Giampiero entrò nel caffè e scelse un tavolino laterale, raccolto tra due panche e la parete. Vi si sedette e attese il cameriere in livrea per ordinare il miglior whisky alla carta.
“Viene dall'Indocina?” gli chiese dopo aver scambiato diverse battute sui distillati disponibili.
“Vietnam, signore” rispose l'uomo di sala.
“Ci sono stato tre anni fa – disse allora Giampiero con il viso sorridente – magari ci siamo già incontrati anche là. Di dov'è?”.
“Un piccolo villaggio al nord signore. Non vi rientro da 37 anni. Sono arrivato in Italia come rifugiato politico. Il mio passaporto mi permette di andare ovunque nel mondo salvo che a casa”.
“Mi scuso, non volevo toccare un tasto così delicato”.
“Non è nulla. La mia vita è qui e non rimpiango quella che ho abbandonato” disse l'omino dai tratti asiatici allontanandosi educatamente-
Rimasto solo, Giampiero annusò il distillato ambrato che lasciava salire i suoi profumi sedimentati nel tempo. L'aveva preso invecchiato dieci anni, esattamente il tempo che era trascorso dalla lettura dell'ultimo romanzo. Dieci anni prima, poco più che cinquantenne aveva sfogliato le ultime pagine di narrativa: un'anonima raccolta di racconti prodotta a margine di un concorso letterario. Poi più nulla. Si era promesso di dedicare la sua attenzione solo a saggi rivolti al futuro: a disegnare l'orizzonte politico e tecnologico che avrebbe determinato l'evolvere dei gruppi umani e la loro geopolitica. In quel momento aveva disinnescato gli ultimi sogni sull'animo umano e le relazioni internazionali gli erano sembrate, con logico realismo, i soli elementi utili alla riflessione.
Non aveva rinnegato le migliaia di pagine lette prima di quella decisione. Solo che, più la vita lo attraversava, più i rapporti tra le persone e tra le persone e i loro stessi pensieri, gli sembravano prevedibili. Aveva vissuto in due nazioni, parlava correntemente tre lingue, aveva due case nel cuore della società, una famiglia piena di ramificazioni, protagonismo politico e un numero di conoscenti che cresceva più velocemente di quanto desiderasse. Dopo pochi istanti di fronte a una persona, ne poteva raccontare la biografia con temibile precisione. I romanzi raccontavano storie che lui riusciva già a leggere da solo nell'esperienza. Avrebbe dunque letto quei testi solo per trovare conferma a quello che già conosceva o intuiva. Ma lui non era quel genere di lettore. Per lui il tempo non era un cerchio da analizzare a ogni giro ma una linea di cui bisognava prevedere l'andamento.
Bevve allora il primo sorso dal suo bicchiere. Voleva brindare a quei dieci anni spesi senza tempo perduto. E lo voleva fare solo, perché, confrontandosi con altri, magari dovendosi giustificare, avrebbe dovuto perdersi in discussioni prevedibili.
Allungò un altro sorso. Tenersi lontano da fiumi di parole, che già sapeva essere sterili, era la forma di libertà più preziosa che si era saputo regalare.
“Viene dall'Indocina?” gli chiese dopo aver scambiato diverse battute sui distillati disponibili.
“Vietnam, signore” rispose l'uomo di sala.
“Ci sono stato tre anni fa – disse allora Giampiero con il viso sorridente – magari ci siamo già incontrati anche là. Di dov'è?”.
“Un piccolo villaggio al nord signore. Non vi rientro da 37 anni. Sono arrivato in Italia come rifugiato politico. Il mio passaporto mi permette di andare ovunque nel mondo salvo che a casa”.
“Mi scuso, non volevo toccare un tasto così delicato”.
“Non è nulla. La mia vita è qui e non rimpiango quella che ho abbandonato” disse l'omino dai tratti asiatici allontanandosi educatamente-
Rimasto solo, Giampiero annusò il distillato ambrato che lasciava salire i suoi profumi sedimentati nel tempo. L'aveva preso invecchiato dieci anni, esattamente il tempo che era trascorso dalla lettura dell'ultimo romanzo. Dieci anni prima, poco più che cinquantenne aveva sfogliato le ultime pagine di narrativa: un'anonima raccolta di racconti prodotta a margine di un concorso letterario. Poi più nulla. Si era promesso di dedicare la sua attenzione solo a saggi rivolti al futuro: a disegnare l'orizzonte politico e tecnologico che avrebbe determinato l'evolvere dei gruppi umani e la loro geopolitica. In quel momento aveva disinnescato gli ultimi sogni sull'animo umano e le relazioni internazionali gli erano sembrate, con logico realismo, i soli elementi utili alla riflessione.
Non aveva rinnegato le migliaia di pagine lette prima di quella decisione. Solo che, più la vita lo attraversava, più i rapporti tra le persone e tra le persone e i loro stessi pensieri, gli sembravano prevedibili. Aveva vissuto in due nazioni, parlava correntemente tre lingue, aveva due case nel cuore della società, una famiglia piena di ramificazioni, protagonismo politico e un numero di conoscenti che cresceva più velocemente di quanto desiderasse. Dopo pochi istanti di fronte a una persona, ne poteva raccontare la biografia con temibile precisione. I romanzi raccontavano storie che lui riusciva già a leggere da solo nell'esperienza. Avrebbe dunque letto quei testi solo per trovare conferma a quello che già conosceva o intuiva. Ma lui non era quel genere di lettore. Per lui il tempo non era un cerchio da analizzare a ogni giro ma una linea di cui bisognava prevedere l'andamento.
Bevve allora il primo sorso dal suo bicchiere. Voleva brindare a quei dieci anni spesi senza tempo perduto. E lo voleva fare solo, perché, confrontandosi con altri, magari dovendosi giustificare, avrebbe dovuto perdersi in discussioni prevedibili.
Allungò un altro sorso. Tenersi lontano da fiumi di parole, che già sapeva essere sterili, era la forma di libertà più preziosa che si era saputo regalare.
1 commento:
Ho la sensazione di aver letto la vera causa dell'attuale "crisi" umana
Posta un commento