Leggende romagnole, avventure metropolitane, suggestioni dal mondo e altre divagazioni in evoluzione pluriennale.
venerdì, ottobre 26, 2012
mercoledì, ottobre 24, 2012
Scatole di personaggi
“In preda a un panico improvviso
perché in quel momento capii che ciò che diceva mio padre
non coincideva necessariamente con la realtà delle cose,
e questo per me trasformò il mondo in un'entità fluttuante
cui era difficile aggrapparsi”.
(Per Patterson, Fuori a rubar cavalli)
perché in quel momento capii che ciò che diceva mio padre
non coincideva necessariamente con la realtà delle cose,
e questo per me trasformò il mondo in un'entità fluttuante
cui era difficile aggrapparsi”.
(Per Patterson, Fuori a rubar cavalli)
Mattino fresco, in volo sulla manica, ultimo giro di caffè lungo. Ma anche ultime ore prima di ricominciare ad agganciare all'agenda il senso delle giornate: solo pochi sono stati così brillanti e bravi da potersi permettere lunghe pause e io non sono tra quelli e credo che non lo sarò mai. Mi hanno anche letto la mano: vita lunga, vita sana, ma non ricca. La terza conclusione, l'avevo già maturata anche sulla base di previsioni empiriche legate all'andamento del mondo e al mio ipotetico percorso in esso. Mancano solo poche ore, dicevo, all'inizio dei giorni qualunque. Un lasso di tempo così breve non fa per lunghe storie. E poi lunghe storie mancano. C'è piuttosto un gorgoglio di personaggi, tanti e tali da sopravanzare ogni trama. Non ne esiste una che li contenga tutti. O almeno non mi è parsa, a me, di averla vissuta. Una volta faticavo a tracciare una trama sensata per i mie percorsi nel loro dipanarsi, ma poi, messi questi alle spalle, davo loro una struttura. Ora anche questa è venuta meno. E' un po' come per una vecchia città. Non è facile intervenirvi rispettandone tutte le anime. Ce n'è sempre qualcuna che ne verrebbe lesa. E, in questi giorni, proprio non ne vorrei ledere nessuna.
Allora torno ai tempi dell'Università, quando, al primo anno, ci spiegavano come scrivere. A noi studenti raccontavano la storia delle “scatole”. Dovevamo costruire delle scatole virtuali – fisicamente dei fogli – e raccogliere in esse le idee, gli spunti, le citazioni, che ci venivano strada facendo sull'argomento da trattare. “Costruite le scatole – ci dicevano – nel modo più informale possibile. La casa, il vostro testo, nascerà poi da solo”. Torno a fare il “sociologo”, dunque, e provo a inscatolare, fuori da ogni trama, un mese di casa e di mondo, di birre di skype, di teatri e traslochi. Una scatola, un personaggio.
In ordine sparso, non esaustivo del reale, ma solo di un mese di esperienziale, alcuni tipi di umanità:
Uomo saggio. Non reagisce mai troppo. Per indole e per formazione, pensa che reagire, emozionarsi o alterarsi sia dispendioso in termini energetici e moralmente opinabile. E' persona che ascolta molto e forse elabora, ma non è dato troppo a sapere, perché centellina i suoi interventi.
Uomo raffinato. Onnivoro nei suoi consumi culturali, spazia dal jazz americano alla classica contemporanea, dai film d'essay svedesi alla canzone d'autore italiana. Talvolta vittima di un eccesso di estetismo – ci si chiede se davvero quelle cascate di emozione scorrano a ogni sterile primo piano interminabile su una faccia stupida come tante – tale persona può essere assai gradevole, se le sue conoscenze diventano materie per condivisione o esplorazioni, o può invece essere fonte di tensioni se connotata dalla sindrome delle caccia alla “lacuna”, al libro mancante.
Uomo osservatore. Relativista per definizione. Silenzioso e meditabondo, cattura abitudini, gestualità e frasi comuni per ricondurle a uno schema noto o evidenziare eventuali originalità. E' persona che a volte manca di spontaneità, si trattiene, non vuole modificare il contesto e si perde parte del gusto, nel senso che non si perde mai del tutto. Non crede alle storie, sfugge alle appartenenze di gruppo, minimizza i propri trascorsi per non cadere negli errori che imputa agli altri.
Uomo fatalista con qualche dubbio. Ha perso un amico prematuramente, inaspettatamente. Non dà a vedere che questo ha incrinato il suo ateo attaccamento ai fatti del mondo – economia, relazioni internazionali, finanza – unici elementi determinanti dell'agire umano, ma talvolta cede e si sente solo. Probabilmente se lasciasse spazio a un sentimento, ne sarebbe travolto, privo com'è degli anticorpi che nascono con la frequentazione quotidiana delle proprie emozioni.
