E sono oltre due mesi. Due mesi dall'ultima seduta alla tastiera. Molte parole da allora sono state imbastite ma sempre con uno scopo: un comunicato, un progetto, una prenotazione, una delucidazione. Sono stati i giorni della lista, del “to do”, come dicono gli amricani. Al mattino, mettevo giù la lista per completare tutti gli adempimenti lavorativi. Al pomeriggio, mettevo giù la lista per non perdere nessuna delle scadenze per arrivare fino lassù a Rotterdam: la raccolta delle informazioni, l'application, il test di inglese, i permessi dal lavoro, la borsa di studio. Più che una lista un albero: un nodo, sotto a lui alcuni altri, sotto a questi altri ancora. Respiro corto, per mantenere la tensione alta e non lasciare scappare nulla, nulla di fondamentale almeno. Perché quello è il primo punto con cui fare i conti per davvero. I punti sono tanti, troppi, non si può pretendere di coltivare ognuno di loro alla perfezione. Alcuni li devi abbandonare coscientemente, accettare che non potrai raggiungere il massimo a cui ambivi e convivere con le imperfezioni che ne derivano. Pena il non cambiare mai. Se si attende che tutto sia favorevole e perfetto, non ci si alzerà mai per fare il primo passo. Solo nelle storie che si raccontano alla fine c'è ordine e consecutio. Prima ci sono più spesso punti di domanda e caos.
Due mesi di liste, di respiro corto, di compromessi e di saggezza forzata non sono due mesi fertili per la poesia di un racconto o di una foto. L'unica storia che potevo ascoltare era la mia. Finiva tutta lì, tutta per me, l'empatia che serve per far entrare le avventure di un'altra persona o le forme di un paesaggio. Come può ascoltare veramente una persona quando scorre le proprie azioni come fosse un computer: in ordine, veloci, riordinando in fretta le opzioni, uno-due, senza sosta?
Di solito ordino quando scrivo. Prendo le idee, le attacco in disordine sul foglio come post-it su una scrivania. Poi li raggruppo in “scatole”, metto in fila i contenitori ed ecco che un testo sta per nascere. Basta aggiungere qualche parola, una congiunzione, pesare l'aggettivo e, se occorre, variare il ritmo con qualche dialogo. In questi due mesi, non ho mai scritto, perché già la vita era ordinata come una storia: post-it, scatole, ordine.
Non è né la prima, né, credo, sarà l'ultima fase “lista” della mia vita. E' un po' una via d'uscita obbligata per tutti gli “uomini di buona volontà” ai periodi in cui ci sono dieci attività da portare a compimento all'unisono o ce n'è una che assume un peso speciale e a lei si piega tutto il resto.
Ha un suo fascino irresistibile e irrinunciabile la fase lista. Molti grandi risultati, ne sono convinto, sono posti su pianerottoli alla fine di una lista. Corpo e mente raccolti per un unico scopo, senza distrazioni e senza sconti, al riparo dai turbamenti. Ma è anche una torre che a volte si eleva lasciando a sui piedi qualche maceria, tanta incuria, qualche rimpianto per i sentieri non percorsi e cambiamenti non sempre facili da prevedere.
E' ancora tempo di salire e, dopo una piccola pausa, rimettersi a fare liste e seguirle a denti stretti. Poi spero di aprire le porte e far salire su a godere il panorama tutti coloro che con pazienza hanno sopportato la dimenticanza. E per loro conservare quel sorriso che echeggia più spesso di altri, ma che per rimanere tale ha sempre smania di nuove stanze e nuovi torri e prima di loro, inevitabilmente, di nuove liste.
Due mesi di liste, di respiro corto, di compromessi e di saggezza forzata non sono due mesi fertili per la poesia di un racconto o di una foto. L'unica storia che potevo ascoltare era la mia. Finiva tutta lì, tutta per me, l'empatia che serve per far entrare le avventure di un'altra persona o le forme di un paesaggio. Come può ascoltare veramente una persona quando scorre le proprie azioni come fosse un computer: in ordine, veloci, riordinando in fretta le opzioni, uno-due, senza sosta?
Di solito ordino quando scrivo. Prendo le idee, le attacco in disordine sul foglio come post-it su una scrivania. Poi li raggruppo in “scatole”, metto in fila i contenitori ed ecco che un testo sta per nascere. Basta aggiungere qualche parola, una congiunzione, pesare l'aggettivo e, se occorre, variare il ritmo con qualche dialogo. In questi due mesi, non ho mai scritto, perché già la vita era ordinata come una storia: post-it, scatole, ordine.
Non è né la prima, né, credo, sarà l'ultima fase “lista” della mia vita. E' un po' una via d'uscita obbligata per tutti gli “uomini di buona volontà” ai periodi in cui ci sono dieci attività da portare a compimento all'unisono o ce n'è una che assume un peso speciale e a lei si piega tutto il resto.
Ha un suo fascino irresistibile e irrinunciabile la fase lista. Molti grandi risultati, ne sono convinto, sono posti su pianerottoli alla fine di una lista. Corpo e mente raccolti per un unico scopo, senza distrazioni e senza sconti, al riparo dai turbamenti. Ma è anche una torre che a volte si eleva lasciando a sui piedi qualche maceria, tanta incuria, qualche rimpianto per i sentieri non percorsi e cambiamenti non sempre facili da prevedere.
E' ancora tempo di salire e, dopo una piccola pausa, rimettersi a fare liste e seguirle a denti stretti. Poi spero di aprire le porte e far salire su a godere il panorama tutti coloro che con pazienza hanno sopportato la dimenticanza. E per loro conservare quel sorriso che echeggia più spesso di altri, ma che per rimanere tale ha sempre smania di nuove stanze e nuovi torri e prima di loro, inevitabilmente, di nuove liste.
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