Photo by Rick
Leggende romagnole, avventure metropolitane, suggestioni dal mondo e altre divagazioni in evoluzione pluriennale.
martedì, settembre 30, 2008
Nella stanza bianca dove immagino il ricordo
Il sentiero sale ancora. Continua a svilupparsi senza curve, lungo, deprimente. All’orizzonte però vedo già le balze. Mi immagino la fatica che ancora ricordo: gocce di sudore lievi su una faccia arrossata, mani umide che bagnano gli spallacci dello zaino. Sospiro al pensiero e guardo più in su alla ricerca del Lavane. Intuisco dov’è, dietro le grandi balze che lo precedono. Non ne ricordo il nome, come al solito. Ci penso ancora: non mi viene. Mi avvicino e il nome si fa più chiaro e di nuovo nitido nella memoria: le Balze delle Cornacchie. Sì, proprio loro.
E’ da lì in poi che avanza il buio più totale. Il manto verde della vegetazione si dispiega da una valle all’altra con pochi crinali a inframmezzarlo. Cerco un punto di riferimento, un punto che dia di nuovo un appiglio alla fatica che ancora ricordo, ma non lo trovo. Rido. “Deficiente - mi dico - Solo io posso pensare a passare di là: là dove non c’è nulla”. E dopo, sudore, sudore, sudore e a tratti sconforto: per ore, per una giornata intera. Lì davvero immagino di nuovo la fatica che ricordo.
Stanco, come dopo un cammino vero, richiudo la cartina. Mi piace guardare il mondo sulla carta: solo lì, dove è fermo, sicuro e innocuo, lo sento finalmente mio, compreso, a portata di pensiero. Rilassato mi appoggio allora con le spalle sulle mattonelle bianche dietro la schiena. Guardo a destra e la porta chiusa mi dà una piacevole sensazione di intimità. Guardo a sinistra e la piccola finestra aperta sulla collina sembra la cornice della quercia solitaria all’orizzonte.
Quando sono lontano da casa, ne sento sempre la mancanza: del mio stanzino bianco al piano si sopra e della mia cartina.
E’ da lì in poi che avanza il buio più totale. Il manto verde della vegetazione si dispiega da una valle all’altra con pochi crinali a inframmezzarlo. Cerco un punto di riferimento, un punto che dia di nuovo un appiglio alla fatica che ancora ricordo, ma non lo trovo. Rido. “Deficiente - mi dico - Solo io posso pensare a passare di là: là dove non c’è nulla”. E dopo, sudore, sudore, sudore e a tratti sconforto: per ore, per una giornata intera. Lì davvero immagino di nuovo la fatica che ricordo.
Stanco, come dopo un cammino vero, richiudo la cartina. Mi piace guardare il mondo sulla carta: solo lì, dove è fermo, sicuro e innocuo, lo sento finalmente mio, compreso, a portata di pensiero. Rilassato mi appoggio allora con le spalle sulle mattonelle bianche dietro la schiena. Guardo a destra e la porta chiusa mi dà una piacevole sensazione di intimità. Guardo a sinistra e la piccola finestra aperta sulla collina sembra la cornice della quercia solitaria all’orizzonte.
Quando sono lontano da casa, ne sento sempre la mancanza: del mio stanzino bianco al piano si sopra e della mia cartina.
domenica, settembre 14, 2008
Il punto e il percorso
“Mi chiedo spesso quale sia il tragitto più corto tra due punti” disse uno.
“La retta, per quello che ricordo di geometria” rispose l’altro.
“Già, anch’io ricordo lo stesso, ma non ne sono più sicuro”.
“Hai elaborato una nuova visione del mondo senza dirmi niente?” gli domandò il compagno un po’ sarcastico e ormai abituato a simili divagazioni.
“No, nulla di tutto ciò – rispose l’uno -. Mi sono solo messo nei panni di tutti gli altri punti e mi sono sentito un po’ solo. Voglio dire, per la fretta di arrivare a quello che credi di conoscere e pensi di voler raggiungere, li trascuri tutti. Mi sembra una grossa perdita”.
“Uhm, per quanto mi riguarda è già fin troppo lunga una retta. Fosse per me vivrei in un punto senza mai muovermi di lì. Che gusto, mi spegnerei godendomi all’infinito la mia perfezione, la totale autosufficienza di me stesso”.
“Per me temo sia tardi. Credo che mi abbiano venduto un punto fermo tarocco. E, comunque, non sono riuscito a rimanervi appollaiato”.
“Beh, se ne avevi trovato uno migliore, forse ne valeva la pena”.
“E’ questo il punto, non c’era un altro punto. Ho imboccato un percorso sperando che fosse lui a suggerirmelo”.
“Te l’ha poi suggerito sto punto, il tuo percorso?”.
“Sì, ma poi il percorso ci ha anche preso gusto”.
“Non capisco?”.
“A svilupparsi. Del resto il percorso indica un punto, ma non gli piace. E’ anche da capire: se arrivi al punto sei alla fine del percorso”.
“Provato ad andare a capo?”.
“No. Quantomeno devo ancora finire il periodo!”.
“La retta, per quello che ricordo di geometria” rispose l’altro.
“Già, anch’io ricordo lo stesso, ma non ne sono più sicuro”.
“Hai elaborato una nuova visione del mondo senza dirmi niente?” gli domandò il compagno un po’ sarcastico e ormai abituato a simili divagazioni.
“No, nulla di tutto ciò – rispose l’uno -. Mi sono solo messo nei panni di tutti gli altri punti e mi sono sentito un po’ solo. Voglio dire, per la fretta di arrivare a quello che credi di conoscere e pensi di voler raggiungere, li trascuri tutti. Mi sembra una grossa perdita”.
“Uhm, per quanto mi riguarda è già fin troppo lunga una retta. Fosse per me vivrei in un punto senza mai muovermi di lì. Che gusto, mi spegnerei godendomi all’infinito la mia perfezione, la totale autosufficienza di me stesso”.
“Per me temo sia tardi. Credo che mi abbiano venduto un punto fermo tarocco. E, comunque, non sono riuscito a rimanervi appollaiato”.
“Beh, se ne avevi trovato uno migliore, forse ne valeva la pena”.
“E’ questo il punto, non c’era un altro punto. Ho imboccato un percorso sperando che fosse lui a suggerirmelo”.
“Te l’ha poi suggerito sto punto, il tuo percorso?”.
“Sì, ma poi il percorso ci ha anche preso gusto”.
“Non capisco?”.
“A svilupparsi. Del resto il percorso indica un punto, ma non gli piace. E’ anche da capire: se arrivi al punto sei alla fine del percorso”.
“Provato ad andare a capo?”.
“No. Quantomeno devo ancora finire il periodo!”.
giovedì, settembre 11, 2008
lunedì, settembre 01, 2008
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