Colloquio fissato per le ore 10 al terzo piano: sala riunioni piccola, tavola tonda, occhi che si possono incontrare facilmente. Lo attendeva Cecilia Marino, da sei mesi la responsabile dell'area teatri-arene estive. L'aveva già ascoltata più volte nel corso di riunioni e salutata cordialmente negli spazi comuni, ma era la prima volta che saliva da lei da solo per un tempo probabilmente lungo, per parlare di cifre e contenuti, bilanci e idee.
Quando era a scuola, spaventato da un compito in classe imminente, si consolava delle sue tensioni guardando gli studenti più grandi. Nella loro età adulta vedeva un tranquillo approdo: a quell'età, ormai cresciuti, le sue paure infantili sarebbero scomparse, nascoste da un solido muro di certezze. Ma l'età degli altri studenti era stata raggiunta e superata senza nessuna solida eredità. Quelle prime volte così importanti per lui – ricordava ancora la madre quando gli diceva di fare bella figura alla prima interrogazione per andare naturalmente meglio nelle successive – continuavano a ignorare l'esperienza: a ogni riproporsi, palesavano nuove inquietudini e nuove incertezze. E lui, indeciso se vantarsi del dubbio dei dotti o rimproverarsi l'insicurezza dei pavidi, non aveva ancora studiato una strategia davvero vincente per bussare, aprire la porta e avviare il dialogo senza titubanze.
Quel giorno aveva attinto alla strategia della ripetizione, come la chiamava lui. Salendo le scale, stava immaginando chi era Cecilia e come si sarebbe potuto evolvere il dialogo. Pensava e ripensava alle prima battute del loro incontro, si faceva le domande e si dava le risposte. Aveva scelto le scale per prendere più tempo e regolare il respiro. E a ogni scalino rallentava il ritmo per guadagnare tempo. Solo che Cecilia Marino gli risultava una trama impossibile da governare. Cercava di prevedere più scenari per essere pronto a ognuno di essi, ma questi non facevano che crescere e ne perdeva il controllo. Il ritmo del respiro cresceva, i polpastrelli già erano umidi. Sapeva di cosa si occupava, ma, al livello organizzativo di Cecilia Marino, la materia era ampia: poteva chiedergli se erano in regola gli adempimenti sulla sicurezza, se il palco aveva una metratura sufficiente per spettacoli di movimento, se la gestione diretta era da preferire a un affidamento esterno, se finora si era privilegiato un cartellone popolare o la sperimentazione, il ritorno di pubblico, le collaborazioni con le produzioni esterne, i costi degli allestimenti. Ma era difficile, secondo lui, che si partisse da lì. A livello di Marino consideri routine tutto questo. L'anteprima, quello scampolo di conversazione in cui cerchi di capire se è meglio restare sul lei dell'autorità o passare al tu della fiducia, la insaporisci con altro. Vai agli spettacoli, ai generi, sondi il retroterra, verifichi se c'è un approccio al mondo che si condivide, se c'è qualche conoscenza comune su cui ritirarsi nei momenti di scoramento o negli slanci più creativi. Poteva chiedergli allora qualcosa sull'ultima stagione. Forse il film preferito tra quelli inseriti nella retrospettiva sul Neorealismo. Oppure il rapporto tra musica e parole nelle opere allestite per il calendario lirico. Questo era un tema delicato. Non era mai riuscito a fingersi un melomane. Avrebbe criticato istintivamente ed era troppo prematuro per farlo, ma, restando sul vago, avrebbe masticato solo poche parole. Mentre chi è in sintonia autentica, prosegue, rilancia, ripropone.
“Buon giorno” disse Cecilia Marino facendosi incontro alla porta.
“Buon giorno a lei” rispose il subalterno, riuscendo a ricambiare il sorriso. Sentiva il tempo accelerare. Il tempo prendeva sostanza e si depositava tutto dal suo lato: forse anche lei era tesa, ma il superiore può prendersi il tempo di capire prima di agire; lui invece era chiamato a far capire, era il primo a dover partire.
“E' la prima volta che ci incontriamo – precisò la responsabile -. Ci vorrà un po' di tempo. Desidera un caffè prima di sedersi”.
Lo avrebbe bevuto volentieri, ma evitò. “Possiamo cominciare subito per me”, disse. Era meglio scansare alle prime battute i campi troppo aperti.
“Bene, allora accomodiamoci – proseguì Cecilia Marino – Non saprei da dove iniziare. Mi faccia un quadro generale che poi ci confrontiamo assieme sui dettagli e sui rapporti con gli altri palcoscenici”.
