Giacca di panno, capelli spettinati e barba incolta, il ragazzo percorse la solita via del centro che ospitava la libreria più fornita della città. Si fermò di fronte alla vetrina per guardare una volta in più il nuovo libro che lo incuriosiva. Di fronte alla copertina, i pensieri furono i soliti. E' interessante, costa abbastanza, lo potrei prendere più avanti, forse è meglio recuperarlo in biblioteca o forse c'è un titolo migliore sullo stesso argomento.
Anche il risultato di questo silenzioso lavorio della mente fu il solito. Il ragazzo varcò la porta scorrevole, si diresse allo scaffale, prese il volume osservato in vetrina e anche quello che era impilato al suo fianco. Anche quello era interessante.
La cassiera lo guardò appena. Puntò il laser rosso sul codice a barre ed emise il conto. Per lei, in quel momento, un testo valeva l'altro: genere, scopo, attendibilità dei contenuti erano solo orpelli ignoti.
All'uscita questa immagine non si sbiadì. Chi aveva vinto nella transazione appena effettuata? Il ragazzo che aveva speso per qualcosa di “utile” o quantomeno piacevole o la ragazza che aveva incassato per un gesto ripetitivo ma redditizio.
Sul momento aveva vinto lei. Il suo gioco era a somma positiva, ma forse era solo una vittoria passeggera. Come spiegò un giorno di inizio secolo uno scrittore inglese malaticcio a uno smanioso bersagliere di origini romagnole, sono solo gli eterei eroi di carta che possono provare ad ambire all’eternità. Il resto si sbiadisce presto, proprio come l’inchiostro sulla carta dello scontrino.
Leggende romagnole, avventure metropolitane, suggestioni dal mondo e altre divagazioni in evoluzione pluriennale.
martedì, febbraio 26, 2008
lunedì, febbraio 25, 2008
Lo scrittore inesistente
Collego un’altra isola dell’arcipelago della rete. Si chiama “lo scrittore inesistente”. E’ un contenitore pudico ed elegante, dove un’aspirante scrittrice, a lungo titubante nel rivelare i suoi marchingegni letterari, ha infine avviato il suo dialogo con il pubblico.
Betsabea, il racconto di Francesca Mazzaglia, sicula ormai radicata nel bolognese, comincia così:
"Un bocciolo di nuvola porpora vela le guglie di Betsabea diffondendo un profumo di rosa nella città dalle lunghe e sottili torri di cristallo. Se la spii da una lontana duna del deserto ne sei ammaliato e sai già che cederai alla tentazione di cambiare rotta".
(Leggi tutto il racconto)
Betsabea, il racconto di Francesca Mazzaglia, sicula ormai radicata nel bolognese, comincia così:
"Un bocciolo di nuvola porpora vela le guglie di Betsabea diffondendo un profumo di rosa nella città dalle lunghe e sottili torri di cristallo. Se la spii da una lontana duna del deserto ne sei ammaliato e sai già che cederai alla tentazione di cambiare rotta".
(Leggi tutto il racconto)
domenica, febbraio 17, 2008
Blogging: dalla Festa dei falò alle elezioni Usa
Giorni di intensa natalità per i blog. Ne sono nati diversi in poche ore e tutti all’insegna dell’originale intreccio tra pubblico e privato, tra locale e globale che connota queste forme di comunicazione.
Il piccolo che diventa grande è la Festa del Falò. La tradizionale rassegna allegorico-godereccia con cui Rocca saluta l’inizio della primavera quest’anno si gioca anche in punta di tastiera. Entrambi i rioni in gara nella kermesse stanno da tempo riempiendo le loro lavagne digitali di parole, immagini e video, in un anticipo di competizione fortemente multimediale. Una delle massime espressione del campanilismo rionale romagnolo sbarca dunque nell’autostrada digitale di YouTube e Blogspot.
Questo localismo di natura pubblica muove i primi passi assieme al tentativo di smontare il monopolio Cnn sul massimo evento mediatico del momento: le elezioni americane. Uno dei più poliedrici battitori di vecchi e nuovi media, con cui ho avuto il piacere di realizzare la tesi di laurea, ha incrociato la penna con una giovane comunicatrice attualmente a Washington per ridare profondità d’analisi a un fenomeno appiattito nella routine fast and fourious del talk-show. Ben tre voci per una prospettiva colta e personale sull’evento più globale del pianeta.
Il piccolo che diventa grande è la Festa del Falò. La tradizionale rassegna allegorico-godereccia con cui Rocca saluta l’inizio della primavera quest’anno si gioca anche in punta di tastiera. Entrambi i rioni in gara nella kermesse stanno da tempo riempiendo le loro lavagne digitali di parole, immagini e video, in un anticipo di competizione fortemente multimediale. Una delle massime espressione del campanilismo rionale romagnolo sbarca dunque nell’autostrada digitale di YouTube e Blogspot.
