--> Imprenditori del cammino
Ciclo di conversazioni per scoprire i valori personali, sociali ed economici
dei costruttori di cammini.
(Published by SKIN)
Ciclo di conversazioni per scoprire i valori personali, sociali ed economici
dei costruttori di cammini.
(Published by SKIN)
Dal 2004, anno del diploma di laurea in fotografia a Londra, Darinka Montiko, originaria di Baveno, sul lago Maggiore, ha viaggiato molto. Adattandosi al mondo. In Nuova Zelanda è stata una spogliarellista, in Laos un insegnante di inglese, da qualche parte è finita anche per gestire un ristorante.
A Londra, in un casinò, massaggiava le teste dei giocatori di poker. Una notte, uno di questi sembrava più agitato del solito. Darinka cercò un orologio per capire che ore fossero, ma nei casinò il passaggio del tempo si deve mascherare. Non c’erano orologi. Il disagio del giocatore cresceva. Quello di Darinka anche. “Sorry, I quit, I need to go for a walk”, “Scusa, me ne esco un attimo, ho bisogno di fare una passeggiata” disse al giocatore.
Si licenziò e seguì il messaggio che ogni volta leggeva nelle scarpe in dotazione al lavoro: “Go walk”, “Cammina”. Camminò fino a casa, prese l’aereo per l’Italia, raccolse qualche dritta con il camminatore per eccellenza, Riccardo Carnovalini, e disse alla famiglia che partiva per Palermo e che sarebbe tornata a casa a piedi. “Domani piove” dissero i genitori assecondando la figlia come i folli. Ma nonostante il brutto tempo, Darinka partì, senza soldi, con l’idea di raccogliere i sogni delle persone incontrate.
Prese il via così Walkaboutitalia di Darinka Mantico. 2910 chilometri, sette mesi e dieci giorni di cammino più tardi, in diretta via skype da Pretoria, Sud Africa, dove scrive il suo primo libro, raggiungiamo Darinka. Io con un caffè ancora caldo, lei con una crostata in preparazione, ritorniamo sui passi di Walkaboutitalia.
Che cosa cercavi quando sei partita per Palermo?
“Da troppo mi adattavo al mondo. Per una volta, ho pensato che il mondo si dovesse adattare a me. Quando sono uscita dal casinò, ho camminato per alcuni chilometri nella notte fino a casa. In quel tragitto, ho pensato alla frase di Jep Gambardella ne La Grande Bellezza: “La più sorprendente scoperta che ho fatto subito dopo aver compiuto sessantacinque anni è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare”. Ho pensato di non dover aspettare altri 30 anni per arrivare alla stessa conclusione.
Così sono ritornata ai miei sogni di bambina. La fotografia, il viaggio, la scrittura. E poi la raccolta dei sogni. Mi piaceva l’idea di essere come Atreiu ne La Storia Infinita, un baluardo contro l’avanzata del nulla. Quando ho parlato con Riccardo Carnovalini, ho trovato il coraggio per pensare che tutto ciò fosse possibile. Così ho aperto un blog, preso uno zaino, scelto le scarpe e sono partita. Senza soldi. Un po’ perché era romantica l’idea, un po’ perché proprio non ne avevo.
Sul percorso ho trovato un sindaco marpione, qualche convento non troppo ospitale e qualche carabiniere troppo solerte sui pericoli della strada, ma per il resto ho attraversato l’Italia per scoprire un potenziale umano stupendo”.
E a questo “potenziale umano stupendo”, quale eredità volevi lasciare con il tuo passaggio?
“Fondamentalmente, un messaggio di speranza. Io, una qualunque come loro, potevo seguire il mio sogno. Sul blog di Repubblica, qualcuno mi ha criticata, chiedendosi, senza soldi, in che modo riuscivo a mangiare, visitare i musei, dormire. Ma in tanti hanno raccolto il messaggio. In Toscana, una persona mi ha regalato una torcia, dicendomi che il mio passaggio aveva riacceso la sua speranza. Qualcuno so che ha cambiato lavoro. Spero sia andata bene”.
Chi sono le persone che hanno raccolto il tuo invito e hanno supportato concretamente il tuo percorso?
“Sconosciuti. Avevo vissuto a lungo all’estero non avevo più contatti in Italia. Ho seguito il caso. Coach Surfing, mail alle Proloco, Facebook, gruppi culturali, passa-parola per la strada, come a Corleone, dove ho dormito gratuitamente in un B&B aiutando il proprietario ad aggiornare le foto del sito. Sulla strada ho poi raccolto gli articoli che uscivano sul mio percorso e questo mi ha aiutato a trovare nuovi contatti. Fino a quando mi hanno intervistata a Radio DJ, le visite al blog si sono impennate e ho avuto decine di persone che si candidavano a ospitarmi”.
A loro cosa donavi in cambio?
“A volte una pesca rubata lungo il percorso, a volte un sorriso, più spesso una storia. Fondamentalmente, la mia storia. Alcuni l’avrebbero voluta vivere. Altri amavano il viaggio e volevano avere a casa loro persone con gli occhi sul mondo. Sì, era questo che ho dato in cambio, una storia. Per esempio, una famiglia mi ha fatto parlare tutta la sera con i bambini, perché volevano che l’anno successivo loro facessero qualcosa di simile”.
E nella tua storia cos’era più coinvolgente di altre storie?
“L’autenticità, credo. Un utente di Coach Surfing non credeva alla mia storia, al fatto che stessi percorrendo l’Italia a piedi senza un soldo. Quando ha capito che era vero, mi ha aperto la porta, abbiamo parlato a lungo, siamo diventati amici, lo siamo ancora”.
Credi che questa autenticità possa sopravvivere se di questa scelta ne fai un “lavoro”?
“Ora sto scrivendo il libro su Walkabaoutitaly e in estate e in autunno sarò in giro per l’Italia, di nuovo, con una bicicletta di bambù a presentarlo. Poi non lo so. Conosco amici blogger che consigliano le strutture in cui alloggiano e ricevono una percentuale sulle prenotazioni. Ma questo richiede una serie di filtri che io non riesco ad avere. Ho anche parlato male di una visita guidata che ho fatto, perché il marinaio aveva gettato una sigaretta in mare.
In futuro, mi piacerebbe fare il giro del mondo in bicicletta o camminare in Bolivia a sostegno di un progetto per l'infanzia curato da un amico.
Seguirò il flusso. Se non hai piani, non puoi sbagliarti”.
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