Era una giornata nella norma per l’impiegato Alessandro Zanotti. Qualche foglio scompariva dalla colonna di sinistra, qualche altro ne compariva sulla colonna di destra. Sul monitor un foglio excel contendeva lo spazio all’agenda di Outlook e alla nuova slide di power point. Ogni tanto, senza destare troppa curiosità, si illuminava anche la peccaminosa finestra di Facebook: Alex la teneva aperta per non abdicare integralmente al suo vecchio spirito di insubordinazione, ma il più delle volte era disturbato da quella lucina che anticipava solo eventi banali di semi sconosciuti del tutto trascurabili.
Quando la lucina lampeggiò per l’ennesima volta, Alessandro rimase fermo senza reagire per qualche istante, poi cliccò, tanto ormai i suoi processi mentali erano stati interrotti di nuovo. Leggendo il breve messaggio sul social networking fu sorpreso: Ivan, il suo vecchio compagno di banco alle medie, lo invitava a diventare un suo amico. Il profilo di Ivan sembrava nutrito, pieno di facce che lui non conosceva: gli sembrò ovvio portare il mouse su tasto di conferma e agganciarsi di nuovo alle novità di quella vita avuta al fianco per tre anni e ormai trascurata da tempo.
Mentre accompagnava il mouse con la mano, la memoria lo riportò alle considerazioni di quei giorni adolescenziali vissuti al fianco di Ivan. Dai cassetti del suo tempo perduto rivide il dito dell’insegnante di scienze che puntava verso di lui. Capitava spesso durante un interrogazione che il docente coinvolgesse la classe nel trovare la risposta che non riusciva a dare lo sfortunato alla lavagna. Alessandro aveva sempre avuto in antipatia quella pratica. Anche se spesso sapeva la risposta, era indisposto per quel coinvolgimento brusco nel ragionamento contorto partorito dalla mente altrui: nella sua testa la risposta era più ampia, strutturata, ariosa, coinvolgente, originata da altri presupposti. Una volta palesò addirittura i suoi dubbi: “Posso ripartire dall’inizio?” chiese al prof. Sfortunatamente alla sua domanda seguì solo un grugnito, mentre il dito passava a indicare la ragazza del banco di fronte. I suoi desideri non sembravano dover trovare applicazione.
Alex chiuse la finestra di Facebook senza spingere il tasto conferma. Forse aveva perso un’occasione di socializzazione, ma nel frattempo aveva guadagnato qualche istante in più per la profondità del suo pensiero.
Durò giusto un attimo: un pop up si aprì per ricordare di scaricare l’integrazione agli aggiornamenti del service pack tre di windows.
Leggende romagnole, avventure metropolitane, suggestioni dal mondo e altre divagazioni in evoluzione pluriennale.
domenica, novembre 30, 2008
venerdì, novembre 21, 2008
Senza gli inganni di domani
Fuori, sotto un cielo nuvoloso e triste, tirava un vento fastidioso: i panni stesi sul filo dondolavano nervosamente attorcigliandosi a se stessi. Tom però sembrava non esserne infastidito. Puliva pale e cazzuole da più di mezz’ora, con le mani bagnate e i piedi in un sabbione sempre più limaccioso, ma non ostentava alcun segno di disagio. La moglie lo guardava da dietro alla finestra senza vera ammirazione. Un tempo l’aveva fatto, ma ora non era più sicura di quella testarda dedizione. “Perché continuare a farlo?” si chiedeva lei. Aveva provato a sollevare la domanda diverse volte, ma era sempre finito in litigio senza trovare una risposta. Per Tom sembrava ovvio lasciare perdere qualsiasi cosa per prepararsi al giorno seguente e per lui ogni giorno aveva un seguito. Karienne, invece, era stanca di seguire quegli imperativi: non vi vedeva più alcuna urgenza reale. Sentiva bisogno d’altro.
Quando Tom chiuse l’acqua della gomma, segno che stava per rientrare, Karienne aveva già deciso che quel giorno sarebbe stata più esplicita delle volte precedenti nel parlargli. L’avrebbe messo spalle al muro. Si spostò verso l’ingresso per essere sicura di bloccarlo sulla porta.
“Sono quasi le 8” disse freddamente. “Saremmo già dovuti essere da Peter e Carol”.
“Non credo neppure di aver voglia di raggiungerli” rispose Tom distrattamente, chino a rimuoversi le scarpe umide del lavoro.
“Per quale motivo?” sibilò Karienne, simulando una finta sorpresa.
“Semplicemente non ne ho voglia. Non credo serva un motivo per lasciare perdere una cena con Peter o Carol”.
“Non sono solo loro a non meritare un motivo per essere ignorati, però. Tom, tu ignori qualsiasi cosa esca dai tuoi impegni, dai tuoi programmi, dai tuoi obiettivi. Hai un pensiero unico, il tuo, e non posso continuare ad accettarlo, neppure presumendolo in buona fede”.