Questo localismo di natura pubblica muove i primi passi assieme al tentativo di smontare il monopolio Cnn sul massimo evento mediatico del momento: le elezioni americane. Uno dei più poliedrici battitori di vecchi e nuovi media, con cui ho avuto il piacere di realizzare la tesi di laurea, ha incrociato la penna con una giovane comunicatrice attualmente a Washington per ridare profondità d’analisi a un fenomeno appiattito nella routine fast and fourious del talk-show. Ben tre voci per una prospettiva colta e personale sull’evento più globale del pianeta.
lunedì, febbraio 11, 2008
L’ufficio qualunque del cacciatore di stelle
Uno sguardo al monitor per controllare l'ultima posa del satellite e poi uno sguardo alle mappe del cosmo già noto. Gli occhi fanno avanti e indietro nervosamente alla ricerca del dettaglio che può far pensare a qualcosa di nuovo: una supernova, un ammasso globulare o forse solo un banale oggetto del sistema solare. Non importa, almeno nel primo momento, nell’estasi dell’avvistamento. Le rare volte in cui il satellite cattura una macchia estranea alle carte, l'astrofilo dilettante trova l’anelato sollievo dalla sua vaga, malcelata e mal espressa tristezza di vivere. Se quella macchia si rivelasse una supernova, il suo nome resterebbe impresso negli archivi internazionali contenenti l'anagrafica di tutti i corpi dell'universo e dei loro scopritori.
La caccia alle stelle diventa uno spettacolo pubblico d'estate – quando gli anelli di Saturno rappresentano una bucolica alternativa al tedio dell'umidità cittadina -, ma è d'inverno quando il freddo depura l'atmosfera che si catturano le prede più pregiate. E' allora che l'astrofilo si concentra sugli astri. Nella sua scientifica ascesi al cielo avvolge mani e piedi in abiti caldi, per ridurre al minimo le interferenze del fisico; poi, con la mente libera sintonizza lo sguardo sulle deboli radiazioni luminose che provengono dallo spazio tridimensionale. I segnali arrivano deboli: nel passaggio dai vuoti siderali alle umane percezioni i colori si perdono, trascurati da occhi abituati a stimoli più prossimi, più forti, più significanti: gli abbaglianti di un'auto, il lampeggio di un led, il neon di un'insegna pubblicitaria.
Nell’ascesi dell’astrofilo c'è un dramma inevitabile. Nella gara tra lui e il cosmo, il cosmo vince sempre. Vince perché può attendere: lo spazio può rimanere muto per milioni di anni, mentre l’astrofilo può rimanere vigile solo qualche decennio. Si hanno solo pochi istanti per trovare una risposta che può attendere secoli. Lotta impari, persa in partenza. Lotta solitaria, ignota ai più. Lotta “inutile” perché anche nella battaglia con l’infinito trovano spazio le piccole alienazioni quotidiane. Nessuna supernova catturata di notte riesce a rompere davvero la noia del giorno passato e del giorno a seguire.
Gli occhi dell'astrofilo continuano a fare nervosamente avanti e indietro tra il monitor e le mappe, ma attorno loro prendono forma solo pensieri terreni con le forme ordinarie dei quattro muri di un ufficio qualunque.
La caccia alle stelle diventa uno spettacolo pubblico d'estate – quando gli anelli di Saturno rappresentano una bucolica alternativa al tedio dell'umidità cittadina -, ma è d'inverno quando il freddo depura l'atmosfera che si catturano le prede più pregiate. E' allora che l'astrofilo si concentra sugli astri. Nella sua scientifica ascesi al cielo avvolge mani e piedi in abiti caldi, per ridurre al minimo le interferenze del fisico; poi, con la mente libera sintonizza lo sguardo sulle deboli radiazioni luminose che provengono dallo spazio tridimensionale. I segnali arrivano deboli: nel passaggio dai vuoti siderali alle umane percezioni i colori si perdono, trascurati da occhi abituati a stimoli più prossimi, più forti, più significanti: gli abbaglianti di un'auto, il lampeggio di un led, il neon di un'insegna pubblicitaria.
Nell’ascesi dell’astrofilo c'è un dramma inevitabile. Nella gara tra lui e il cosmo, il cosmo vince sempre. Vince perché può attendere: lo spazio può rimanere muto per milioni di anni, mentre l’astrofilo può rimanere vigile solo qualche decennio. Si hanno solo pochi istanti per trovare una risposta che può attendere secoli. Lotta impari, persa in partenza. Lotta solitaria, ignota ai più. Lotta “inutile” perché anche nella battaglia con l’infinito trovano spazio le piccole alienazioni quotidiane. Nessuna supernova catturata di notte riesce a rompere davvero la noia del giorno passato e del giorno a seguire.
