Ogni storia, nel suo attimo numero uno, è infinitamente aperta. Può succedere qualsiasi cosa, finché qualcosa non succede davvero e rende impossibile il verificarsi di qualcos’altro. Qualcosa si perde, insomma: crescendo diventa sempre più evidente. Si impara magari a correre forte, ma ci si accorge di farlo sempre più spesso sugli stessi binari. Si ripropongono sempre loro. Le alternative del passato appaiono irrimediabilmente compromesse e quelle che rimangono assumono di conseguenza un valore inestimabile. Merce rara, da non sprecare. Così nascono i dilemmi. E dal tentativo di risolverli le storie di compromessi più o meno riusciti che riempiono la vita di ognuno di noi.
Io non faccio eccezione. Anche la mia piccola storia ha il suo piccolo dilemma. Parte già dalla casa. Qual è la mia? E’ quella di Bologna, dove abito la maggior parte del tempo, pur lasciandovi solo gli alimenti e i vestiti per sopravvivere. O è quella di Rocca San Casciano, dove transito solo nel fine settimana, ma dove, un po’ qua e un po’ là, ho archiviato i principali capitoli della mia vita.
Il problema resta. E il tetto è solo uno degli aspetti. Bologna e Rocca sono le mie due inconciliabili metà del mondo. In Emilia ho trovato la scrittura, ho familiarizzato con la rete e ho consolidato la posizione politica. In Romagna però restano l’intimità per la lettura, le salite per pedalare e lo stereo da sparare a palla senza cuffie. In Emilia c’è chi mi consiglia il romanzo in inglese da affiancare alla musica indy, ma in Romagna c’è la cucina della mamma e la solita cantilena di Ligabue. In Emilia c’è ogni giorno un’idea in più, ma non se ne tocca quasi nessuna. In Romagna invece si semina poco, ma alla fine si raccoglie sempre. In Emilia c’è tutto, ma si raggiunge male lungo strade sporche e intasate. In Romagna invece c’è poco, ma lo si raggiunge ovunque su curve morbide e tranquille.
In mezzo a questi due mondi c’è il treno. Un’oretta di viaggio, più ritardo. All’andata, giusto il tempo per posare la penna e abituarsi allo zaino da trekking. Al ritorno, giusto il tempo per allontanarsi dal focolare domestico e catapultarsi in un film d’essay in lingua originale. Un’oretta per travasare le identità e non fare confusione. Un’oretta per conciliare due mondi senza dovere fare una scelta che – lo dicono le maldestre prove del passato - sarebbe dolorosa. Per ora è meglio il limbo, a costo di restare uno pseudo-giornalista che non ha mai fatto un giro di cronaca dai carabinieri e uno pseudo-escursionista che potrebbe confondere una salamandra con una vipera.
Per ora spazio a entrambi i mondi. Spazio al mondo goliardico-intellettuale del calabrese, nell’Emilia dove hanno successo i responsabili più bravi a scaricare le responsabilità sugli altri. Spazio al mondo naturalistico-avventuroso del Monte Falco, nella Romagna dove hanno successo i più irresponsabili tra i piccoli imprenditori. E spazio anche al resto del mondo. Già, quello verso cui tutti noi dobbiamo essere responsabili. A completare il mio mosaico c’è pure quello. A tal punto che finisco per passare un Natale in Nepal e, a breve, una Pasqua in Algeria. Sempre felice di partire, ma sempre incasinato nel farlo. Senza la risolutezza di chi lascia tutto nel tempo di un check-in. Rigorosamente di corsa, in preda a un “io” troppo concentrato a tenere unito se stesso per unirsi a qualcos’altro.
Io non faccio eccezione. Anche la mia piccola storia ha il suo piccolo dilemma. Parte già dalla casa. Qual è la mia? E’ quella di Bologna, dove abito la maggior parte del tempo, pur lasciandovi solo gli alimenti e i vestiti per sopravvivere. O è quella di Rocca San Casciano, dove transito solo nel fine settimana, ma dove, un po’ qua e un po’ là, ho archiviato i principali capitoli della mia vita.
Il problema resta. E il tetto è solo uno degli aspetti. Bologna e Rocca sono le mie due inconciliabili metà del mondo. In Emilia ho trovato la scrittura, ho familiarizzato con la rete e ho consolidato la posizione politica. In Romagna però restano l’intimità per la lettura, le salite per pedalare e lo stereo da sparare a palla senza cuffie. In Emilia c’è chi mi consiglia il romanzo in inglese da affiancare alla musica indy, ma in Romagna c’è la cucina della mamma e la solita cantilena di Ligabue. In Emilia c’è ogni giorno un’idea in più, ma non se ne tocca quasi nessuna. In Romagna invece si semina poco, ma alla fine si raccoglie sempre. In Emilia c’è tutto, ma si raggiunge male lungo strade sporche e intasate. In Romagna invece c’è poco, ma lo si raggiunge ovunque su curve morbide e tranquille.
In mezzo a questi due mondi c’è il treno. Un’oretta di viaggio, più ritardo. All’andata, giusto il tempo per posare la penna e abituarsi allo zaino da trekking. Al ritorno, giusto il tempo per allontanarsi dal focolare domestico e catapultarsi in un film d’essay in lingua originale. Un’oretta per travasare le identità e non fare confusione. Un’oretta per conciliare due mondi senza dovere fare una scelta che – lo dicono le maldestre prove del passato - sarebbe dolorosa. Per ora è meglio il limbo, a costo di restare uno pseudo-giornalista che non ha mai fatto un giro di cronaca dai carabinieri e uno pseudo-escursionista che potrebbe confondere una salamandra con una vipera.
Per ora spazio a entrambi i mondi. Spazio al mondo goliardico-intellettuale del calabrese, nell’Emilia dove hanno successo i responsabili più bravi a scaricare le responsabilità sugli altri. Spazio al mondo naturalistico-avventuroso del Monte Falco, nella Romagna dove hanno successo i più irresponsabili tra i piccoli imprenditori. E spazio anche al resto del mondo. Già, quello verso cui tutti noi dobbiamo essere responsabili. A completare il mio mosaico c’è pure quello. A tal punto che finisco per passare un Natale in Nepal e, a breve, una Pasqua in Algeria. Sempre felice di partire, ma sempre incasinato nel farlo. Senza la risolutezza di chi lascia tutto nel tempo di un check-in. Rigorosamente di corsa, in preda a un “io” troppo concentrato a tenere unito se stesso per unirsi a qualcos’altro.
Il risultato, come ha detto un mio amico matematico, è già scritto nella storia. Il percorso invece è tutto da inventare. Lui in genere lo fa calcolando. Io ci proverò scrivendo: brevi cronache da due mondi vissuti a metà.