A chi mi domanda perché passo tutto quel tempo in compagnia di pochi e scelti amici a spasso per i luoghi più ameni e inospitali, rispondo citando Storia del Camminare: “Continuavo a ripercorrere questo itinerario per concedere una tregua al lavoro, ma anche per alimentarlo, perché, in una cultura orientata alla produzione, pensare è generalmente come fare niente, e il fare niente è difficile da fare. La via migliore per realizzarlo è di mascherarlo nel “fare qualcosa”, e ciò che più si avvicina al fare niente è il camminare”. Lo scrive, bene, Rebecca Solnit, ma giuro che lo pensavo, forse peggio, già da tempo io stesso. Del resto, come dice Proust, si legge per imparare cose nuove, ma, principalmente, per trovare conferma alle proprie idee. Quindi, se ho letto Solnit è perché pensavo di trovare nelle sue parole conferma alle mie idee. Lapalissiano.
A chi mi domanda perché, con costanza quasi autarchica, mi ostino a camminare nel mio Appennino, rispondo con un poco di buon senso e un tocco d’amor proprio. L’Appennino è lì, così vicino che un’idea è già un cammino, senza progetti a lungo termine che non partono quasi mai. E poi è una ragione di orgoglio. Per una vita la casa in collina è stata quasi una colpa e un oggetto di scherno. Oggi invece è un vanto, forse addirittura una vena di fascino. La conosco così bene, vi calo con così tanta naturalezza alcune delle parti migliori di me, che in colpa si sente, a volte, colui che non c’è mai stato, colui che ignora un luogo geografico e sente la mancanza di un terreno così fertile per, apparentemente, molte cose da cui risulta escluso.
A chi mi domanda se non ci sia un po’ di presunzione in questo, dico che sì, a volte potrebbe esserci, ma ho passato così tanto tempo a nascondere le mie idee perché gli altri già sapevano di latino o teatro mentre io ero più naif da non ritenere opportuno sprecarne oltre. Preferisco confrontarmi talvolta partendo da presupposti sbagliati o incompleti, piuttosto che non farlo per non svelare quell’errore o quell’incompletezza.
E a chi mi domanda quanto siano grandi queste lacune e quando vi porrò rimedio, rispondo che almeno quel complesso ho la presunzione di averlo superato. Sono pronto a divorare tutto, spesso lo faccio, – da Goncarov a Larson, passando da Ammaniti e Severgnini – ma solo quando ha un senso per me. Sono loro – Goncarov, Larson, Ammaniti & co. – a dover essere utili a me, non io a dover, per forza, ricordare tutto quanto hanno scritto. Sensi di colpa sociali, insomma, “meno uno”: leggere serve per emanciparsi, anche dallo stesso rapporto coatto con la lettura.
E presto me ne libererò da altri. Non prima però di aver fatto qualche altra, inutile, passeggiata.
1 commento:
Grazie, innanzitutto, per il consiglio letterario. Ho letto “Seta” qualche tempo fa, e concordo appieno nel giudizio: un libricino leggero, ma non scontato. Molto m’incuriosisce il volume di cui parli in questo post… Ma, intanto, mi prenderò il tempo per sfogliare le pagine del tuo blog. Sempre mi stupisco delle splendide scritture che si trovano in rete, quasi per caso. Insomma, questo per dirti ancora: complimenti. E buona giornata! Aurora
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