Gli occhi dell'astrofilo continuano a fare nervosamente avanti e indietro tra il monitor e le mappe, ma attorno loro prendono forma solo pensieri terreni con le forme ordinarie dei quattro muri di un ufficio qualunque.
La rovere in fondo al rettilineo
Ramoscello con galaverna
giovedì, febbraio 07, 2008
Quando l'accademico fa l'hippie e viceversa
Tra le letture degli ultimi giorni si è creato un inusuale incrocio di destini. Dal libro di un teologo è uscito un messaggio rivoluzionario, mentre dal blog di un sessantottino è nato un appello alla misura e al buon senso.
Il teologo è Ivan Illich. Viennese, classe 1926, Illich è un accademico a metà tra storia, filosofia e scienze naturali, tra l'altro impegnato nel servizio sacerdotale a New York. Ha alle spalle decine di pubblicazioni, tra cui, risalente al 1996, Disoccupazione creativa. Il saggio è una critica serrata al sistema economico monopolizzato dalle professioni, colpevole per Illich di aver generato una forma di povertà profonda: l'impossibilità di usare in modo autonomo le proprie doti personali. “Il tentativo – scrive l'autore – di costruirsi una casa o di mettere a posto un osso senza ricorrere agli specialisti debitamente patentati è considerato una bizzarria anarchica. Perdiamo di vista le nostre risorse, perdiamo il controllo sulle condizioni ambientali che le rendono utilizzabili, perdiamo il gusto di affrontare con fiducia le difficoltà esterne e le ansie interiori. (...) Al di là di una certa soglia, il moltiplicarsi delle merci induce impotenza, genera l'incapacità di coltivare cibo, di cantare di costruire. La fatica e il piacere della condizione umana diventano un privilegio snobistico riservato a pochi”.
A fare da contraltare al docente che, su un libro, lamenta il monopolio del sapere da parte degli educatori, arriva l'hippie che, online, cerca di inquadrare razionalmente i sogni bucolici di milioni di cittadini frustrati. Lo scrittore, che intitola il suo blog Selvatici, dedica una luna riflessione al mito della campagna e alle ragioni per cui molti alla fine restano in città. La sua riflessione è un inno alla ponderatezza e al realismo: “Il sogno (di trasferirsi in città) – scrive il blogger selvatico - deve necessariamente essere un po’ romantico, deve saper cogliere il lato magico delle cose, ma deve essere un sogno vigile, altrimenti si corre il serio rischio di allevare una tremenda disillusione come quella indagata dal New Statesman e cantata da Stefano Disegni. Mai come quando si fa ritorno alla terra bisogna, appunto, avere “i piedi per terra. (...) Nel tempo ho anche imparato che pensare di saper fare tutto è un altro errore tipico da cittadino presuntuoso. Chi fa sempre tutto da solo non avrà mai niente di fatto a regola d’arte, e questo vale anche per chi se la sbrigare meglio di me, perché non si può avere la stessa esperienza di un professionista specializzato in tutti i campi. E’ invece buona cosa che ognuno faccia il suo lavoro”.
La sintesi dei due estremi invertiti arriverà probabilmente da un libro scaricabile gratuitamente in formato pdf...
Il teologo è Ivan Illich. Viennese, classe 1926, Illich è un accademico a metà tra storia, filosofia e scienze naturali, tra l'altro impegnato nel servizio sacerdotale a New York. Ha alle spalle decine di pubblicazioni, tra cui, risalente al 1996, Disoccupazione creativa. Il saggio è una critica serrata al sistema economico monopolizzato dalle professioni, colpevole per Illich di aver generato una forma di povertà profonda: l'impossibilità di usare in modo autonomo le proprie doti personali. “Il tentativo – scrive l'autore – di costruirsi una casa o di mettere a posto un osso senza ricorrere agli specialisti debitamente patentati è considerato una bizzarria anarchica. Perdiamo di vista le nostre risorse, perdiamo il controllo sulle condizioni ambientali che le rendono utilizzabili, perdiamo il gusto di affrontare con fiducia le difficoltà esterne e le ansie interiori. (...) Al di là di una certa soglia, il moltiplicarsi delle merci induce impotenza, genera l'incapacità di coltivare cibo, di cantare di costruire. La fatica e il piacere della condizione umana diventano un privilegio snobistico riservato a pochi”.
