ha sorpreso e' stato considerare la cosa normale. Considerare normale finire nella stazione di Auburn (giusta), chiedendo un biglietto per quella di Orwell (inesistente...). E soprattutto mi ha sorpreso arrivare alla meta poco dopo gli altri che si erano ritrovati un'ora prima. Giusto in tempo per piantare qualche immenso chiodo e imparare a fare qualche nodo. I marinai della situazione mi hanno anche detto i nomi dei nodi in questione, ma ahime' non li ricordo. Forse uno era gass... qualcosa.
Il luogo della mia avventura odierna non e' lontano da Parramatta (immagini), il sobborgo che ho visitato domenica. La cittadina, ormai inglobata nella metropoli, e' famosa per essere stata il secondo insediamento occidentale in Australia. E' stata teatro di un lungo conflitto con le tribu' locali, ma anche del primo matrimonio misto tra aborigeni ed europei. A Parramatta c'e' la casa del primo governatore, la fattoria che salvo' dalla fame i primi coloni, e il primo olivo piantato nel paese. Insomma, Parramatta e' una citta' ricca di storia, nel senso australiano del termine: un paio di secoli scarsi e un bungalow piu' vecchio degli altri.
Spinto dal mio orgoglio europeo ho snobbato questo piccolo patrimonio vittoriano, preferendo concentrarmi sulla natura. Come al solito accattivante. Parramatta e' alla fine della baia di Sydney, dove il mare e' gia' fiume. E' a 24 Km dal mare, circa un'ora di jet cat tra foreste di eucalipti, barche a vela, case in legno e ponti sospesi. Ai lati del pontile scorrono orizzonti amazzonici, ma al di la' dell'argine c'e' una metropoli inaspettatamente piena di caffetterie. Tornando indietro ne ho preso uno da asporto: pensando a "Un te' nel deserto", mi veniva da dire un cappuccino nella foresta.
sabato, febbraio 17, 2007
Scandalo all'ostello
Il ragazzotto tedesco - tipica faccia da bravo ragazzo e personalita' schiva - ascoltava Federico sempre piu' impietrito. L'espressione tradiva un certo ribrezzo e alla fine la sua conclusione e' stata lapidaria: "Non mi sono accorto di niente ed e' meglio cosi'".
Cio' che il ragazzotto era felice di aver ignorato era cio' che il suo socio di camera, Federico, aveva invece drammaticamente vissuto la notte prima. Un lungo coito tra una svedese bruttina (bassa, mora, tarchiata), e uno sconosciuto maschietto di ignota provenienza. I due si erano tranquillamente adagiati al primo piano del letto a castello e li' avevano portato avanti i loro porci e rumorosi comodi, senza neppure preoccuparsi di cancellare le tracce, come la mattina seguente evidenziera' un preservativo sporco abbandonato sul pavimento.
"Se avessi potuto parlare italiano, gli avrei fatto fare una figura del cazzo", spiegava Federico, appena atterrato dall'Italia e ancora tarpato da un inglese novello. "Ma dico, cazzo, e' estate, infilati in un parco, non tra tre sconosciuti!".
"Well - ha concluso Philip, altro tedesco incuriosito dalla conversazione - non e' la prima volta che succede. In un altro ostello su al nord c'e' stata una tipa che non ha perso una sera in quindici giorni. E non ricordo di aver mai intravisto la stessa persona".
Nella sua voce era evidente un certo risentimento. Dal nervosismo con cui ingoiava il suo yoghurt alla passion fruit era evidente la rabbia per non essere mai stato della partita.
Cio' che il ragazzotto era felice di aver ignorato era cio' che il suo socio di camera, Federico, aveva invece drammaticamente vissuto la notte prima. Un lungo coito tra una svedese bruttina (bassa, mora, tarchiata), e uno sconosciuto maschietto di ignota provenienza. I due si erano tranquillamente adagiati al primo piano del letto a castello e li' avevano portato avanti i loro porci e rumorosi comodi, senza neppure preoccuparsi di cancellare le tracce, come la mattina seguente evidenziera' un preservativo sporco abbandonato sul pavimento.
"Se avessi potuto parlare italiano, gli avrei fatto fare una figura del cazzo", spiegava Federico, appena atterrato dall'Italia e ancora tarpato da un inglese novello. "Ma dico, cazzo, e' estate, infilati in un parco, non tra tre sconosciuti!".
"Well - ha concluso Philip, altro tedesco incuriosito dalla conversazione - non e' la prima volta che succede. In un altro ostello su al nord c'e' stata una tipa che non ha perso una sera in quindici giorni. E non ricordo di aver mai intravisto la stessa persona".
