Gli inserti domenicali del Sole24Ore in cui da oltre dieci anni cercava stimoli per le lezioni di filosofia rivolte ai suoi studenti di quinta liceo giacevano impilati sulla scrivania dello studiolo in un ordine innaturale. Quell'ordine cronologico un po' meccanico in cui si abbandonano i libri che non si è mai letto o l'enciclopedia inutile regalata dalla zia per la prima comunione. La pila di carta svettava a fianco della sedia su cui erano a loro volta abbandonati due o tre libri regalati e mai letti, un paio di biglietti per il teatro mai utilizzati, due riviste di viaggio ancora impacchettate.
Il professor Gianfranco Manaresi si appoggiò allo schienale della sua poltrona e provò a far mente locale per ricordare l'ultima volta in cui si era ritirato con quei suoi amici di carta di lunga data. Dovevano essere almeno tre mesi o forse anche qualcosa in più. Sì, per l'esattezza tre settimane e quattro giorni: aveva sfogliato alcune inserti sulle nuove tecnologie quando aveva preparato il suo intervento al Rotary sulla comunicazione docente-studente nell'era post Gutenberg.
Lui, in quell'era, c'era entrato controvoglia e a età matura due anni prima, spinto dal suo dirigente scolastico che l'aveva scelto per sperimentare nuove forme di comunicazione via social network. Il suo primo profilo, su Myspace, era nato così: una semplice appendice alla cattedra che occupava da anni. L'esperimento – dovette ammetterlo – fu più interessante del previsto: postò un paio di citazioni di autori positivisti e dopo pochi giorni vi trovò decine di commenti, critiche, suggerimenti. Il più brillante era arrivato a domandare se quegli autori, così pronti a celebrare il progresso, avevano avuto il coraggio di preconizzare il loro stesso superamento. Era una domanda che non aveva mai ricevuto in aula, a cui lui stesso non aveva mai pensato. Ne rimase affascinato. E da lì, da quell'infatuazione inattesa, decise di immergersi senza più riserve nella rete.
Quel viaggio, nel tempo, era diventato molto di più che una sperimentazione didattica. Con un po' di enfasi la sua era diventata una sperimentazione esistenziale o meglio ancora esperienziale. La rete, il profilo e poi i profili, gli amici, ciò che loro erano per lui e ciò che lui era per loro, erano diventati parte della sua vita. Nel tempo, anzi erano diventati la parte più importante. Più dell'inserto del Sole24Ore, più della prima a teatro. Quando si connetteva, quando leggeva i commenti dei suoi lettori, provava l'emozione di un rituale di seduzione: in quella galassia di persone già note ma conosciute sotto prospettive mai esplorate al ristorante o di persone che mai altrimenti avrebbe intercettato, si regalava sempre al meglio delle sue possibilità. I luoghi visti, i libri letti, le parole scritte avevano trovato nei suoi contatti digitali un nuovo senso, quello che a lungo gli era sembrato impossibile darvi per mancanza di interlocutori all'altezza.
Quel magico mondo, quella specie di fiaba che aveva iniziato a scrivere in tarda età, gli regalava un tale piacere da rendere drammaticamente forte ogni suo altro incrocio con l'esterno. Gli sembrava noiosa ogni chiacchierata con la moglie, ristrette le vedute dei figli, banali le proposte di svago degli amici, prive del gusto della replica le letture a cui si era dedicato. Nessuno di questi, da tempo, l'aveva più saputo apprezzare per un collegamento tra il logos greco e l'aldilà del Cristianesimo delle origini o per una comparazione estetica tra il razionalismo americano e quello europeo. Nessuno attorno a lui gli regalava più l'ebbrezza di quei dialoghi infiniti nello scantinato di un'osteria a cui si era abituato da studente: a volte introduceva l'argomento nel corso di un barbecue, ma cadeva sempre in una prospettiva sterile, come se quelle fossero chiacchiere così per fare, esercizi di stile privi di reale energia, privi di ogni plausibile ricaduta pratica. Nel suo profilo Facebook invece le parole erano tornate a pesare, a valere di quell'infinito valore che acquisiscono quando le si riferisce a un futuro proprio e collettivo.
Quel mondo da fiaba che in due anni dentro la rete aveva portato alla luce era il suo vanto, ma lentamente anche il suo cruccio. Al di fuori di esso si sentiva come in astinenza. E, davanti allo schermo, ancora una volta, si iniziò a domandare se non fosse giunto il tempo di chiedere alle centinaia di fatine a cui si era legato online la domanda che non aveva mai fatto. Come continuare quella fiaba senza ritornare ogni giorno alla sua vita con la sensazione di essere in una tragedia greca vissuta in modo sbagliato? Le fatine gli avrebbero risposto? O minacciate dallo spettro del mondo avrebbero perso i loro super poteri?
Le dita, un po' sudate, rimanevano incerte sulla tastiera, incerte sul da farsi.
2 commenti:
Com'era? La dimensione estetica? Bene. L'hai di sicuro raggiunta in questo racconto che invero si sostanzia di domande per nulla banali.
bel racconto Silvio, bravo.
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