Uscito dalla doccia, guardai il tavolino all'altro angolo della stanza. Un rivolo d'acqua era uscito dal vaso che avevo innaffiato poco prima. La flebile corrente attraversava il tavolo fino all'angolo opposto. Il cellulare era al centro della pozza che si era formata: muto, come spento. Lo presi in mano, lo asciugai, ma nulla, andato.
Mi sedetti allora sul letto sorridendo. Sulla scrivania vicino al computer potevo vedere i biglietti da visita raccolti durante il giorno a Maastricht. Mentre fuori dalla finestra non c'era più la mia bicicletta. Rientrato alla stazione di Rotterdam, non l'avevo più trovata. Né la mia, né quella di chi viaggiava con me. Insieme eravamo andati alla vicina stazione di polizia. Pazienti, gli uomini di turno ci avevano dato un foglio sul deposito degli oggetti smarriti. Poteva essere che le nostre biciclette non fossero state rubate, ma rimosse dalla vigilanza della città. Nel caso, potevamo ritrovarle nel luogo indicato. Come, però, loro non lo sapevano. Affare del comune. Occorreva attendere lunedì.
Due giorni dopo, lunedì arrivò. Al numero dell'ufficio oggetti smarriti rispondeva una segreteria automatica in olandese. Inutilizzabile. Il volantino rimandava però a un sito web e a un indirizzo. Avevo tempo fino alle 16.30. Salii in metropolitana, la percorsi fino alla periferia nord ovest della città, fino quasi a Schiedam. Fuori dalla stazione un groviglio di cavalcavia, sottopassaggi, binari in uso e binari abbandonati. Mi incamminai. Una, due direzioni, poi infine quella giusta.
Essere un pedone in periferia crea disagio. Le strade sono piene di rumore, nessuno percorre il marciapiede. I detriti sotto le pareti dei ponti ricordano i telefilm americani. Un pilone diventa una barriera, allunga la tua marcia di alcune decine di metri. Il tempo scorreva. Mancavano solo quindici minuti alla chiusura del deposito.
Trovai la via, ma il numero era lontano. Dovevo ritornare nella direzione da cui venuto. Attraversai il grande ponte di nuovo. Alte porte a soffietto, gru, montacarichi, ruspe, camion: nessun uomo. I numeri scendevano ma il tempo passava. La via sembrava terminata, ma piegava a sinistra. Intravedevo l'inizio di quella successiva. Forse il deposito era stato spostato. Solo pochi minuti ancora. E dovevo fare solo una domanda. Molto probabilmente, la mia bicicletta non era lì. Era stata rubata. Un pomeriggio sprecato.
Dietro alla ringhiera verde, più lontano al centro del cortile, vidi allora un enorme gruppo di biciclette. Accelerai il passo. Nella facciata principale dell'edificio c'era il simbolo del comune di Rotterdam. Ero arrivato. L'orologio segnava le 16.29, gli impiegati uscivano.
Corsi all'ingresso. Sudato, sciarpa fuori posto, zaino a tracolla, mappa nelle mani. L'ultimo della fila mi chiede se mi può aiutare. Gli racconto la mia storia al volo, mi invita a entrare e chiude la porta dietro di sé. Accende il computer, cerca la data da me indicata, mi fa vedere le foto delle bici prelevate quel giorno. Una, no. Due, no. Tre, no. Quattro, aspetta, forse sì. La ingrandisce. E' lei. “Hai il lucchetto mi chiede?”. Ce l'ho. “Un documento?”. Anche. “La carta per pagare 20 euro”. Ci sono. “Il codice fiscale olandese?”. Solo a casa. “Fa lo stesso”, mi consola. Inserisce i mie dati e andiamo alla bici, parcheggiata in mezzo a centinaia di altre.
Poco dopo pedalo sotto il sole del tramonto sul canale di Delfshaven. Nel punto più bello, mi fermo, scendo dalla bici, la appoggio alla ringhiera e le chiedo scusa. Non la parcheggerò più in divieto di sosta. Non lascerò che la portino in mezzo a quella periferia meccanica e in mezzo a tutte quelle altre bici anonime. Mi ha già sostenuto per vari mesi sotto pioggia e sole. Merita rispetto.
Proseguo fino al mercato di Blaack. Compro un nuovo lucchetto per sostituire il vecchio reciso nella rimozione. La bancarella è sotto casa di un amico. Citofono. Mi invita a salire per una birra. Apre la porta, mi allunga la mano per un cinque e porge le condoglianze per la mia bici.