Nella sua voce era evidente un certo risentimento. Dal nervosismo con cui ingoiava il suo yoghurt alla passion fruit era evidente la rabbia per non essere mai stato della partita.
lunedì, febbraio 12, 2007
Quattro chiacchiere con la signora di Katoomba
Le blue mountains sono un complesso montagnoso a circa 100 Km dal centro di Sydney in direzione ovest. Il massiccio, che si attesta sui 1000 m. di altitudine, prende il nome dal colore che la foschia e i riflessi del sole danno all'orizzonte: appunto blu. Sono certo che la Routard dica il vero, ma domenica le blue mountains erano un insano intreccio tra i temporali di Cortina e la nebbia di Ferrara. Dopo circa tre ore di viaggio mi sono trovato di fronte a una minacciosa tempesta tropicale. Kway, felpa, cappello e ombrello non bastavano, perche' l'acqua rimbalzava a terra e gli schizzi arrivavano a meta' gamba.
Non il massimo per le escursioni in programma. Con saggezza britannica ho allora ripiegato in un piccolo bar di Katoomba, il centro principale della zona. L'Elephant Bean era un caffe' a meta' strada tra il vecchio West e il centro di Parigi. L'ambiente era chiaramente da bettola di confine. Porta basculante, pavimento in legno con scricchiolii a ogni passo, e bagno dietro il bancone, praticamente all'aperto. L'atmosfera era pero' di quelle da riunione per cambiare il mondo. In fuga dalla pioggia, turisti e locali affollavano i tavoli, ognuno con un caffe' e un libro in mano. Chi sottolineva, chi prendeva appunti e chi scrutava l'orizzonte attraverso il fumo di un caffe' bollente. Ne ho ordinato uno anch'io e ho completato il mosaico aprendo il mio Patrick White. Mi ci sono perso dentro come se fossi in un'aristocratica biblioteca, interrotto solo da un cambio di tavolo atto a favorire tre anziane coppie desiderose di sedersi assieme. Lo sforzo mi ha fruttato circa dieci minuti di ringraziamenti, un'ora di sorrisi e un altro caffe'.
Due ore e cinquanta pagine dopo, gli elementi hanno finalmente concesso una tregua. Fuori, Katoomba risultava ancora una citta' fantasma, con nebbia bassa e fari offuscati, ma dall'alto avevano chiuso i rubinetti. Dieci minuti e avevo attraversato l'abitato fino a Echo Point, il primo dei punti panoramici sulle gole farcite di eucalipti. Dei panorami, ovviamente, ho solo letto le legende, ma il sentiero aveva lo stesso il suo fascino: quasi deserto, a tratti spettrale e attraversato dalle grida di pipistrelli giganti. Poco oltre si sentiva e si vedeva, in un silenzio interrotto da cascate copiosamente rinvigorite dalla pioggia.
Alle due un raggio di sole ha addirittura aperto l'orizzonte. Felice per aver visto premiata la mia audacia, mi sono allora fermato per fare qualche foto e, con ancora piu' calma, ho estratto i miei panini per un pic-nic. Non piu' di quindici minuti dopo ero in corsa attraverso pozzanghere di mezzo metro, bombardato da gocce-lavatrici. Sportine su sportine per proteggere carte e marchingegni elettronici, qualche sana bestemmia, ma infine anche qualche sorriso per assecondare i gaudenti turisti anglosassoni che scorazzavano allegri con sandali ai piedi e ciocche di capelli fradici sul volto.
Verso le 16.30, umido ovunque, ero infine sui miei passi in direzione della stazione. Tra me e me pensavo che le tre sorelle avesserp molte analogie con le tre cime di Lavaredo: climaticamente intendo, perche' ne avevo in realta' vista solo una, una sagoma ritagliata nel grigio. Mentre folleggiavo con tali pensieri, una voce ha interrotto il mio incedere: "Non e' la migliore giornata per visitare le blue mountains, vero?". Era una signora sull'ottantina di accentuato portamento britannico: scarpe nere basse, calze bianche, cappotto color caffe'-latte e cappello in sintonia con le scarpe.
"No, decisamente no", ho risposto colto un po' di sorpresa.
"Beh - ha proseguito lei, braccandomi sul marciapiede - Katoomba e' comunque un posto interessante. Qui ci sono un sacco di docenti universitari in pensione. Tutti qui hanno una mente molto brillante e come vede ci sono anche molte librerie per coltivarla". In effetti a Katoomba, ci sono due libreri di prima mano, due librerie d'usato e una gigantesca biblioteca. Una concentrazione inusuale per una cittadina australiana di ventimila abitanti.
