E' tutto all'aperto, così vicino al mare che se ne immagina il rumore. Ma è coperto dall'odore intenso della folla che beve, balla e va oltre sulla marina. E' un mondo ad alto volume che non sento mio e vi rimango ai margini, quasi con un senso di colpa. Che sento ma non so spiegare: forse è lì perché in quell'attimo tocco una fetta di tempo scappare via inutilmente (per me, intendo); forse perché non mi piace avere tutta questa capacità di giudizio che mi tiene lontano dalla vita sporca; forse perché è una capacità di giudizio solo ipocrita che ha paura del giudizio altrui il giorno dopo.
“Guarda, racconta, qui c'è la vita vera” mi dicono a me che ho il blog e l'etichetta dell'intellettuale che racconta. Io guardo ma non trovo nulla da raccontare. Cosa dovrei raccontare? Due ragazzi che si baciano, un trans che batte, una ragazza ubriaca che balla sopra il tettuccio di un'auto? Io sono solo lì ai margini di quel mondo. Per raccontare davvero dovrei scendere agli inferi, ma è proprio qui che è la mia trappola. Quelli sono inferi per me: io non farei un'esperienza, ma cercherei solo conferma al mio giudizio. E questo non interessa a nessuno: non più di quello di un prete, di un vecchio opinionista logorroico o di un ubriaco al bar. Vi metterei certo molti riferimenti letterari in più – di libri, quelli sì, ne ho letti molti – ma la sostanza non cambierebbe: sotto la retorica delle citazioni non resterebbe nulla.
L'unico mio racconto vero di quell'universo di eccessi sulle sponde del Tirreno è questo: in mezzo a tutto quel casino il mio racconto è un dialogo riservato con la coscienza. O meglio, un interrogatorio in cui io faccio le domande e lei resta lì muta neanche fosse un Dio. Chissà se varrebbe la pena attraversare quella linea di trasgressione per aggiungere un'esperienza reale? Chissà se quell'esperienza sarebbe davvero sporca come la mia prospettiva la fa apparire dal di fuori? Chissà se immergendosi in essa resterebbe poi il tempo, la voglia, la capacità per raccogliere le parole in grado di raccontarla? E resterebbe poi il tempo per navigare tra le esperienze letterarie, per svegliarsi presto al mattino e salire sulle creste più arcigne del pianeta? Chissà se sono più coglioni quelli che muoiono di coma etilico su quella riviera o quelli che precipitano tra le montagne del Nepal volando verso Lukla? O chissà se il furbo è quello che non fa né uno né l'altro, riservandosi di leggere la deficienza di entrambi i gruppi il giorno dopo sul giornale? Sì lui è furbo, però poi tanto crepa pure quello e allora forse il deficiente vero è proprio lui, no? O forse il vero eroe è chi ha avuto una vita così strozzata dalla necessità da non potersi mai soffermare a perdere tempo su ieri o domani, con la certezza che, se lui fosse stato dall'altra parte, quella baciata dalla dea fortuna intendo, non avrebbe avuto un problema mai al mondo, pasciuto e soddisfatto dal proprio benessere.
Comunque sia, vi assicuro, rilassarsi così è stressante. Alla prossima occasione mi getterò in mezzo alla folla come uno qualunque, quale in effetti sono, così sarò come tutti gli altri esperienza pura senza nulla da scrivere o raccontare. Però mi domando. E se alla fine di tutto invece mi ritrovassi con una bella storia a tinte forti. Mi viene quasi il dubbio che la mia capacità di giudizio nel racconto di quanto successo sarebbe ancora più difficile da gestire che nell'immaginazione di quanto sarebbe potuto accadere. Come vedete miei cari, non è nulla semplice.
3 commenti:
HO sociologo! sei veramente forte!
fai delle riflessioni eccezionali.
Però anche nel mio tempo giovanile intendo, sembrava che fosse tutto una nullità, l'abbandono delle campagne,la fuga dalle tradizioni, il cercare di dimenticare in fretta guerra,reduci, veglie contadine, ci sforzavamo ad ascoltare jazz e odiavamo le fisarmoniche, era tutto bello il moderno: l'appartamento, il paese la grande la città.....Ecco il risultato. Se fossimo stati più attenti avremmo lasciato tanti scritti, tanti ricordi...
Dove vuoi arrivare dirai?
Anche questo tempo, con le sue tante contraddizioni va vissuto e raccontato. Non è servito a niente chi è vissuto da spettatore.
SEI FORTE O SOCIOLOGO, RACCONTALA LA VITA.
Raccontare la vita mi diverte e mi piace. Potrò rallentare per inerzia, pigrizia o stanchezza, o potrò cambiare tema perché la curiosità su un filone potrebbe esaurirsi, ma non credo che smetterò mai del tutto. Ormai mi sento quasi in colpa quando abbandono la penna troppo a lungo.
Il vero problema è capire se riuscirò a raccontare in maniera vera, sfuggendo alle narrazioni fittizie che noi stessi ci costruiamo per renderci più belli, bravi e presentabili. Sono schemi che impoveriscono le parole di chi li scrive (o parla) ma non è facile liberarsene. Ci vuole coraggio a restare in compagnia delle parti peggiori di se stessi e parlarne. O svelare tutte le considerazioni, anche quelle meno opportune, suscitate da una conversazione o da un luogo.
E' un tema che mi è caro. Ne avevo anche già scritto non troppo tempo fa:
http://duemondiameta.blogspot.com/2010/03/la-piccola-percentuale-di-penna-adulta.html
Ah, dimenticavo. Sul mondo scomparso nelle corse del novecento qualche bel scritto cè.
Molto bella, relativamente al versante romagnolo dell'Appennino, è la serie "Gente di" con opuscoli dedicati alle frazioni di Ridracoli, Pietrapazza, Casanova dell'Alpe e Rio Salso.
Molto interessante poi è il libro di Marco Aime sulle credenze popolari nel torinese. Si intitola "Il lato selvatico del tempo".
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