Sorrido. “Sono stato a Schiedam. Ho una storia da raccontarti” gli dico entrando.
Mi sedetti allora sul letto sorridendo. Sulla scrivania vicino al computer potevo vedere i biglietti da visita raccolti durante il giorno a Maastricht. Mentre fuori dalla finestra non c'era più la mia bicicletta. Rientrato alla stazione di Rotterdam, non l'avevo più trovata. Né la mia, né quella di chi viaggiava con me. Insieme eravamo andati alla vicina stazione di polizia. Pazienti, gli uomini di turno ci avevano dato un foglio sul deposito degli oggetti smarriti. Poteva essere che le nostre biciclette non fossero state rubate, ma rimosse dalla vigilanza della città. Nel caso, potevamo ritrovarle nel luogo indicato. Come, però, loro non lo sapevano. Affare del comune. Occorreva attendere lunedì.
Due giorni dopo, lunedì arrivò. Al numero dell'ufficio oggetti smarriti rispondeva una segreteria automatica in olandese. Inutilizzabile. Il volantino rimandava però a un sito web e a un indirizzo. Avevo tempo fino alle 16.30. Salii in metropolitana, la percorsi fino alla periferia nord ovest della città, fino quasi a Schiedam. Fuori dalla stazione un groviglio di cavalcavia, sottopassaggi, binari in uso e binari abbandonati. Mi incamminai. Una, due direzioni, poi infine quella giusta.
Essere un pedone in periferia crea disagio. Le strade sono piene di rumore, nessuno percorre il marciapiede. I detriti sotto le pareti dei ponti ricordano i telefilm americani. Un pilone diventa una barriera, allunga la tua marcia di alcune decine di metri. Il tempo scorreva. Mancavano solo quindici minuti alla chiusura del deposito.
Trovai la via, ma il numero era lontano. Dovevo ritornare nella direzione da cui venuto. Attraversai il grande ponte di nuovo. Alte porte a soffietto, gru, montacarichi, ruspe, camion: nessun uomo. I numeri scendevano ma il tempo passava. La via sembrava terminata, ma piegava a sinistra. Intravedevo l'inizio di quella successiva. Forse il deposito era stato spostato. Solo pochi minuti ancora. E dovevo fare solo una domanda. Molto probabilmente, la mia bicicletta non era lì. Era stata rubata. Un pomeriggio sprecato.
Dietro alla ringhiera verde, più lontano al centro del cortile, vidi allora un enorme gruppo di biciclette. Accelerai il passo. Nella facciata principale dell'edificio c'era il simbolo del comune di Rotterdam. Ero arrivato. L'orologio segnava le 16.29, gli impiegati uscivano.
Corsi all'ingresso. Sudato, sciarpa fuori posto, zaino a tracolla, mappa nelle mani. L'ultimo della fila mi chiede se mi può aiutare. Gli racconto la mia storia al volo, mi invita a entrare e chiude la porta dietro di sé. Accende il computer, cerca la data da me indicata, mi fa vedere le foto delle bici prelevate quel giorno. Una, no. Due, no. Tre, no. Quattro, aspetta, forse sì. La ingrandisce. E' lei. “Hai il lucchetto mi chiede?”. Ce l'ho. “Un documento?”. Anche. “La carta per pagare 20 euro”. Ci sono. “Il codice fiscale olandese?”. Solo a casa. “Fa lo stesso”, mi consola. Inserisce i mie dati e andiamo alla bici, parcheggiata in mezzo a centinaia di altre.
Poco dopo pedalo sotto il sole del tramonto sul canale di Delfshaven. Nel punto più bello, mi fermo, scendo dalla bici, la appoggio alla ringhiera e le chiedo scusa. Non la parcheggerò più in divieto di sosta. Non lascerò che la portino in mezzo a quella periferia meccanica e in mezzo a tutte quelle altre bici anonime. Mi ha già sostenuto per vari mesi sotto pioggia e sole. Merita rispetto.
Proseguo fino al mercato di Blaack. Compro un nuovo lucchetto per sostituire il vecchio reciso nella rimozione. La bancarella è sotto casa di un amico. Citofono. Mi invita a salire per una birra. Apre la porta, mi allunga la mano per un cinque e porge le condoglianze per la mia bici.
Sorrido. “Sono stato a Schiedam. Ho una storia da raccontarti” gli dico entrando.
2 commenti:
la tua bici è quella che si vede nella foto della "vecchia" Rotterdam? Bella storia
la sorella africana
yes indeed. E' proprio lei, appena recuperata!
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