"Qui non e' affatto male", ha ripreso ancora la signora, che prendendomi la mano ha iniziato a raccontarmi tutta la sua vita. Il primo marito, scomparso prematuramente dopo pochi mesi dal matrimonio. Il trasferimento in Canada. Il ritorno in Australia, in Victoria, il nuovo matrimonio e i tre figli. "Mio marito era un farmacista e aveva un solo grosso problema: amava troppo il vino del sud. Quando entrava in una fattoria, era capace di restarci per una settimana. Si immagini io, una segretaria, da sola in negozio. E poi anch'io volevo bere!".
Il treno ormai incombeva, ma la signora proseguiva. "Ci sono anche moli club qui. Io, per esempio, sono iscritta a quello delle bocce".
"E' brava?".
"Oh, sono un fenomeno. E' 32 anni che gioco. E quasi ogni venerdi' prendo il te' con le amiche che mi piace ancora battere".
La signora si rende conto che ormai e' tardi e allora mi lascia la mano, mi guarda negli occhi e dice. "No, qui non e' davvero male. Pero' ogni tanto mi stanco di tutti questi pensionati. E' per questo che mi fermo a chiacchierare con i giovani come te".
"Il piacere e' tutto mio", rispondo sinceramente ammirato per la signora che a 82 anni ancora guida, va a piedi tra le varie cittadine della valle e, 2 volte a settimana, salta sul treno per raggiungere Sydney e prendere un po' di sole sulla spiaggia di Bondi.
"Dio ti benedica", mi dice salutandomi.
E con la sua benedizione sprofondo col treno in mezzo alle infinite foreste di eucalipti che arrivano sino ai soobborghi di Sydney. Il cielo si apre e qua e la' qualche arcobaleno colora l'orizzonte.
Non il massimo per le escursioni in programma. Con saggezza britannica ho allora ripiegato in un piccolo bar di Katoomba, il centro principale della zona. L'Elephant Bean era un caffe' a meta' strada tra il vecchio West e il centro di Parigi. L'ambiente era chiaramente da bettola di confine. Porta basculante, pavimento in legno con scricchiolii a ogni passo, e bagno dietro il bancone, praticamente all'aperto. L'atmosfera era pero' di quelle da riunione per cambiare il mondo. In fuga dalla pioggia, turisti e locali affollavano i tavoli, ognuno con un caffe' e un libro in mano. Chi sottolineva, chi prendeva appunti e chi scrutava l'orizzonte attraverso il fumo di un caffe' bollente. Ne ho ordinato uno anch'io e ho completato il mosaico aprendo il mio Patrick White. Mi ci sono perso dentro come se fossi in un'aristocratica biblioteca, interrotto solo da un cambio di tavolo atto a favorire tre anziane coppie desiderose di sedersi assieme. Lo sforzo mi ha fruttato circa dieci minuti di ringraziamenti, un'ora di sorrisi e un altro caffe'.
Due ore e cinquanta pagine dopo, gli elementi hanno finalmente concesso una tregua. Fuori, Katoomba risultava ancora una citta' fantasma, con nebbia bassa e fari offuscati, ma dall'alto avevano chiuso i rubinetti. Dieci minuti e avevo attraversato l'abitato fino a Echo Point, il primo dei punti panoramici sulle gole farcite di eucalipti. Dei panorami, ovviamente, ho solo letto le legende, ma il sentiero aveva lo stesso il suo fascino: quasi deserto, a tratti spettrale e attraversato dalle grida di pipistrelli giganti. Poco oltre si sentiva e si vedeva, in un silenzio interrotto da cascate copiosamente rinvigorite dalla pioggia.
Alle due un raggio di sole ha addirittura aperto l'orizzonte. Felice per aver visto premiata la mia audacia, mi sono allora fermato per fare qualche foto e, con ancora piu' calma, ho estratto i miei panini per un pic-nic. Non piu' di quindici minuti dopo ero in corsa attraverso pozzanghere di mezzo metro, bombardato da gocce-lavatrici. Sportine su sportine per proteggere carte e marchingegni elettronici, qualche sana bestemmia, ma infine anche qualche sorriso per assecondare i gaudenti turisti anglosassoni che scorazzavano allegri con sandali ai piedi e ciocche di capelli fradici sul volto.