Uomo dolce. E' un'integralista della dolcezza. Ne vede ovunque. La sottolinea anche se è una componente irrilevante, anche se sa che l'effetto dell'overdose che produce sarà negativo. Non ho mai capito se l'uomo dolce ha coscienza di questo effetto. Ma se si prova ad affrontare l'argomento, la reazione è spesso mielosa: ci si sente come elefanti nel negozio della cristalleria. Problematico se permaloso.
Uomo abbandonato. E' riuscito a creare attorno al sé il vuoto assoluto. O per una fiducia eccessiva nella propria intelligenza o per scarsa propensione ad affrontare temi spinosi, ha nel tempo ristretto le proprie frequentazioni e ridotto le esistenti a scambi di cortesia. Ha un attaccamento innaturale alla madre, unica persona che lo ha tollerato. La costruzione mentale che ha fatto per proteggere la propria solitudine è di solito solida. Ma è un po' come la linea Maginot. Si può aggirare e dietro si scovano spesso praterie desolate che la fede non riempie e che nessun uomo ha più il coraggio di affrontare.
Uomo matto. E' in grado di vivere nel mondo sociale, ma, come una geometria non euclidea, traccia rotte che non hanno riscontri immediati. Mangia, beve, dorme e paga le bollette come te, ma poi ti riversa fiumi di parole e storie in ordine sparso crescente. Borbotta con i messaggi che la mente gli recapita. Un po' come tutti, ma i suoi sono più veloci ed escono prima del controllo sicurezza. Tu li reprimeresti per la paura di essere preso per pazzo. Lui invece li lascia liberi. E tu sei spalle al muro e non sai se prenderlo per pazzo come tutti o, finalmente, impersonare un po' dell'anticonformismo che piace attribuirti, e giocarti le tue carte alla pari. Con il serio rischio di perdere.
Uomo protagonista. A differenza del colto, che legge, ascolta e guarda, l'uomo protagonista interpreta. Canta, balla, scrive e fotografa. Di solito si autodenigra per sfuggire all'accusa di esibizionismo, da taluni si nasconde per sfuggirne completamente alla visuale, ma in genere ama il frastuono di cui si fa coprotagonista e il pubblico che tale frastuono attira. Si è sempre in dubbio nei suoi confronti. Ama veramente quello che fa, catturato come un rabdomante dalle sue pratiche, o invece si circonda di azioni per sfuggire al suo pensiero?
Uomo nomade alla ricerca di una sistemazione permanente. E' una persona che non vive un momento facile. Dopo lunga serie di dubbi, ha ceduto, ha mollato patria e famiglia per sposare il suo carattere nomade. Un po' per usura e un po' per il peso dei giudizi esterni, ora è impegnato a mettere su radici. Cerca di farlo con autentica serietà, ma ormai ha perso le certezze stanziali e non sa più davvero dove piantarle. E poi non riesce a fare a meno di una via di fuga. Basta un clima, un amico, un luogo da vedere, per riaprire la valigia.
Uomo di mestiere. Pescatori, ristoratori, artigiani, legnaioli. Di solito sono persone di poche parole. Dunque è lasciato all'osservatore l'onere di ricostruirne l'universo. E questo universo ricostruito, storicamente, si espande in due direzioni distinte. Se il mestierante è esotico diventa motore narrativo, primigenio, mentre se il mestierante è locale diventa simbolo di ottusità mentale o di nostalgiche rievocazioni dei tempi andati, quando anche l'osservatore era, o avrebbe potuto essere, taciturno e soddisfatto come il mestierante. Soggetti molto ambiti dai fotografi.
Uomo di fede. E' persona in fase di evoluzione. Anche lui è entrato nel modo della comunicazione e della dialettica. Se lo chiami, scende in campo e discute. Al novantesimo minuto, però, è costretto a fare come un tempo e lasciarti nel bivio: credere o non credere. Nell'ultimo aggiornamento del personaggio – fattore piacevole – tende a scomparire l'elemento di superiorità morale. E a una fede dubbiosa è già più facile credere.
Uomo (oltre o entro) i limiti. Che siano sportivi, intellettuali o geografici, i limiti sono centrali per l'uomo “limite”. Da una parte, le creature più meditabonde, riflettono ore o giorni prima di ogni seria azioni per valutare se qualcosa è alla loro portata, o meglio all'altezza a cui hanno voglia di collocare la loro portata. Dall'altra, le creature più smaniose vedono ovunque un limite da spostare in avanti. Magari non lo dicono, cercando di mascherare il tutto con una ricerca filosofica, ma l'obiettivo resta. Deve, perché è poi attorno a esso che si struttura il tutto.