Foglio bianco e penna nelle mani. Alla fine questa era la sua trama di giornata. Gli piaceva, si sentiva a suo agio nel genere libero. Cercò di mettere in ordine le idee e di scacciare via quel ricordo lontano di una mattina al liceo in cui di fronte a cinque minuti di tempo, come il più grande degli idioti, era riuscito solo a fare avanti e indietro con la propria confusione.
Quando era a scuola, spaventato da un compito in classe imminente, si consolava delle sue tensioni guardando gli studenti più grandi. Nella loro età adulta vedeva un tranquillo approdo: a quell'età, ormai cresciuti, le sue paure infantili sarebbero scomparse, nascoste da un solido muro di certezze. Ma l'età degli altri studenti era stata raggiunta e superata senza nessuna solida eredità. Quelle prime volte così importanti per lui – ricordava ancora la madre quando gli diceva di fare bella figura alla prima interrogazione per andare naturalmente meglio nelle successive – continuavano a ignorare l'esperienza: a ogni riproporsi, palesavano nuove inquietudini e nuove incertezze. E lui, indeciso se vantarsi del dubbio dei dotti o rimproverarsi l'insicurezza dei pavidi, non aveva ancora studiato una strategia davvero vincente per bussare, aprire la porta e avviare il dialogo senza titubanze.
Quel giorno aveva attinto alla strategia della ripetizione, come la chiamava lui. Salendo le scale, stava immaginando chi era Cecilia e come si sarebbe potuto evolvere il dialogo. Pensava e ripensava alle prima battute del loro incontro, si faceva le domande e si dava le risposte. Aveva scelto le scale per prendere più tempo e regolare il respiro. E a ogni scalino rallentava il ritmo per guadagnare tempo. Solo che Cecilia Marino gli risultava una trama impossibile da governare. Cercava di prevedere più scenari per essere pronto a ognuno di essi, ma questi non facevano che crescere e ne perdeva il controllo. Il ritmo del respiro cresceva, i polpastrelli già erano umidi. Sapeva di cosa si occupava, ma, al livello organizzativo di Cecilia Marino, la materia era ampia: poteva chiedergli se erano in regola gli adempimenti sulla sicurezza, se il palco aveva una metratura sufficiente per spettacoli di movimento, se la gestione diretta era da preferire a un affidamento esterno, se finora si era privilegiato un cartellone popolare o la sperimentazione, il ritorno di pubblico, le collaborazioni con le produzioni esterne, i costi degli allestimenti. Ma era difficile, secondo lui, che si partisse da lì. A livello di Marino consideri routine tutto questo. L'anteprima, quello scampolo di conversazione in cui cerchi di capire se è meglio restare sul lei dell'autorità o passare al tu della fiducia, la insaporisci con altro. Vai agli spettacoli, ai generi, sondi il retroterra, verifichi se c'è un approccio al mondo che si condivide, se c'è qualche conoscenza comune su cui ritirarsi nei momenti di scoramento o negli slanci più creativi. Poteva chiedergli allora qualcosa sull'ultima stagione. Forse il film preferito tra quelli inseriti nella retrospettiva sul Neorealismo. Oppure il rapporto tra musica e parole nelle opere allestite per il calendario lirico. Questo era un tema delicato. Non era mai riuscito a fingersi un melomane. Avrebbe criticato istintivamente ed era troppo prematuro per farlo, ma, restando sul vago, avrebbe masticato solo poche parole. Mentre chi è in sintonia autentica, prosegue, rilancia, ripropone.
“Buon giorno” disse Cecilia Marino facendosi incontro alla porta.
“Buon giorno a lei” rispose il subalterno, riuscendo a ricambiare il sorriso. Sentiva il tempo accelerare. Il tempo prendeva sostanza e si depositava tutto dal suo lato: forse anche lei era tesa, ma il superiore può prendersi il tempo di capire prima di agire; lui invece era chiamato a far capire, era il primo a dover partire.
“E' la prima volta che ci incontriamo – precisò la responsabile -. Ci vorrà un po' di tempo. Desidera un caffè prima di sedersi”.
Lo avrebbe bevuto volentieri, ma evitò. “Possiamo cominciare subito per me”, disse. Era meglio scansare alle prime battute i campi troppo aperti.
“Bene, allora accomodiamoci – proseguì Cecilia Marino – Non saprei da dove iniziare. Mi faccia un quadro generale che poi ci confrontiamo assieme sui dettagli e sui rapporti con gli altri palcoscenici”.
Foglio bianco e penna nelle mani. Alla fine questa era la sua trama di giornata. Gli piaceva, si sentiva a suo agio nel genere libero. Cercò di mettere in ordine le idee e di scacciare via quel ricordo lontano di una mattina al liceo in cui di fronte a cinque minuti di tempo, come il più grande degli idioti, era riuscito solo a fare avanti e indietro con la propria confusione.