Verso le 16.30, umido ovunque, ero infine sui miei passi in direzione della stazione. Tra me e me pensavo che le tre sorelle avesserp molte analogie con le tre cime di Lavaredo: climaticamente intendo, perche' ne avevo in realta' vista solo una, una sagoma ritagliata nel grigio. Mentre folleggiavo con tali pensieri, una voce ha interrotto il mio incedere: "Non e' la migliore giornata per visitare le blue mountains, vero?". Era una signora sull'ottantina di accentuato portamento britannico: scarpe nere basse, calze bianche, cappotto color caffe'-latte e cappello in sintonia con le scarpe.
"No, decisamente no", ho risposto colto un po' di sorpresa.
"Beh - ha proseguito lei, braccandomi sul marciapiede - Katoomba e' comunque un posto interessante. Qui ci sono un sacco di docenti universitari in pensione. Tutti qui hanno una mente molto brillante e come vede ci sono anche molte librerie per coltivarla". In effetti a Katoomba, ci sono due libreri di prima mano, due librerie d'usato e una gigantesca biblioteca. Una concentrazione inusuale per una cittadina australiana di ventimila abitanti.
"Qui non e' affatto male", ha ripreso ancora la signora, che prendendomi la mano ha iniziato a raccontarmi tutta la sua vita. Il primo marito, scomparso prematuramente dopo pochi mesi dal matrimonio. Il trasferimento in Canada. Il ritorno in Australia, in Victoria, il nuovo matrimonio e i tre figli. "Mio marito era un farmacista e aveva un solo grosso problema: amava troppo il vino del sud. Quando entrava in una fattoria, era capace di restarci per una settimana. Si immagini io, una segretaria, da sola in negozio. E poi anch'io volevo bere!".
Il treno ormai incombeva, ma la signora proseguiva. "Ci sono anche moli club qui. Io, per esempio, sono iscritta a quello delle bocce".
"E' brava?".
"Oh, sono un fenomeno. E' 32 anni che gioco. E quasi ogni venerdi' prendo il te' con le amiche che mi piace ancora battere".
La signora si rende conto che ormai e' tardi e allora mi lascia la mano, mi guarda negli occhi e dice. "No, qui non e' davvero male. Pero' ogni tanto mi stanco di tutti questi pensionati. E' per questo che mi fermo a chiacchierare con i giovani come te".
"Il piacere e' tutto mio", rispondo sinceramente ammirato per la signora che a 82 anni ancora guida, va a piedi tra le varie cittadine della valle e, 2 volte a settimana, salta sul treno per raggiungere Sydney e prendere un po' di sole sulla spiaggia di Bondi.
"Dio ti benedica", mi dice salutandomi.
E con la sua benedizione sprofondo col treno in mezzo alle infinite foreste di eucalipti che arrivano sino ai soobborghi di Sydney. Il cielo si apre e qua e la' qualche arcobaleno colora l'orizzonte.
giovedì, febbraio 08, 2007
Paul, l'omino che sapeva consigliare un libro
Ho constatato che chiedere a un australiano un consiglio letterario puo' generare situazioni imbarazzanti. La domanda mette palesemente a disagio. L'avro' rivolta a una decina di persone e nella maggior parte dei casi mi e' tornato indietro un bofonchiato "mah, non so, provo a pensarci... ecco". E nei casi restanti non mi e' andata meglio. La cameriera del ristorante ha osato propormi Dan Brown e la receptionist dell'ostello si e' addirittura auto accusata di stupidita'.
Un salto alla mega libreria Dymock del centro aveva accentuato il mio sconforto. I titoli locali erano pochissimi e con prezzi indecorosi: 30$ per un tascabile. Insomma ero ormai rassegnato a pensare che in Australia non esistessero ne' lettori ne' letteratura. Quand'ecco che, rientrando all'ostello in un pomeriggio piovoso, sono stato attratto da una di quelle vetrine anonimamente interessanti. Una piccola porta di vetro molto dimessa dava l'accesso a una libreria di seconda mano. Mi sono dato una sistemata per coprire le macchie di pomodoro ereditate dal mio pomeriggio in cucina e sono entrato. Dentro c'era un tipino minuto impegnato a sistemare i nuovi arrivi nelle mensole in fondo alla stanza. Ho percorso il lungo corridoio pieno di carte ingiallite fino a raggiungerlo e un po' titubante gli ho chiesto se potevo dare un'occhiata in giro.
"Sure you can!", mi ha risposto lui in tono che definirei materno. Incoraggiato da cotanta apertura sono andato oltre. "Vede - gli ho detto - sono arrivato da poco in Australia, ci dovro' stare per un altro bel po' e mi piacerebbe leggere un classico locale. Anche il titolo piu' banale va bene, perche', a ben pensarci, non credo di conoscere alcun autore australiano".