A fare da contraltare al docente che, su un libro, lamenta il monopolio del sapere da parte degli educatori, arriva l'hippie che, online, cerca di inquadrare razionalmente i sogni bucolici di milioni di cittadini frustrati. Lo scrittore, che intitola il suo blog Selvatici, dedica una luna riflessione al mito della campagna e alle ragioni per cui molti alla fine restano in città. La sua riflessione è un inno alla ponderatezza e al realismo: “Il sogno (di trasferirsi in città) – scrive il blogger selvatico - deve necessariamente essere un po’ romantico, deve saper cogliere il lato magico delle cose, ma deve essere un sogno vigile, altrimenti si corre il serio rischio di allevare una tremenda disillusione come quella indagata dal New Statesman e cantata da Stefano Disegni. Mai come quando si fa ritorno alla terra bisogna, appunto, avere “i piedi per terra. (...) Nel tempo ho anche imparato che pensare di saper fare tutto è un altro errore tipico da cittadino presuntuoso. Chi fa sempre tutto da solo non avrà mai niente di fatto a regola d’arte, e questo vale anche per chi se la sbrigare meglio di me, perché non si può avere la stessa esperienza di un professionista specializzato in tutti i campi. E’ invece buona cosa che ognuno faccia il suo lavoro”.
La sintesi dei due estremi invertiti arriverà probabilmente da un libro scaricabile gratuitamente in formato pdf...
mercoledì, febbraio 06, 2008
Mezzo secolo di storia della medicina (e non solo)
Anni Quaranta. Il paziente entra dal medico e lamenta un generale malessere. Il dottore ascolta il cuore e il ritmo del respiro e infine prescrive la sua cura: “Cerchi di mangiare e risposare un po'”.
Sessant'anni dopo circa. Il paziente entra dal medico e lamenta un generale malessere. Il dottore ascolta il cuore e il ritmo del respiro e infine prescrive la sua cura: “Cerchi di mangiare meno e faccia un po' di moto”.
Sessant'anni dopo circa. Il paziente entra dal medico e lamenta un generale malessere. Il dottore ascolta il cuore e il ritmo del respiro e infine prescrive la sua cura: “Cerchi di mangiare meno e faccia un po' di moto”.
sabato, febbraio 02, 2008
I pastori premilcuoresi che transumarono a Lepanto
I cronisti dell’epoca, tra cui Miguel Cervantes Saavedra, costruirono un’aura epica attorno alla battaglia di Lepanto del 1571. Lo scontro marittimo di fronte al porto greco di Patrasso segnò la fine dell’avanzata turca nel Mediterraneo. I migliori uomini di mare della cristinanità e del mondo musulmano – il genovese Andrea Doria e l’algerino Ulug Ali su tutti – incrociarono le loro galee: duecento da una parte e duecento dall’altra. Don Giovanni d’Austria, condottiero della Santa Lega promossa da Papa Pio V, scaldò gli animi dei combattenti mostrando loro il crocifisso ed esortando tutti al sacrificio. Veleggiò di fronte alla sua flotta con il vestito scarlatto della cavalleria medioevale, dando l’ultima nota di stile a una carneficina disordinata. Di lì a poco iniziarono i corpo a corpo tra gli equipaggi: caddero in mare 25mila turchi e più di 8mila cristiani.
La Santa Lega occidentale comprendeva anche dodici Galere di Cosimo de Medici. Su di esse furono imbarcati anche dei soldati di Premilcuore: lo attesta un resoconto comunale del 1572, che per il resto parla di guerriglie agresti con Castagno d’Andrea per il controllo di Piandivisi e Valbiancana.
I pastori “transumarono” dalla montagna al mare per omaggiare l’ultimo capitolo della storia navale del Mediterraneo: da quel momento in poi, infatti, i neonati Stati occidentali fecero rotta verso l'Atlantico, Venezia imboccò la via del declino e i Turchi, da cavalieri della steppa quali erano, tornarono a marciare verso oriente contro i Persiani.
La Santa Lega occidentale comprendeva anche dodici Galere di Cosimo de Medici. Su di esse furono imbarcati anche dei soldati di Premilcuore: lo attesta un resoconto comunale del 1572, che per il resto parla di guerriglie agresti con Castagno d’Andrea per il controllo di Piandivisi e Valbiancana.
I pastori “transumarono” dalla montagna al mare per omaggiare l’ultimo capitolo della storia navale del Mediterraneo: da quel momento in poi, infatti, i neonati Stati occidentali fecero rotta verso l'Atlantico, Venezia imboccò la via del declino e i Turchi, da cavalieri della steppa quali erano, tornarono a marciare verso oriente contro i Persiani.
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