“Kari, fermati – sospirò il marito - . Non posso sentire questa storia una volta ancora. Sai chi sono, sai cosa voglio e sai che l’impegno che mi rimproveri è l’unico modo per ottenerlo”.
“Lo so questo, Tom. Me l’hai già detto e forse l’ho saputo da quando mi sei iniziato a piacere. Credo anzi che mi sia avvicinata a te proprio per quella tua magnetica dedizione: allora il tuo mondo era solo un sogno ed era ancora più bello vedere che la tua follia visionaria era così forte da renderlo incredibilmente vero”.
“Già” disse Tom sentendo quelle parole sue con un misto di orgoglio, rabbia e stanchezza. “E allora cosa c’è che non va?” aggiunse però in tono secco e interrogativo, reprimendo ogni titubanza.
“Nulla di evidente - proseguì Karienne - Ho paura che tu non abbia dubbi a sufficienza”.
Tom rimase in attesa. “Non capisco?” ammise quando vide la moglie ancora in silenzio.
“Sei sempre così sicuro che ciò che stai facendo sia importante. Non ti chiedi mai se i tuoi sogni di ieri e i tuoi obiettivi di oggi non siano altro che delle scuse?. Dei pretesti per renderti indispensabile o almeno per darti l’illusione che lo siano le azioni in cui ti concentri così tanto?”.
“Me lo chiedo ogni giorno da tanto” rispose Tom.
Karienne non si aspettava quella risposta. Aveva esordito sicura per aprire un mondo al marito, ma quelle ultime parole ribaltavano la sua posizione. Le labbra non facevano uscire più le parole e i suoi pensieri si disperdevano come astri in un cosmo senza più gravità. “Perché non ne hai mai parlato?” fu l’unica cosa che riuscì a chiedere.
“Perché solo raramente si ha il coraggio di parlare di ciò a cui si pensa di più”.
“Neppure a me?” continuò Karienne con la stessa voce disorientata.
“Già, neppure a te” confermò Tom. Si sarebbe voluto fermare così, ma sapeva che ormai era stato spinto troppo avanti per farlo. Si avviò verso le scale, ma prima di salire si fermò: “Sentirei subito la nostalgia delle futili considerazioni sul domani che mi danno un ruolo oggi e mi rendono più semplice spiegare chi sono a me e agli altri. Ma se avessi il coraggio di farne davvero a meno, penso che sarebbe messo in discussione molto di più di quanto riesci a pensare tu”.
Quando Tom chiuse l’acqua della gomma, segno che stava per rientrare, Karienne aveva già deciso che quel giorno sarebbe stata più esplicita delle volte precedenti nel parlargli. L’avrebbe messo spalle al muro. Si spostò verso l’ingresso per essere sicura di bloccarlo sulla porta.
“Sono quasi le 8” disse freddamente. “Saremmo già dovuti essere da Peter e Carol”.
“Non credo neppure di aver voglia di raggiungerli” rispose Tom distrattamente, chino a rimuoversi le scarpe umide del lavoro.
“Per quale motivo?” sibilò Karienne, simulando una finta sorpresa.
“Semplicemente non ne ho voglia. Non credo serva un motivo per lasciare perdere una cena con Peter o Carol”.
“Non sono solo loro a non meritare un motivo per essere ignorati, però. Tom, tu ignori qualsiasi cosa esca dai tuoi impegni, dai tuoi programmi, dai tuoi obiettivi. Hai un pensiero unico, il tuo, e non posso continuare ad accettarlo, neppure presumendolo in buona fede”.
“Kari, fermati – sospirò il marito - . Non posso sentire questa storia una volta ancora. Sai chi sono, sai cosa voglio e sai che l’impegno che mi rimproveri è l’unico modo per ottenerlo”.
“Lo so questo, Tom. Me l’hai già detto e forse l’ho saputo da quando mi sei iniziato a piacere. Credo anzi che mi sia avvicinata a te proprio per quella tua magnetica dedizione: allora il tuo mondo era solo un sogno ed era ancora più bello vedere che la tua follia visionaria era così forte da renderlo incredibilmente vero”.
“Già” disse Tom sentendo quelle parole sue con un misto di orgoglio, rabbia e stanchezza. “E allora cosa c’è che non va?” aggiunse però in tono secco e interrogativo, reprimendo ogni titubanza.
“Nulla di evidente - proseguì Karienne - Ho paura che tu non abbia dubbi a sufficienza”.
Tom rimase in attesa. “Non capisco?” ammise quando vide la moglie ancora in silenzio.
“Sei sempre così sicuro che ciò che stai facendo sia importante. Non ti chiedi mai se i tuoi sogni di ieri e i tuoi obiettivi di oggi non siano altro che delle scuse?. Dei pretesti per renderti indispensabile o almeno per darti l’illusione che lo siano le azioni in cui ti concentri così tanto?”.
“Me lo chiedo ogni giorno da tanto” rispose Tom.