"Ah - mi ha detto l'omino ancora piu' sorridente - in realta' abbiamo molti scrittori talentuosi qui". E da li' e' partito per una disquisizione di venti minuti su tutto lo scibile, dai romanzi sull'outback agli eroi locali, passando per le atmosfere cittadine. Alla fine mi sono fidato della giuria di Stoccolma e ho optato per The vivisector del premio Nobel Patrick White.
Mentre pagavo - un'onestissima cifra di 8$ - mi ha chiesto di dove ero e, saputa la mia nazionalita', mi ha descritto tutto il suo viaggio in Italia, compresa una Siena bloccata per le riprese di un cinema. "L'unico problema - mi ha detto l'omino di nome Paul Budgeon - erano i turisti giapponesi. Forse dovrei tornare in inverno?".
"Purtroppo Paul, non c'e' speranza. Quelli ci sono sempre. Probabilmente passano di li' per il loro giro del mondo in 24 ore e 2400 foto".
Un salto alla mega libreria Dymock del centro aveva accentuato il mio sconforto. I titoli locali erano pochissimi e con prezzi indecorosi: 30$ per un tascabile. Insomma ero ormai rassegnato a pensare che in Australia non esistessero ne' lettori ne' letteratura. Quand'ecco che, rientrando all'ostello in un pomeriggio piovoso, sono stato attratto da una di quelle vetrine anonimamente interessanti. Una piccola porta di vetro molto dimessa dava l'accesso a una libreria di seconda mano. Mi sono dato una sistemata per coprire le macchie di pomodoro ereditate dal mio pomeriggio in cucina e sono entrato. Dentro c'era un tipino minuto impegnato a sistemare i nuovi arrivi nelle mensole in fondo alla stanza. Ho percorso il lungo corridoio pieno di carte ingiallite fino a raggiungerlo e un po' titubante gli ho chiesto se potevo dare un'occhiata in giro.
"Sure you can!", mi ha risposto lui in tono che definirei materno. Incoraggiato da cotanta apertura sono andato oltre. "Vede - gli ho detto - sono arrivato da poco in Australia, ci dovro' stare per un altro bel po' e mi piacerebbe leggere un classico locale. Anche il titolo piu' banale va bene, perche', a ben pensarci, non credo di conoscere alcun autore australiano".
"Ah - mi ha detto l'omino ancora piu' sorridente - in realta' abbiamo molti scrittori talentuosi qui". E da li' e' partito per una disquisizione di venti minuti su tutto lo scibile, dai romanzi sull'outback agli eroi locali, passando per le atmosfere cittadine. Alla fine mi sono fidato della giuria di Stoccolma e ho optato per The vivisector del premio Nobel Patrick White.
Mentre pagavo - un'onestissima cifra di 8$ - mi ha chiesto di dove ero e, saputa la mia nazionalita', mi ha descritto tutto il suo viaggio in Italia, compresa una Siena bloccata per le riprese di un cinema. "L'unico problema - mi ha detto l'omino di nome Paul Budgeon - erano i turisti giapponesi. Forse dovrei tornare in inverno?".
"Purtroppo Paul, non c'e' speranza. Quelli ci sono sempre. Probabilmente passano di li' per il loro giro del mondo in 24 ore e 2400 foto".
lunedì, febbraio 05, 2007
Una nazione, mille professioni
- Saturday, Jan the 27th: removals
- Sunday, Jan the 28th: Manly scenic walk
- Monday, Jan the 29th: removals
- Tuesday, Jan the 30th: application for data entry role e kithcenhand
- Wednesday, Jan the 31th: digging
- Thursday, Feb the 1st (moorning): interview for data entry role (supero la prova ma rifiuto il posto... sgabuzzino con Pc inaffrontabile)
- Thursdary, Feb the 1st (afternoon): gardening
- Friday, Feb the 2nd: 5 ore trial come Kitchenhand (supero la prova e da domani lavorero' tre giorni la settimana in un simpatico ristorante italiano, allestendo belle insalatine e, oltre allo stipendio, portando in pancina tre lauti pasti)
- Saturday, Feb the 3rd: gardening
- Sunday, Feb the 4th: party domenicale all'ostello
- Monday, Feb the 5th: building
- Tuesday, Feb the 6th: kitchenhand
Ivan the builder
"Silvio lascia stare quel lavoro li' che e' palloso e vieni qui che ti insegno qualcosa". Ho allora lascisato la carriola dove stavo impastando il cemento e ho seguito Ivan alla base dello stone wall, il muro di di pietre lavorato a mano in fase di allestimento. Scalpello, martello e cazzuola alla mano ho cosi' preso parte alla grande opera, ponendo in essere ben quattro piene. E' stato anche piuttosto divertente: un po' come tornare bambini e divertirsi a costruire castleli di sabbia.
