Continuo a cercare casa e nessuna mi sembra capace di diventare veramente mia. O è troppo lontana, o è troppo vicina, o è troppo costosa in rapporto a quello che dà o non è pronta nel momento in cui serve. Sono certo però che muri e divani sono innocenti. Non è colpa loro se non riesce a nascere l'amore tra di noi. Sono io che non mi sento pronto a una storia con loro. E' un po' come se mi sentissi l'amante fedifrago, buono per una toccata e fuga ma non per mettere le radici, non per trovare casa. Nessuna forma entra nella mia idea ideale perché la mia idea ideale in questo momento non ha forma: non trovo la mia casa ideale perché non so qual è e anche quando la riesco a immaginare perfetta in un altrove ideale mi chiedo se lo è veramente o se invece quel sogno lontano è solo un rifugio di comodo per rifuggire in una dimensione estranea alla prova dei fatti.
Solo quando si ha la certezza di ciò che si cerca si raggiunge il proprio obiettivo, casa o non casa che sia. Anch'io credo di poterlo confermare: anche l'improbabile diventa possibile quando lo punti con la certezza e la freddezza di un arciere che scaglia la sua freccia senza tremori. Ma a volte non basta. Quando la mela che hai colpito cade e ti risvegli dal trance in cui ti eri isolato per seguire nella tua mente un unico tracciato, quello tra te e lei, rischi un senso di smarrimento. Alla gioia dell'obbiettivo colpito, sopraggiunge il timore di aver puntato quello sbagliato e di dover mirare al successivo con più esperienza certo ma anche più stanchezza. E un dubbio. Quello di non raggiungere più quello stato di trance e di grazia sprecato invano quando di fronte si avrà l'obbiettivo vero. Sempre sperando sia veramente quello giusto e non un'altra chimera scelta per ignoranza del resto del mondo tutto attorno.
Leggende romagnole, avventure metropolitane, suggestioni dal mondo e altre divagazioni in evoluzione pluriennale.
martedì, settembre 21, 2010
domenica, settembre 19, 2010
Lontano da lì
(nota autore: righe ispirate da luoghi reali ma con vicende immaginarie)
Oltre ottanta anni prima era nata sotto la Torre dei Vigiacli a Bocconi. C'era vita, tanta vita, la sua vita tra la via che correva tra le case del paese e i sentieri che si allontanavano su verso la chiesa e giù verso il fiume. E lì aveva fatto tutto ciò che si sentiva in dovere di fare, tutto ciò che aveva sempre desiderato fare. Era cresciuta in fretta imparando a governare casa dall'esempio della madre e della nonna ed era diventata donna scegliendo l'uomo con cui costruire la propria casa, la propria famiglia. Era stata una rivoluzione quando lei, donna, era passata per la prima volta dietro al banco del caffè dove suo marito, l'uomo, dava da bere agli uomini che si ritrovavano lì per brindare alla chiusura di un affare o alla decisione del sindaco sul futuro della comunità. La prima volta quei volti dai baffi curati l'avevano squadrata con sospetto, col dubbio che qualcosa di improprio, di innaturale si stesse compiendo, perché erano sicuri che naturale non fosse ciò che poteva essere ma solo ciò che era sempre stato. Lei però resistette. A lungo. Mentre gli uomini coi baffi e le giacche eleganti scomparivano, morti di vecchiaia o rapiti dalla pianura, lei rimaneva lì donna dietro il banco a fianco del suo uomo.
Era lì da una vita intera quando entrò un automobilista un po' sudato che veniva da lontano. L'uomo era entrato un po' di soppiatto. “E' aperto?” aveva chiesto, reso scettico dalle luci basse che lasciavano la vetrina buia, dal silenzio non interrotto da nessuna radio. “Venga pure” le aveva detto lei alzandosi dalla sedia dove riempiva il tempo assorta tra un cliente un altro, tra un caffè e un bicchiere di rosso. L'uomo bevve: non c'era l'aranciata e prese la Coca-Cola, in bottiglia con il collo ondulato. L'uomo mangiò: non c'erano toast e ricevette due fette di pane grosse e non salate con un tocco di prosciutto nostrano. Stava già per uscire quando chiese alla signora, silenziosa sulla sedia a fianco al banco, se non si sentisse un po' sola lì lontana da tutto.
“No” aveva risposto lei, senza aggiungere altro. Non voleva essere scorbutica, solo non capiva da cosa potesse essere lontano. Lì ascoltava l'avventura di chi tornava dalla caccia al cinghiale sulla cima della montagna. Lì misurava lo scorrere del tempo nella perdita di un amico di infanzia e nel saluto al nipote di un vicino. Lì c'era tutto – memoria, relazione, dovere, piacere – ciò che un uomo poteva sognare nel mondo e lei, il mondo, l'aveva anche visto negli occhi, perché andando dietro il banco di fronte agli uomini con i baffi e le giacche, l'aveva sfidato e cambiato. Lontano da cosa?
domenica, settembre 05, 2010
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