venerdì, gennaio 29, 2010

Silenzio, fino alla prossima puntata

Tra madre e figlio, seduti ai due lati del salotto, si inseriva il rumore della fiamma scoppiettante della stufa in ghisa. Per il resto, silenzio. Ovvero un accorgimento per lasciare ancora un po' le cose come erano sempre state.

L'una vi leggeva lontananza e un poco di alterigia. L'altro una forma di protezione e un vago senso di colpa. Una differenza di conoscenza li separava e li riuniva solo nel rammarico di quel momento.

Ma non sarebbe durato a lungo. Quel silenzio sentiva già l'affanno dell'emozione che l'avrebbe travolto. Lo sapevano entrambi. In questo erano di nuovi uniti. Ma poi la madre e il figlio si separavano di nuovo. L'una si chiedeva se avrebbe mai riavuto quello che aveva sempre amato. L'altro si chiedeva se avrebbe mai accettato quello che non era ancora mai stato.

Alla prossima puntata per la descrizione dei fatti. Più chiari, come sempre lo sono rispetto ai presentimenti che li circondano.

mercoledì, gennaio 27, 2010

Per scendere infine in mezzo agli altri

Sentiva quella voce forte e chiaro: “Dì, dì tutto: qualunque cosa sia, dilla, sarà meglio, comunque meglio del silenzio”.

Fu allora che la guardò negli occhi, mentre le mani, lievi, scendevano sulle sue braccia. L'accarezzò a lungo, cercando di lasciarle sulla pelle le ultime tracce di un affetto incompleto ma sincero. Lei gli aveva regalato la calma che lo rendeva capace di godere appieno di ogni momento, capace di vedere ogni gesto come la tappa di un percorso, capace di trasformare ogni conquista in un traguardo da condividere, capace di rendere ogni luogo quello perfetto per quel momento. Aveva avuto il privilegio unico di entrare fino a in fondo a lui e lì aveva preso le sue paure più nascoste e, come una madre, più di una madre, le aveva fatte sembrare piccole piccole.

Solo che ora il coraggio di lei era anche il coraggio di lui. E in quel coraggio non trovava più spazio la debolezza del compromesso, neppure di quello che, incantevole fatalità, aveva portato all'incontro di lei.

In cima a quel picco di sincerità aveva già posto il suo vessillo il rimpianto, ma solo affrontandolo e trasformandolo avrebbe trovato lo spazio per riscendere in mezzo agli altri e trovare tra di loro il piacere troppo spesso fuggito.

lunedì, gennaio 25, 2010

A chi mi domanda… (alcune risposte a domande frequenti, loro e mie)

A chi mi domanda perché passo tutto quel tempo in compagnia di pochi e scelti amici a spasso per i luoghi più ameni e inospitali, rispondo citando Storia del Camminare: “Continuavo a ripercorrere questo itinerario per concedere una tregua al lavoro, ma anche per alimentarlo, perché, in una cultura orientata alla produzione, pensare è generalmente come fare niente, e il fare niente è difficile da fare. La via migliore per realizzarlo è di mascherarlo nel “fare qualcosa”, e ciò che più si avvicina al fare niente è il camminare”. Lo scrive, bene, Rebecca Solnit, ma giuro che lo pensavo, forse peggio, già da tempo io stesso. Del resto, come dice Proust, si legge per imparare cose nuove, ma, principalmente, per trovare conferma alle proprie idee. Quindi, se ho letto Solnit è perché pensavo di trovare nelle sue parole conferma alle mie idee. Lapalissiano.

A chi mi domanda perché, con costanza quasi autarchica, mi ostino a camminare nel mio Appennino, rispondo con un poco di buon senso e un tocco d’amor proprio. L’Appennino è lì, così vicino che un’idea è già un cammino, senza progetti a lungo termine che non partono quasi mai. E poi è una ragione di orgoglio. Per una vita la casa in collina è stata quasi una colpa e un oggetto di scherno. Oggi invece è un vanto, forse addirittura una vena di fascino. La conosco così bene, vi calo con così tanta naturalezza alcune delle parti migliori di me, che in colpa si sente, a volte, colui che non c’è mai stato, colui che ignora un luogo geografico e sente la mancanza di un terreno così fertile per, apparentemente, molte cose da cui risulta escluso.

A chi mi domanda se non ci sia un po’ di presunzione in questo, dico che sì, a volte potrebbe esserci, ma ho passato così tanto tempo a nascondere le mie idee perché gli altri già sapevano di latino o teatro mentre io ero più naif da non ritenere opportuno sprecarne oltre. Preferisco confrontarmi talvolta partendo da presupposti sbagliati o incompleti, piuttosto che non farlo per non svelare quell’errore o quell’incompletezza.

E a chi mi domanda quanto siano grandi queste lacune e quando vi porrò rimedio, rispondo che almeno quel complesso ho la presunzione di averlo superato. Sono pronto a divorare tutto, spesso lo faccio, – da Goncarov a Larson, passando da Ammaniti e Severgnini – ma solo quando ha un senso per me. Sono loro – Goncarov, Larson, Ammaniti & co. – a dover essere utili a me, non io a dover, per forza, ricordare tutto quanto hanno scritto. Sensi di colpa sociali, insomma, “meno uno”: leggere serve per emanciparsi, anche dallo stesso rapporto coatto con la lettura.

E presto me ne libererò da altri. Non prima però di aver fatto qualche altra, inutile, passeggiata.