"Dovresti imparare Silvio, my brother. Questo e' un lavoro che rende un casino in Australia. Ci puoi tirare su anche 30$ all'ora. Perche' con queste pietre la geometria non esiste. Vedi come e' tutto ondulato il perimetro: devi avere un po' di senso artistico per capire qual e' il modo migliore per collocare le singole pietre e forgiarle di conseguenza.
Ivan era il caposquadra di un team di costruttori che oltre a me vantava un manovale ungherese, Joseph, e una ragazza rumena, Vida, per le pulizie e le incombenze amministrative. Ivan e' di origini cilene, e' appena tornato da un viaggio in Francia dove ha potuto assaporare il costoso gusto degli euro, e manifesta con piacere il suo disprezzo per l'America.
"Ero a un pizza hut di New York - spiega - servivano tutti, ma non era mai il mio turno. Ho allora chiesto alla cameriera cosa non andava e lei mi ha risposto che pensava che non sapessi l'inglese. Quando gli ho detto che ero australiano, si e' tutta scusata. Puttana, solo perche' ho una pelle latina non dovrei parlare inglese. Io ci sputo sull'America".
"Non sei l'unico a farlo in questo periodo - gli dico - ma dimmi piuttosto come stanno gli australiani al proposito?".
"Su al nord nel Queensland sono dei razzisti. Mi scambiavano per un aborigeno e non c'era niente da fare. A quel punto mi davano del bastardo e non ne volevano sapere di prendermi al lavoro. Per questo alla fine, dopo un lungo viaggio, ho deciso di tornare qui a Sydney. Credo che sia la migliore citta' moderna al mondo. Peccato solo che alcune delle persone che ci vivano siano talmente convinte di abitare nel miglior paese al mondo da disinteressarsi completamente del resto. Prova a chiedere loro dov'e' l'Italia o dov'e' il Cile. Faranno le loro facce stupefatte e bofonchieranno qualcosa dicendo che non ti hanno capito".
"Fucking man, probabilmente l'Australia e' davvero il posto piu' bello al mondo, dove c'e' tutto dalle isole alle foreste tropicali. Ma, cazzo, apri un cazzo di libro e guarda dov'e' il resto del mondo".
"Per fortuna - conclude - dopo le olimpiadi molte cose sono cambiate e gli Australiani hanno capito che era il caso di confrontarsi con altre culture".
"Dovresti imparare Silvio, my brother. Questo e' un lavoro che rende un casino in Australia. Ci puoi tirare su anche 30$ all'ora. Perche' con queste pietre la geometria non esiste. Vedi come e' tutto ondulato il perimetro: devi avere un po' di senso artistico per capire qual e' il modo migliore per collocare le singole pietre e forgiarle di conseguenza.
Ivan era il caposquadra di un team di costruttori che oltre a me vantava un manovale ungherese, Joseph, e una ragazza rumena, Vida, per le pulizie e le incombenze amministrative. Ivan e' di origini cilene, e' appena tornato da un viaggio in Francia dove ha potuto assaporare il costoso gusto degli euro, e manifesta con piacere il suo disprezzo per l'America.
"Ero a un pizza hut di New York - spiega - servivano tutti, ma non era mai il mio turno. Ho allora chiesto alla cameriera cosa non andava e lei mi ha risposto che pensava che non sapessi l'inglese. Quando gli ho detto che ero australiano, si e' tutta scusata. Puttana, solo perche' ho una pelle latina non dovrei parlare inglese. Io ci sputo sull'America".
"Non sei l'unico a farlo in questo periodo - gli dico - ma dimmi piuttosto come stanno gli australiani al proposito?".
"Su al nord nel Queensland sono dei razzisti. Mi scambiavano per un aborigeno e non c'era niente da fare. A quel punto mi davano del bastardo e non ne volevano sapere di prendermi al lavoro. Per questo alla fine, dopo un lungo viaggio, ho deciso di tornare qui a Sydney. Credo che sia la migliore citta' moderna al mondo. Peccato solo che alcune delle persone che ci vivano siano talmente convinte di abitare nel miglior paese al mondo da disinteressarsi completamente del resto. Prova a chiedere loro dov'e' l'Italia o dov'e' il Cile. Faranno le loro facce stupefatte e bofonchieranno qualcosa dicendo che non ti hanno capito".
