Supera la periferia e accelera, supera i camion, supera le auto, supera i treni, gli altri quelli normali. Sul binario rettilineo steso in mezzo a una pianura senza punti di riferimento, la velocità si perde in un sibilo che ti lascia immaginare senza prove relative. Avevi camminato mezz'ora per raggiungere la vicina stazione, attraversando i corsi ortogonali di Torino, fai appena in tempo a sistemarti prima di scendere tra gli angoli acuti e ottusi dei portici di Bologna. Finalmente a bordo della Freccia ti apri al tempo che corre e ti godi il tuo personalissimo delirio neofuturista. Attorno, utenti del mondo primario della rete rimangono impassibili, mentre i loro corpi si spostano da un punto all'altro del loro secondario contesto fisico: postano e dunque sono, dove e quando importa solo fin quando offre loro uno spunto alle rispettive narrazioni digitali.
Tutto elettrizzato dai virtuosismi del perenne contatto con la rete Internet, con la massa alleggerita dalla velocità che cresce ancora sui binari della rete fisica, mi sorprende quasi l'eco di un bisogno antico. Spingo il bottone per ritirarmi il minimo necessario a ciò che rimane del mio vetero ego biologico, ma non succede nulla. Cazzo, cazzo, la porta del bagno è rotta e il mio essere liquido in una società fluida diventa d'un tratto difficile da gestire senza un tubo fisico in cui farlo scorrere.
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