Uomo amico. Si pensa che sia imperituro, ma cambia come ogni cosa che scorre. Geografia mutabile che va, viene, torna o scompare per sempre. E' il confidente per eccellenza. Solo che quando funziona talvolta determina cambiamenti tali che è poi difficile mantenere il livello di intimità di partenza. Si respira nell'aria se un uomo amico è in avvicinamento o allontanamento: curiosità e inquietudine procedono di conseguenza.
sabato, ottobre 06, 2012
Il retroterra dei sogni raggiunti
Non ci dovrebbe essere troppo tempo nel mezzo. Invece quasi per tutti – chissà se è così anche per i geni? - ne passa sempre molto tra un desiderio e il suo avvento. Quando si comincia a desiderare qualcosa non la si conosce davvero a fondo. La si coltiva con l'immaginazione, la si desidera ingenuamente. I più, vinti dalla pigrizia, abbandonano subito questa visione e l'archiviano nell'universo dei “magari”: costruiscono così quel rifugio di chiacchiere e speranze che gli fa da placido approdo. Ma alcuni, i più perseveranti, si mettono in cammino per prendere davvero in mano l'oggetto dei loro sogni, il loro desiderio.
Ed è in quel cammino che affiorano le contraddizioni. Si conoscono persone, si leggono libri, si attraversano luoghi, si scambiano opinioni, si fa l'amore in luoghi impensati, si guardano film, si partecipa a feste a lungo sconosciute, si varcano soglie di nuovi locali, si scrivono mail e si eleggono nuove guide. Quel cammino porta lontano. E da laggiù la strada percorsa prende il comando e detta lei la direzione, come un binario proiettato in avanti. Succede, anche se le ombre lontane da cui tutto era partito in vero non interessano più, sono quasi estranee.
Feci questo ragionamento alla fine di una lunga e incessante serie di telefonate che dal primo mattino non mi davano tregua. Il ritmo delle domande superava il mio impegno nel compilare la lista delle cose da fare. Una chiamata privata per la lettura del contatore di casa interrompeva la serie di conversazioni lavorative per terminare la stesura di un atto, completare un rendiconto, richiedere le pulizie di una sala, firmare un foglio di ferie, sottoporre un comunicato all'ok, avviare l'upload di una galleria di immagine per una giornalista, fare il giro di telefonate agli alberghi dell'ala nord per gli ultimi dettagli del programma. Rispondere a tutto - il sogno iniziale - era impossibile. Nel brusio generale, i tentacoli dell'organizzazione vincevano, insinuavano le loro crepe.
Pensavo al tempo in cui per arrivare a quel ruolo avevo corso fino allo stremo. Perché mi avrebbe aiutato a dare peso alle mie idee, credevo, ai miei progetti. Pensavo che avrei potuto prendere quel mondo per mano e dargli la mia direzione. Invece in quel momento ero stanco, come un viaggiatore frastornato di fronte al tabellone che elenca sempre nuove mete.
Ripresi il mio brogliaccio in mano e con le frecce tornai ad aggiornare l'ordine delle priorità, chiedendomi se, a forza di cambiarlo, avrei mai avuto la forza di partire dal punto uno.
Ed è in quel cammino che affiorano le contraddizioni. Si conoscono persone, si leggono libri, si attraversano luoghi, si scambiano opinioni, si fa l'amore in luoghi impensati, si guardano film, si partecipa a feste a lungo sconosciute, si varcano soglie di nuovi locali, si scrivono mail e si eleggono nuove guide. Quel cammino porta lontano. E da laggiù la strada percorsa prende il comando e detta lei la direzione, come un binario proiettato in avanti. Succede, anche se le ombre lontane da cui tutto era partito in vero non interessano più, sono quasi estranee.
Feci questo ragionamento alla fine di una lunga e incessante serie di telefonate che dal primo mattino non mi davano tregua. Il ritmo delle domande superava il mio impegno nel compilare la lista delle cose da fare. Una chiamata privata per la lettura del contatore di casa interrompeva la serie di conversazioni lavorative per terminare la stesura di un atto, completare un rendiconto, richiedere le pulizie di una sala, firmare un foglio di ferie, sottoporre un comunicato all'ok, avviare l'upload di una galleria di immagine per una giornalista, fare il giro di telefonate agli alberghi dell'ala nord per gli ultimi dettagli del programma. Rispondere a tutto - il sogno iniziale - era impossibile. Nel brusio generale, i tentacoli dell'organizzazione vincevano, insinuavano le loro crepe.
Pensavo al tempo in cui per arrivare a quel ruolo avevo corso fino allo stremo. Perché mi avrebbe aiutato a dare peso alle mie idee, credevo, ai miei progetti. Pensavo che avrei potuto prendere quel mondo per mano e dargli la mia direzione. Invece in quel momento ero stanco, come un viaggiatore frastornato di fronte al tabellone che elenca sempre nuove mete.
Ripresi il mio brogliaccio in mano e con le frecce tornai ad aggiornare l'ordine delle priorità, chiedendomi se, a forza di cambiarlo, avrei mai avuto la forza di partire dal punto uno.
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