"Fucking man, probabilmente l'Australia e' davvero il posto piu' bello al mondo, dove c'e' tutto dalle isole alle foreste tropicali. Ma, cazzo, apri un cazzo di libro e guarda dov'e' il resto del mondo".
"Per fortuna - conclude - dopo le olimpiadi molte cose sono cambiate e gli Australiani hanno capito che era il caso di confrontarsi con altre culture".
Lucky? No, civilised
"E' perche' ho fatto un incidente", mi ha spiegato Peter evidentemente spronato a parlare dal mio sguardo interrogativo.
Il buon uomo, che ormai si e' stancato della birra e beve solo vodka, ha provocato un bel macello, sbriciolando macchina e persone dopo una sbronza. La polizia gli ha ritirato a lungo la patente e infine l'ha rimesso in strada sub conditio. E in Australia la sub conditio e' molto concreta. E' un alcol tester collegato alla centralina dell'auto. Peter vi deve soffiare copiosamente dentro ogni volta prima di partire. Se il suo alito fa segnare un valore al di sotto dello 0,02, l'auto parte, altrimenti tutti fermi... probabilmente per un altro goccetto.
Peter, che ora avra' sui 60 anni, dopo sei anni a Melbourne, ha vissuto per gran parte della sua vita a sud di Botany Bay, lungo l'esturario di un enorme fiume, circa a 30 Km dal centro di Sydney. "Ci sono cresciuto qui" mi ha detto l'altro giorno mentre ripulivano il porticciolo privato di una casa. "Facevo sci d'acqua e andavo in barca a vela ogni giorno. Ora invece non faccio piu' nulla. Ho ancora la barca ma ci vado solo per godermi la pace e bere un po'. Sai, mi piacciono questo tipo di cose".
Il posto in effetti si presta a una vita da vecchio West. E' abbastanza civilizzato per avere tutti i comfort, ma abbastanza selvaggio per sentire solo il rumore di qualche barca e il gorgheggio della marea che risale dal vicino oceano. Peter vi ritorna tre volte a settimana. "Noi lavoriamo solo quattro giorni a settimana" mi dice infatti posando la sua motosega.
"Che culo", gli rispondo. "Sei proprio fortunato".
"No, siamo solo civilizzati".
Il buon uomo, che ormai si e' stancato della birra e beve solo vodka, ha provocato un bel macello, sbriciolando macchina e persone dopo una sbronza. La polizia gli ha ritirato a lungo la patente e infine l'ha rimesso in strada sub conditio. E in Australia la sub conditio e' molto concreta. E' un alcol tester collegato alla centralina dell'auto. Peter vi deve soffiare copiosamente dentro ogni volta prima di partire. Se il suo alito fa segnare un valore al di sotto dello 0,02, l'auto parte, altrimenti tutti fermi... probabilmente per un altro goccetto.
Peter, che ora avra' sui 60 anni, dopo sei anni a Melbourne, ha vissuto per gran parte della sua vita a sud di Botany Bay, lungo l'esturario di un enorme fiume, circa a 30 Km dal centro di Sydney. "Ci sono cresciuto qui" mi ha detto l'altro giorno mentre ripulivano il porticciolo privato di una casa. "Facevo sci d'acqua e andavo in barca a vela ogni giorno. Ora invece non faccio piu' nulla. Ho ancora la barca ma ci vado solo per godermi la pace e bere un po'. Sai, mi piacciono questo tipo di cose".
Il posto in effetti si presta a una vita da vecchio West. E' abbastanza civilizzato per avere tutti i comfort, ma abbastanza selvaggio per sentire solo il rumore di qualche barca e il gorgheggio della marea che risale dal vicino oceano. Peter vi ritorna tre volte a settimana. "Noi lavoriamo solo quattro giorni a settimana" mi dice infatti posando la sua motosega.
"Che culo", gli rispondo. "Sei proprio fortunato".
"No, siamo solo civilizzati".
