Sul tavolo c'erano già alcuni bicchieri vuoti, quando Andrea chiese a Filippo se aveva letto Oceano mare di Baricco. Era la classica domanda che Andrea, fisico col vizio della letteratura contemporanea, amava fare più spesso a Filippo, l'amico storico con gusti letterari più ottocenteschi.
“Ricordi – domandò – il personaggio che rimane tutto il tempo seduto sulla spiaggia per studiare dove finisce il mare? E' uno dei mie personaggi preferiti: è come se lo vedessi di fronte alle onde che vanno e che vengono, a testimoniare quanto c'è di romantico nel misurare”.
“Lo ricordo molto bene” rispose Filippo, rompendo il copione che lo voleva impreparato sulle uscite più recenti del Novecento. “Non è il solo personaggio intrigante: l'intera trama lo è. Mi sono annotato il punto in cui uno dei personaggi osserva che con la razionalità si fanno spesso scelte che poi diventano spine pungenti ai sussulti dell'istinto”.
Andrea e Filippo sedevano a un tavolo lontano da casa. Le voci spagnole attorno al caffè del barrio gotico di Barcellona erano per entrambi piacevolmente estranee. Erano parentesi che sentivano la necessità di ritagliare dai loro mondi imperfetti. Non sbagliati, solo imperfetti. Era una questione di aspetti: un contesto sociale un po' troppo chiuso per l'uno, un'eredità sentimentale ingombrante per l'altro.
“Io credo che tu debba cambiare luogo” diceva Andrea a Filippo.
“E io credo che tu debba aprirti ad altre persone” suggeriva Filippo ad Andrea.
Entrambi potevano tramutare in realtà quei desideri molto sensati. Entrambi però tardavano a farlo. Per natura il loro tempo, già invaso dal senso del dovere, era conteso dal piacere del conversare, del leggere, dello scrivere, del viaggiare, dalla curiosità di conoscere un'altra persona e perdersi nei meandri della sua mente e, a volte, del suo corpo.
“Secondo me – disse Andrea – la nostra vita si esprime in una frase. Non siamo nati artisti, non siamo sufficientemente colti per diventare critici, ma ormai abbiamo fatto troppa strada per poterci accontentare di essere pubblico”.
“Qualcosa di simile deve averlo detto anche un critico - confabulò Filippo – ma non credo che stia qui il punto. Dimenarsi con quanto si ha per non morire da pubblico prima del tempo forse è già molto più di niente, anche se non si è nati artisti, anche non si è diventati critici. Il fatto vero è un altro. E' che gli errori sono romantici. Non sono mai sbagliati del tutto. Le scelte sbagliate, è vero, a volte ti sbalzano lungo percorsi che non senti per niente tuoi. Ma, percorrendoli, alcuni luoghi, alcune persone diventano tuoi. E allora cambiare direzione non è più una decisione che riguarda solo te. Tocca anche loro e la fitta trama di rapporti che ormai ti avvolge”.
3 commenti:
I tuoi racconti, caro Silvio sono sempre molto forti è impossibile non leggerli e ti senti quasi partecipe del racconto. Come sai non sono un giovincello ma ti assicuro che mi piacciono tantissimo.
Buona serata caro amico
Concordo sul fatto che gli errori - ceti errori, per lo meno - possono essere romantici. E poi ... quanto fascino magico con il solo semplice cenno a Barcellona, teatro ancor oggi di grandi opere dell'arte e della letteratura!
Spero che a volte i miei racconti non siano anche troppo forti, in grado, nella loro brevità, di urtare la sensibilità di qualcuno.
Nel caso speriamo che l'errore sia romantico e si porti con sé anche originali riflessioni su precedenti convinzioni.
Buona serata anche a voi miei cari lettori.
Posta un commento