Serata insonne. E’ una di quelle che capita quando l’ansia di svegliarsi presto il mattino successivo ruba anche le poche ore a disposizione. Ogni forma di tempo ti sottrae un po’ di forze: il giorno passato che è finito solo molto tardi; il presente irrequieto che non ti fa riposare; e il giorno che viene, con la minaccia di non farti nessuno sconto sulle fatiche che non hai smaltito. Passato, presente e futuro come in un unico blocco che dondola nella testa ogni volta che cambi posizione sul letto.
“E’ allora che mi arrivano i pensieri più vivaci e assurdi – dissi al mio consulente paroliere – quelli a cui non riesco a dare forma scritta anche se la meriterebbero più di altri”. Il consulente paroliere rispose conciliante come suo solito: “Eh, beh, certo, è così, è normale che sia così. E’ nel limbo dell’inconscio che emergono le verità più vere, ma anche più difficili da raccontare”.
Ascoltai quelle parole con il solito piacere. Non avevo ancora esattamente capito perché quel professorino mi avesse preso in custodia filosofica-esistenzial-letteraria – per paternità surrogata, vocazione didattica insaziabile, semplice simpatia o altro – certo era che avere uno specchio in cui riflettere in maniera mediata il mio gomitolo di pensieri e di racconti mi faceva un gran piacere. Srotolare quel gomitolo e darlo in pasto alle orecchie altrui mi dava l’ebbrezza di provare le sensazioni di uno scrittore vero o, almeno, di qualcosa di molto simile.
Conclusi quel lungo filo di considerazioni molto rapidamente, quasi stupendomi della mole di idee e contro-idee, al limite del machiavellico, che riuscivo a stipare negli istanti morti delle conversazioni. Era un micro-mondo che una volta ignoravo e ora mi era diventato strategicamente familiare. Uscii da quel mondo e aggiunsi: “Credo anche, in verità, di iniziare a conoscere ciò che separa la storia perfetta che sfioro nel dormiveglia da quelle un po’ monche che riverso sulla carta”.
Non ebbi risposta dal mio consulente paroliere e per un attimo mi fermai, di fronte al solito bivio: esternare una sentenza “clamorosa” che ti poteva far passare o per una sottile mente profonda o per un grosso e piatto presuntuoso. Cincischiai per qualche istante e poi, scimmiottando la sicurezza che in realtà non avevo, cercai di proseguire attivando l’opzione uno: “sottile mente profonda”.
“Credo – aggiunsi – che nel mio inconscio segua solo la fantasia e il desiderio, mentre sulla carta finiscono anche il realismo e il senso del dovere. Di notte, nell’insonnia, parlo, o vaneggio, solo per me, mentre di giorno, sulla carta, scrivo, o ragiono, per tutti i “me” che gli altri credono e pretendono che io sia”.
Il mio consulente paroliere interruppe il suo cammino, infilò una mano nell’abbottonatura del giubbotto e, serio, mi chiese se avevo già studiato qualcosa per ripulire la carta dalle interferenze del dovere e della società. Il consulente insomma aveva seguito e capito le mie parole e non sembrava minimamente aver pensato alla opzione due: “grosso e piatto presuntuoso”. E, dunque, se tutto quello che avevo detto aveva un senso, dovevo assolutamente andare oltre, perché forse, anzi probabilmente, ero nella direzione giusta.
Solo che – maledizione! – sapevo muovermi ben poco oltre. “Non ci ho ancora pensato” risposi trafelato. “E’ che è un po’ come dice Ann Deveria… non si può ripulire il desiderio dal dovere senza farsi male”.
Non dissi altro, ma ci avrei lavorato su, nelle notti insonni, quando l’ansia di ciò che avrei scritto sarebbe stata ancora maggiore dell’ansia di doversi svegliare presto.
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