Una migrazione vera, come quelle di una volta
Sto cominciando a capire perche' le piccole imprese australiane attingono a piene mani da inesperti e inaffidabili backpackers per i loro lavori piu' duri. Sembra paradossale data la loro fama atletica, ma il piu' alacre manovale australiano e' in media piu' fannullone del piu' fancazzista degli europei. Mercoledi' ne ho avuto la conferma. Senza essere esattamente un giardiniere di lunga data, ho scavato da solo le quattro buche che avrebbero dovuto ricavare due forzuti scavtori locali. "Ti avevo assunto giusto per usare una vanga in qua e in la' - mi ha detto scherzosamente Paul, uno degli attempati capi, mentre lo buttavo giu' dal camion per farmi portare via i secchi piu' in fretta. Il buon uomo, comunque, ha accettato di buon grado la mia lena e piu' tardi mi ha portato un caffe' caldo e un pollo all'indiana. Tutto in rigoroso stile australiano: vanga in una mano e pollo nell'altra, con conseguente condimento di terra e polvere (prendo regolarmente un po' di fermenti lattici...).
Paul, Peter e Astro lavorano da anni come "landscapes maker", letteralmente come costruttori di paesaggio. Potano, tagliano, decorano, ovviamente in grande stile, perche' qua i giardini sono campi da calcio con un recinto attorno e una piscina al centro. Quello dove ho lavorato io, per esempio, era adagiato sulla vetta di una collina di Potts Point e al di la' della vetrata di protezione c'era un'incantevole visione dell'Harbour Bridge e dell'Opera House. Sicuramente uno dei posti piu' deliziosi dove abbia mai consumato un panino in pausa pranzo.
Astro, vecchio frikkettone, e' il personaggio che mi ha seguito di piu'. Ha vissuto dieci anni in Italia e a quanto pare e' impegnato a raccogliere gli italiani in fuga da Berlusconi e dalla moglie. Presto da Genova arrivera' Martino, esperto potatore di palme, e sempre da Genova e' gia' li' con lui Andrea. La sua e' una migrazione di quelle vecchio stile. E' arrivato qua con un volo degli emirati arabi. Complessivamente quasi quattro giorni di viaggio con moglie e figli al seguito. A Sydney si sono stipati tutti quanti in ostello e da li' alla ricerca di qualcosa di meglio di sette giorni di lavoro no-stop a Genova.
"Ho iniziato a lavorare per un amico di Astro", mi ha spiegato al ritorno, seguendo le istruzioni del Gps per tornare verso il centro. "Con la sponsorship potro' avere tutto questo e non tornare piu'", riflette additando tra il traffico uno degli immensi e silenziosi parchi che verdeggiano tra i grattacieli di Sydney. "Non potevo piu' sopportare il traffico di Genova, non puoi capire cosa voleva dire affrontarlo ogni mattina. Qui non ho ancora molto, ma domenica ho preso la cartina, ho puntato con un dito sulla baia e ci siamo andati. Uno spettacolo!".
"Con una sponsorship potro' avere tutto questo", ripete di nuovo.
Paul, Peter e Astro lavorano da anni come "landscapes maker", letteralmente come costruttori di paesaggio. Potano, tagliano, decorano, ovviamente in grande stile, perche' qua i giardini sono campi da calcio con un recinto attorno e una piscina al centro. Quello dove ho lavorato io, per esempio, era adagiato sulla vetta di una collina di Potts Point e al di la' della vetrata di protezione c'era un'incantevole visione dell'Harbour Bridge e dell'Opera House. Sicuramente uno dei posti piu' deliziosi dove abbia mai consumato un panino in pausa pranzo.
Astro, vecchio frikkettone, e' il personaggio che mi ha seguito di piu'. Ha vissuto dieci anni in Italia e a quanto pare e' impegnato a raccogliere gli italiani in fuga da Berlusconi e dalla moglie. Presto da Genova arrivera' Martino, esperto potatore di palme, e sempre da Genova e' gia' li' con lui Andrea. La sua e' una migrazione di quelle vecchio stile. E' arrivato qua con un volo degli emirati arabi. Complessivamente quasi quattro giorni di viaggio con moglie e figli al seguito. A Sydney si sono stipati tutti quanti in ostello e da li' alla ricerca di qualcosa di meglio di sette giorni di lavoro no-stop a Genova.
"Ho iniziato a lavorare per un amico di Astro", mi ha spiegato al ritorno, seguendo le istruzioni del Gps per tornare verso il centro. "Con la sponsorship potro' avere tutto questo e non tornare piu'", riflette additando tra il traffico uno degli immensi e silenziosi parchi che verdeggiano tra i grattacieli di Sydney. "Non potevo piu' sopportare il traffico di Genova, non puoi capire cosa voleva dire affrontarlo ogni mattina. Qui non ho ancora molto, ma domenica ho preso la cartina, ho puntato con un dito sulla baia e ci siamo andati. Uno spettacolo!".
"Con una sponsorship potro' avere tutto questo", ripete di nuovo.
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