Karienne non si aspettava quella risposta. Aveva esordito sicura per aprire un mondo al marito, ma quelle ultime parole ribaltavano la sua posizione. Le labbra non facevano uscire più le parole e i suoi pensieri si disperdevano come astri in un cosmo senza più gravità. “Perché non ne hai mai parlato?” fu l’unica cosa che riuscì a chiedere.
“Perché solo raramente si ha il coraggio di parlare di ciò a cui si pensa di più”.
“Neppure a me?” continuò Karienne con la stessa voce disorientata.
“Già, neppure a te” confermò Tom. Si sarebbe voluto fermare così, ma sapeva che ormai era stato spinto troppo avanti per farlo. Si avviò verso le scale, ma prima di salire si fermò: “Sentirei subito la nostalgia delle futili considerazioni sul domani che mi danno un ruolo oggi e mi rendono più semplice spiegare chi sono a me e agli altri. Ma se avessi il coraggio di farne davvero a meno, penso che sarebbe messo in discussione molto di più di quanto riesci a pensare tu”.
martedì, novembre 04, 2008
Io, Dio e i 10 minuti prima della sveglia
Il suono della sveglia prende forma assieme a quello della pioggia. Entrambi mi riportano alla coscienza: non sono lucido, ma per istinto, o meglio per abitudine consolidata, posticipo l’allarme di dieci minuti. Me lo posso permettere: di sera mi concedo sempre dieci minuti per poter prendere familiarità con la mattina; in fondo la mattina è una sconosciuta e ci vuole una pausa per annusarla.
Ripiombo sul materasso. Con il corpo ricerco subito la sagoma di calore lasciata nella notte e con le coperte faccio ombra fin sopra i capelli: mi nascondo il mondo, sperando che così neppure lui veda me. Sono i miei dieci minuti di ritorno all’infanzia: nel mio buio artificiale anticipo la giornata e la giudico in modo del tutto personale. Spesso immagino un colpo di spugna con cui d’un tratto cancello gli ostacoli da ogni situazione che attraverso, fino a quando, godendomi quel percorso di potenza senza attriti, mi lascio a un sorriso ebete al confine tra coscienza e incoscienza.
E’ quello il momento in cui mi rivolgo anche a Dio. Gli chiedo schiettamente se i miei progetti per la giornata hanno la sua approvazione e se posso contare sul suo aiuto per metterli in fila tutti senza fare vittima. Resto in attesa per un po’, ma quando il silenzio si protrae troppo a lungo mi avvicino definitivamente al mattino e alla maturità. Ripasso velocemente tutti i progetti appena elucubrati e non riesco a non notarne il lato egoista e superonista. Smetto anche di aspettare la risposta di Dio, perché a quel punto ammetto a me stesso che pretendere un ok divino a un mondo tutto mio è un po’ pretenzioso verso il Supremo: se tutti facessero lo stesso, la sua vita sarebbe un inferno di richieste inconciliabili. “Bah - borbotto – come cavolo faccio a pregare come fossi a una vertenza sindacale?”.
Sento di nuovo la pioggia e sopra di esso il secondo richiamo dell’allarme. Ho finito il bonus. In compagnia di più prosaiche incertezze imbocco la via del nuovo giorno.
Ripiombo sul materasso. Con il corpo ricerco subito la sagoma di calore lasciata nella notte e con le coperte faccio ombra fin sopra i capelli: mi nascondo il mondo, sperando che così neppure lui veda me. Sono i miei dieci minuti di ritorno all’infanzia: nel mio buio artificiale anticipo la giornata e la giudico in modo del tutto personale. Spesso immagino un colpo di spugna con cui d’un tratto cancello gli ostacoli da ogni situazione che attraverso, fino a quando, godendomi quel percorso di potenza senza attriti, mi lascio a un sorriso ebete al confine tra coscienza e incoscienza.
E’ quello il momento in cui mi rivolgo anche a Dio. Gli chiedo schiettamente se i miei progetti per la giornata hanno la sua approvazione e se posso contare sul suo aiuto per metterli in fila tutti senza fare vittima. Resto in attesa per un po’, ma quando il silenzio si protrae troppo a lungo mi avvicino definitivamente al mattino e alla maturità. Ripasso velocemente tutti i progetti appena elucubrati e non riesco a non notarne il lato egoista e superonista. Smetto anche di aspettare la risposta di Dio, perché a quel punto ammetto a me stesso che pretendere un ok divino a un mondo tutto mio è un po’ pretenzioso verso il Supremo: se tutti facessero lo stesso, la sua vita sarebbe un inferno di richieste inconciliabili. “Bah - borbotto – come cavolo faccio a pregare come fossi a una vertenza sindacale?”.
Sento di nuovo la pioggia e sopra di esso il secondo richiamo dell’allarme. Ho finito il bonus. In compagnia di più prosaiche incertezze imbocco la via del nuovo giorno.
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